UN RACCONTO CHE DICE COSA FARE QUANDO NON SI SA COSA FARE

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In questo racconto buddista c’è un indicazione su cosa fare in quei casi in cui non si sa cosa fare

Buddha e i suoi discepoli intrapresero un lungo viaggio durante il quale attraversarono diverse città. Un giorno in cui faceva molto caldo, avvistarono un lago e si fermarono stremati dalla sete. Buddha chiese al suo giovane discepolo, famoso per la sua natura impaziente:

– Ho sete. Puoi portarmi dell’acqua di quel lago?

Il discepolo andò al lago, ma quando arrivò, vide che proprio in quel momento lo stava attraversando un carro trainato da buoi. Di conseguenza, l’acqua era diventata molto torbida. Il discepolo pensò: “Non posso dare da bere al maestro quest’acqua fangosa”.

Così tornò e disse a Buddha:

– L’acqua del lago è molto fangosa. Non penso che possiamo berla.

Dopo mezz’ora, Buddha chiese allo stesso discepolo di tornare al lago e portargli dell’acqua da bere. Il discepolo tornò al lago.

Però, con suo sgomento, vide che l’acqua era ancora sporca. Tornò e lo disse a Buddha, questa volta con un tono conclusivo:

– L’acqua di quel lago non si può bere, faremmo meglio a raggiungere il villaggio dove gli abitanti possono darci da bere dell’acqua pulita.

Buddha non gli rispose, ma non si mosse neanche lui. Dopo un po’, chiese sempre allo stesso discepolo di tornare al lago e portargli dell’acqua.

Il discepolo andò di nuovo al lago perché non voleva sfidare il maestro, ma era furioso perché questo lo mandava avanti e indietro dal lago, quando sapeva già che l’acqua fangosa non poteva essere bevuta.

Ma questa volta, quando arrivò sulla riva del lago l’acqua era limpida e cristallina. Così ne raccolse un po’ e la portò a Buddha.

Buddha guardò l’acqua, e poi disse al suo discepolo:

– Cosa hai fatto per pulire l’acqua?

Il discepolo non capiva la domanda, era evidente che non aveva fatto nulla. Buddha quindi gli spiegò:

– Aspetta e lasciala stare. Quindi il fango si deposita da solo e tu hai dell’acqua pulita. Anche la tua mente è così! Quando è disturbata devi solo lasciarla stare. Dagli un po’ di tempo. Non essere impaziente Troverà l’equilibrio da sola. Non devi fare alcuno sforzo per calmarla. Tutto passerà se non ti afferri.

Concluderei con questa citazione:

““Torna indietro!” il bruco la richiamò, “ho qualcosa di importante da dirti!”.
Sembrava promettente: Alice si voltò e tornò indietro.
“Mantieni la calma,” disse il bruco.”
(Lewis Carroll)

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

COME TERAPIA “DOSI DI NATURA” AL POSTO DEI FARMACI

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Il sistema sanitario scozzese ha creato, recentemente, il programma “Nature Prescription” i cui medici che vi aderiranno, raccomanderanno ad alcuni loro pazienti (principalmente quelli affetti da malattie croniche come ansia, depressione, diabete e ipertensione) delle “dosi” di natura, che saranno parte integrante della terapia “tradizionale”. Il programma è gestito dal National Health Service del Regno Unito e dalla Royal Society of the Protection of Birds (Rspb), un ente per la conservazione della natura, e la sua sperimentazione è iniziata in 10 cliniche pubbliche dell’arcipelago scozzese delle isole Shetland.

Il programma, considerato il primo del suo genere nel Regno Unito, consiste in un approccio non farmacologico, ossia nella prescrizione di diverse attività da svolgere all’aria aperta, partendo proprio dal presupposto che la natura possa effettivamente offrire alle persone benefici per la salute, e aiutare a trattare una serie di problemi quali ansia, depressione, diabete, ipertensione, oltre a migliorare il benessere personale. “Esiste una prova schiacciante che la natura abbia benefici per la salute del corpo e della mente”, afferma Karen MacKelvie, responsabile della comunità Rspb. Infatti, commenta Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (Simg) l’idea non è affatto nuova.

“Tutti i medici sanno che praticare in maniera sistematica alcune buone abitudini, come svolgere regolarmente l’attività fisica, migliora il benessere e la salute delle persone”, spiega l’esperto. “Il concetto di vivere la natura, inoltre, va al di là del puro esercizio fisico. La componente naturalistica, infatti, è una parte fondamentale della terapia, perché aggiungendo rilassamento e distensione apporta un miglioramento conclamato delle condizioni psichiche dei pazienti”. Come precisa l’esperto, ormai da anni i medici dispensano consigli e indicazioni non solo a pazienti affetti da patologie croniche come l’obesità, malattie metaboliche, respiratorie e cardiache, ma anche a persone che sono in buona salute. “L’adozione di uno stile di vita attivo dovrebbe essere una norma assoluta per tutti”, spiega Cricelli. “Tra le tante indicazioni, per esempio, c’è quello di ridurre al minimo l’uso della macchina, fare tra i 5 e i 10mila passi al giorno, evitare le zone affollate e ricche di inquinanti”.

A seconda delle stagioni dell’anno, i medici avranno a disposizione un opuscolo e calendario, grazie ai quali potranno dare consigli e suggerimenti ai loro pazienti su quali attività all’aria aperta potrebbero svolgere. Per esempio, durante l’estate i pazienti potrebbero essere incoraggiati a fare passeggiate sulla spiaggia alla ricerca di conchiglie. In primavera, invece, potrebbero esplorare nuovi sentieri o imparare a riconoscere le piante. Nei mesi invernali, i pazienti saranno ancora invitati a uscire, anche se per periodi di tempo più brevi, magari svolgendo attività come il birdwatching o rimanere fermi per alcuni minuti ad ascoltare i rumori dell’ambiente che li circonda. “In definitiva – si legge nell’opuscolo – i pazienti sono invitati a uscire di casa in qualsiasi condizione atmosferica, sentire l’ebbrezza del vento o della pioggia sul proprio viso, per mantenere un collegamento diretto con la natura per tutto l’anno”.

Con questo programma, il National Health Service non sta suggerendo assolutamente che le “dosi” di natura possano in alcun modo sostituire le medicine convenzionali. “Non si tratta assolutamente di una sostituzione della terapia o di una cura per queste patologie croniche”, spiega Cricelli. “Queste attività sono azioni coadiuvanti ai trattamenti, ovvero devono essere intese come uno strumento di aiuto e complementare ai farmaci che, auspicabilmente, porta a migliorare la salute fisica e mentale delle persone”

fonte: https://www.repubblica.it/salute/2018/10/22/news/raccolta_funghi_passeggiate_e_giardinaggio_i_medici_ora_prescrivono_dosi_di_natura-209194658/?ref=fbpr&fbclid=IwAR350vDAso7OB5ujV3VZ-lPo7x9_yPbCOCGg5XZ5sP8Zgr9205EBZ4EU6E4

Dott. Roberto Cavaliere

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IL CAMMINO DI SANTIAGO RENDE FELICI E CAMBIA LA VITA

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Si chiama Ultreya, come l’esortazione che si fa ai pellegrini per andare avanti e proseguire sulla strada. Ed è una ricerca promossa dall’Università di Saragozza che per la prima volta vuole misurare gli effetti del Cammino di Santiago sul benessere fisico e mentale. Tutti coloro che intendono partire possono partecipare rispondendo a un questionario e attraverso ulteriori domande – al ritorno e dopo massimo tre mesi – i ricercatori profileranno nel rispetto della privacy gli effetti a breve e lungo termine. Finora sono migliaia le persone che hanno contribuito con le loro esperienze alla ricerca, dalle quali emergono risultati chiari: sì, il Cammino di Santiago cambia la vita in meglio.

È emerso che il percorso stimola alla meditazione inducendo “positivi effetti terapeutici”, e consente di socializzare così come di focalizzarsi sui propri obiettivi. Fa anche aumentare la fiducia verso l’altro, grazie alla solidarietà che si sperimenta sulla via. E aumentano consapevolezza di sé, autostima e possibilità di concentrarsi sul presente. Il ricercatore e psichiatra Javier García Campayo, coordinatore del Master in Mindfulness presso l’Università di Saragozza, parlando al Corriere della Sera dei primi risultati della ricerca ha spiegato quali siano i fattori del benessere emersi con maggiore chiarezza.

Al primo posto la solitudine “perché, anche se il percorso lo si può fare in compagnia, si ripensa ai diversi aspetti della propria vita”. Poi ci sono “la solidarietà, sia con i pellegrini lungo la Via sia negli ostelli e, infine, il dolore fisico che si è dovuto sopportare”.

LIBROTERAPIA: LEGGERE DOSTOEVSKIJ

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Dobbiamo leggere Dostoevskij quando ci sentiamo a terra, quando abbiamo sofferto sino ai limiti del tollerabile e tutta la vita ci duole come un’unica piaga bruciante e cocente, quando respiriamo la disperazione e siamo morti di mille morti sconsolate. Allora, nel momento in cui – soli e paralizzati in mezzo allo squallore – volgiamo lo sguardo alla vita e non la comprendiamo nella sua splendida, selvaggia crudeltà e non ne vogliamo più sapere, allora, ecco, siamo maturi per la musica di questo terribile e magnifico poeta.

Allora, infatti, non siamo più spettatori, non siamo più giudici e degustatori, ma siamo dei poveretti in mezzo a tutti i poveri diavoli dei suoi romanzi, e soffriamo le loro pene, fissiamo anche noi, ammaliati e senza respiro, il vortice della vita, la macina instancabile della morte. E in quei momenti avvertiamo anche la musica di Dostoevskij, il suo conforto, il suo amore, e solo allora sperimentiamo il senso meraviglioso del suo terrificante e spesso così infernale mondo poetico.

Due forze ci afferrano nei suoi libri. La prima è la disperazione, l’accettazione del male, il subire, il non più opporsi alla crudele, sanguinosa durezza e problematicità della natura umana. Di questa morte bisogna morire, quest’inferno deve essere attraversato, se si vuole che anche l’altra voce del maestro, quelle celestiale, giunga fino a noi. La nuda sincerità con cui si confessa che la nostra vita umana è una cosa misera, incerta e forse disperata, è l’indispensabile premessa. Dobbiamo esserci arresi al dolore, abbandonati alla morte, il ghigno infernale della realtà nuda e cruda deve aver raggelato i nostri occhi, prima che si possa essere in grado di accogliere la profondità e la verità dell’altra, della seconda voce.

Hermann Hesse

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IL RACCONTO TERAPEUTICO DELL’ASINO NEL POZZO

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Un giorno l’asino si sporse troppo nel pozzo e perdendo l’equilibrio vi cadde dentro.

Il pozzo era profondo e l’asino, non potendo risalire, iniziò a ragliare disperatamente. Il contadino non appena lo udì accorse per aiutarlo.

Il contadino cominciò a pensare a da farsi ma il punto era che il pozzo era praticamente secco e l’asino molto vecchio. Il contadino cominciò a pensare che non valeva la pena ingegnarsi e sforzarsi per cercare di recuperare l’animale.

A quel punto chiamò alcuni contadini perché lo aiutassero a seppellire vivo l’asino. Ognuno di loro prese una pala e cominciò a buttare terra all’interno del pozzo. L’asino non tardò a rendersi conto di quello che stavano facendo e cominciò a ragliare ancora più forte.

Dopo un po’ l’asino non emise più alcun suono.

Il contadino si affacciò allora nel pozzo per vedere se fosse già morto, ma con grande stupore, non solo era ancora vivo, ma si stava scrollando di dosso la terra e avendola fatta cadere al suolo ci saliva sopra.

In men che non si dica l’asino riuscì ad arrivare all’apertura del pozzo e a uscirne trottando.

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IL RACCONTO TERAPEUTICO DELLA GARA DEI RANOCCHI

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Quel giorno si sarebbe tenuta una famosa competizione di ranocchi. Il primo a raggiungere la sommità della torre sarebbe stato il vincitore.

La folla giunse da ogni parte della città ad ammirare la gara ma non appena iniziò si accorsero di quanto fosse alta quella torre.

I ranocchi cominciarono a saltare con grande determinazione ma tra la folla cominciarono a farsi largo alcuni commenti: “È impossibile. Non ce la faranno mai”.

I ranocchi continuavano con impegno e tenacia a saltare ma tra le persone cominciarono a farsi sempre più forti i dubbi su quella gara. La gente non credeva possibile che i ranocchi potessero raggiungere la cima della torre: “È troppo alta! Non ce la possono fare!”. Alcuni ranocchi udendo tali commenti cominciarono ad abbandonare la competizione, mentre altri continuarono la loro corsa.

Nel frattempo la folla proseguiva con i suoi commenti: “Poveretti, che pena! Non ce la faranno mai!”. Altri ranocchi ascoltando quei commenti si accorsero di quanto fosse realmente alta la torre e seppur con grande dispiacere si ritirarono dalla gara.

Le persone che osservavano la competizione continuavano a commentare a gran voce: “E’ troppo alta, non ce la faranno mai!”.

Di lì a poco tutti i ranocchi si diedero per vinti, tranne uno che, con grande fatica, arrivò fino alla vetta della torre.

Tutti vollero sapere come quel ranocchio avesse fatto a compiere un’impresa così difficile e quando si avvicinarono a lui per chiederglielo fecero una curiosa scoperta: quel ranocchio vincitore… era sordo!

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IL RACCONTO TERAPEUTICO DELL’ALBERO TRISTE

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C’era una volta un bellissimo giardino, con alberi e fiori di ogni tipo, meli, aranci e rose. Tutti felici e soddisfatti. C’era solo felicità in quel giardino, tranne che per un albero che era molto triste. Il povero albero aveva un problema: non sapeva chi fosse!

“Ti manca la concentrazione” gli disse il melo “se davvero ti impegni, puoi fare mele deliziose. Guarda com’è facile”.

“Non ascoltarlo” intervenne il cespuglio di rose “e guarda quanto siamo belle noi!”.

L’albero disperato provò a seguire ogni consiglio. Cercò di produrre mele e far sbocciare rose ma, non riuscendo, a ogni tentativo si sentiva sempre più frustrato.

Un giorno un gufo arrivò nel giardino.

Era il più saggio di tutti gli uccelli e vedendo la disperazione dell’albero esclamò: “Non ti preoccupare. Il tuo problema non è così serio. È lo stesso di tanti esseri umani! Ti darò io la soluzione: non passare la tua vita ad essere ciò che gli altri vogliono che tu sia. Sii te stesso. Conosci te stesso e per far ciò ascolta la tua voce interiore”. Poi il gufo scomparve.

“La mia voce interiore? Essere me stesso? Conoscere me stesso?” l’albero disperato pensava tra sé e sé alle parole del gufo quando all’improvviso comprese. Si tappò le orecchie e aprì il suo cuore e sentì la sua voce interiore che gli stava dicendo “Non darai mai mele perché non sei un melo, e non fiorirai ogni primavera perché non sei un cespuglio di rose. Tu sei una Sequoia, e il tuo destino è crescere alto e maestoso. Sei qui per offrire riparo agli uccelli, ombra ai viaggiatori, bellezza al paesaggio! Tu hai questa missione! Seguila!”.

A queste parole l’albero si sentì forte e sicuro di sé e cessò ogni tentativo di diventare qualcun altro ed esattamente quello che gli altri si aspettavano da lui. In breve tempo riempì il suo spazio e divenne ammirato e rispettato da tutti. Solo da quel momento il giardino divenne completamente felice.

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RIFLESSIONI TERAPEUTICHE DI JUNG

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Di seguito una serie di brevi riflessioni, tratte dagli scritti di Carl Gustav Jung, utili ad approfondire la nostra conoscenza della psiche umana.

1) “Non aggrapparti a qualcuno che se ne va, altrimenti non sarà possibile incontrare chi sta per arrivare”.

2) “Tutto ciò che ci infastidisce negli altri può portare ad una maggiore comprensione di noi stessi”.

3) “L’incontro tra due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche: se c’è qualche reazione, entrambe si trasformano”.

4) “Lodare e predicare la luce non serve a nulla, se non c’è nessuno che possa vederla. Sarebbe invece necessario insegnare all’uomo l’arte di vedere”.

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5) “Conoscere le nostre paure è il metodo migliore per occuparci delle paure degli altri”.

6) “Se sei una persona di talento, questo non significa che hai vinto qualcosa. Significa che hai qualcosa da offrire”.

7) “Gli errori sono, dopotutto, il fondamento della verità. Se un uomo non sa cosa sia un determinato oggetto, sarà pronto ad aumentare la propria conoscenza”.

8) “La vostra visione diventerà chiara solo quando guarderete nel vostro cuore. Chi guarda all’esterno, sogna. Chi guarda all’interno, apre gli occhi”.

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9) “La gente farebbe qualsiasi cosa, non importa quanto sia assurda, per evitare di guardare la propria anima”.

10) “La solitudine non deriva dal fatto di non avere nessuno intorno ma dall’incapacità di comunicare le cose che ci sembrano importanti o dal dare valore a certi pensieri che gli altri giudicano inammissibili”.

11) “La depressione è una signora vestita di nero che bisogna far sedere alla propria tavola ed ascoltare”.

12) “Un uomo che non è passato attraverso l’inferno delle proprie passioni, non potrà mai superarle”.

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13) “La vostra percezione sarà chiara solo quando potrete guardare dentro la vostra anima”.

14) “Il pendolo della mente oscilla tra senso e non senso, non tra giusto e sbagliato”.

15) “Quando un uomo sa più degli altri diventa solitario. Ma la solitudine non è necessariamente nemica dell’amicizia, perché nessuno è più sensibile alle relazioni che il solitario e l’amicizia fiorisce soltanto quando un individuo è memore della propria individualità e non si identifica più negli altri”.

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16) “Un sogno è una porta nascosta nel santuario più profondo e più intimo dell’anima”.

17) “Pensiamo di conoscere totalmente noi stessi. Tuttavia, un amico può facilmente rivelarci qualcosa su di noi di cui non abbiamo assolutamente idea”. (Carl Gustav Jung)

18) “Non sono quello che mi è successo, sono quello che ho scelto di essere”.

19) “È un peccato che noi teniamo conto delle lezioni della vita soltanto quando non ci servono più a niente”.

20) “Pensare è molto difficile. Per questo la maggior parte della gente giudica. La riflessione richiede tempo, perciò chi riflette già per questo non ha modo di esprimere continuamente giudizi”.

Dott. Roberto Cavaliere

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OGNUNO E’ RESPONSABILE DELLA SUA VITA

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Mia madre aveva un sacco di problemi. Non dormiva, si sentiva esausta, era irritabile, scontrosa e acida. Sempre malata, finché un giorno, all’improvviso, lei cambiò.

La situazione era uguale, ma lei era diversa.

Un giorno, mio padre le disse:
– tesoro, sono tre mesi che cerco lavoro e non ho trovato niente, vado a prendermi un po’ di birre con gli amici.
Mia madre gli rispose:
– va bene.

Mio fratello le disse:
– mamma, vado male in tutte le materie dell’università…
Mia madre gli rispose:
– ok, ti riprenderai, e se non lo fai, allora ripeterai il semestre, ma tu pagherai le tasse.

Mia sorella le disse:
– mamma, ho urtato la macchina.
Mia madre le rispose:
– va bene figlia, portala in officina, cerca come pagare e mentre la riparano, muoviti in autobus o in metropolitana.

Sua nuora le disse:
– suocera, verrò a stare qualche mese con voi.
Mia madre le rispose:
– va bene, siediti sul divano e cerca delle coperte nell’armadio.

Tutti a casa di mia madre ci siamo riuniti, preoccupati di vedere queste reazioni. Sospettavamo che fosse andata dal dottore e che le prescrivesse delle pillole di ” me ne frega un cavolo” da 1000 mg… Probabilmente sarebbe andata in overdose.

Abbiamo proposto di aiutare mia madre per allontanarla da ogni possibile dipendenza da qualche farmaco anti-Ira.
Ma la sorpresa è stata quando ci siamo riuniti tutti intorno e mia madre ci ha spiegato:

” mi ci è voluto molto tempo per capire che ognuno è responsabile della sua vita, mi ci sono voluti anni per scoprire che la mia angoscia, la mia mortificazione, la mia depressione, il mio coraggio, la mia insonnia e il mio stress, non risolvevano i suoi problemi.
Io non sono responsabile delle azioni altrui, ma sono responsabile delle reazioni che ho espresso.
Sono quindi giunta alla conclusione che il mio dovere per me stessa è mantenere la calma e lasciare che ognuno risolva ciò che gli spetta.

Ho seguito corsi di yoga, di meditazione, di miracoli, di sviluppo umano, di igiene mentale, di vibrazione e di programmazione neurolinguistica, e in tutti loro, ho trovato un comune denominatore: alla fine tutti conducono allo stesso punto.

E io posso solo avere un’interferenza su me stessa, voi avete tutte le risorse necessarie per risolvere le vostre vite. Io posso darvi il mio consiglio solo se me lo chiedete e voi potete seguirlo o no.

Quindi, da oggi in poi, io smetto di essere: il ricettacolo delle sue responsabilità, il sacco delle sue colpe, la lavandaia dei suoi rimpianti, l’avvocato dei suoi errori, il muro dei suoi lamenti, la depositaria dei suoi doveri, chi Risolve i vostri problemi o il vostro cerchio di ricambio per soddisfare le vostre responsabilità.
D’ ora in poi vi dichiaro tutti adulti indipendenti e autosufficienti.

Da quel giorno la famiglia ha iniziato a funzionare meglio, perché tutti in casa sanno esattamente cosa spetta a loro fare.

Autore:
Una donna felice!!!

Dott. Roberto Cavaliere

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LA METAFORA DELLA CARROZZA

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Il filosofo Gurdjieff paragona l’essere umano ad un veicolo destinato al trasporto di un passeggero e composto da carrozza, cavallo e cocchiere.
La carrozza è il corpo fisico, i cavalli le emozioni, il cocchiere la mente, e infine il passeggero la coscienza l’anima o l’io superiore.
Naturalmente i cavalli, così come le emozioni, vanno controllate, altrimenti la carrozza verrà trascinata a caso senza alcuna meta. Per fare questo esiste il Cocchiere, che rappresenta la nostra mente razionale, e guida i cavalli lungo la retta via. Ma nemmeno il cocchiere, seppure molto bravo a condurre la carrozza, sa esattamente dove andare.
Chi conosce la meta? L’unico a sapere veramente dove andare è il Passeggero della carrozza, che rappresenta il nostro Vero Sè, ed è l’unico che può indicare la strada.
La metafora si sposa perfettamente con la realtà, basti pensare a come i vari elementi sono collegati: i cavalli sono legati alla carrozza tramite delle staffe rigide, che quindi rendono la carrozza (il nostro corpo) estremamente sensibile al movimento dei cavalli (le emozioni).
Il cocchiere (la mente) comanda i cavalli con le redini, che non sono rigide, quindi il controllo delle emozioni non è sempre così ferreo ed efficace. Ci vuole molta dimestichezza e concentrazione per tenere a bada i cavalli.
Il grande problema è che il cocchiere riceve gli ordini dal passeggero solo attraverso la voce, che è un collegamento molto labile e soggetto ad interferenze. E’ esattamente quello che succede: di solito la nostra mente agisce da sola senza ascoltare il proprio Vero Sè (la voce del cuore), confusa dal rumore di fondo rappresentato nella metafora dal frastuono causato dalle ruote e dagli zoccoli sul terreno, e nella realtà dai pensieri compulsivi e incontrollati che affollano continuamente la nostra mente.
Siamo come una carrozza senza il Passeggero, lasciata a se stessa, in balia delle emozioni e di una mente incapace di controllarla, frastornata com’è dal rumore continuo dei pensieri compulsivi.

George Ivanovic Gurdjieff paragona la condizione dell’uomo a quella del sonno: “La condizione fondamentale dell’uomo è il sonno; l’uomo è addormentato, la sua coscienza è ipnotizzata, confusa; egli non sa chi è, non sa perché agisce, è una specie di macchina, un automa, cui tutto “succede”; non ha il minimo controllo sui propri pensieri, sulle proprie emozioni, sulla propria immaginazione, sulla propria attenzione; crede di amare, di desiderare, di odiare, di volere, ma non conosce mai le vere motivazioni di questi impulsi che compaiono e scompaiono come meteore; dice “io sono”, “io faccio”, “io voglio”, credendo di avere davvero un ego unitario, mentre è frammentario in una moltitudine di centri che di volta in volta lo dominano; si illude di avere coscienza di sé, ma non può svegliarsi da sé, può soltanto sognare di svegliarsi; pensa di poter governare la propria vita, ma è una marionetta diretta da forze che ignora; trascorre l’intera esistenza nel sonno e muore nel sonno; passa tutto il tempo in un mondo soggettivo cui non può sfuggire; non è in grado di distinguere il reale dall’immaginario; spreca le proprie energie a inseguire cose superflue; e solo qualche volta si rende conto che non è soddisfatto, che la vita gli sfugge, che sta sciupando l’occasione che gli è stata offerta.”

Dott. Roberto Cavaliere

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