NON COMBATTERE I PENSIERI NEGATIVI

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NON COMBATTERE I PENSIERI NEGATIVI…
non tentare di allontanarli, respingerli ottieni solo di rinforzarli e moltiplicarli.
Lasciali fluire. concentrati su te stesso, e vedrai che, come degli ospiti indesiderati, se ne andranno e riacquisterai la tua serenità.

Eloquente video al riguardo da vedere

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

IL BRANO MUSICALE CHE RIDUCE L’ANSIA

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I neuroscienziati nel Regno Unito hanno trovato che un singolo brano musicale provoca una drastica riduzione del 65 per cento dell’ansia generale.

I ricercatori di Mindlab International nel Regno Unito volevano sapere che tipo di musica indurrebbe il più grande stato di rilassamento. Lo studio ha coinvolto i partecipanti a cercare di risolvere un puzzle difficile – che inevitabilmente ha innescato un certo grado di stress – il tutto mentre erano collegati a dei sensori. Allo stesso tempo, i partecipanti hanno ascoltato una serie di brani mentre i ricercatori misuravano la loro attività cerebrale, la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna e il tasso di respirazione.

Quello che hanno scoperto è che una canzone ha portato ad una riduzione del 65 per cento dell’ansia complessiva dei partecipanti e una riduzione del 35 per cento dei normali tassi di riposo fisiologici.

È interessante notare che la canzone è stata appositamente progettata per indurre questo stato estremo di rilassamento. Creato dalla Marconi Union, i musicisti hanno collaborato con terapisti per organizzare con cura accordi di armonia, ritmi e linee di basso, che a sua volta rallentano la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna dell’ascoltatore, riducendo altresì gli ormoni dello stress come il cortisolo .

Infatti, la musica è così efficace, che molti partecipanti hanno mostrato segni di sonnolenza- al punto che il ricercatore Dr. David Lewis-Hodgson ha consigliato di non ascoltarlo durante la guida.

Il brano in questione è questo,provare per credere:

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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LA VITA DI UN TERAPEUTA

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Riporto questo significativo brano sulla vita di un terapeuta tratto dal libro “Il dono della terapia” di Y. D. Yalom edito da Neri Pozza Editore
(in foto Salone-Studio del dottor Cavaliere)

“La vita di un terapeuta è una vita di servizio in cui ogni giorno trascendiamo i nostri desideri personali e volgiamo lo sguardo alle necessità e alla crescita dell’altro. Traiamo non solo piacere dalla crescita del nostro paziente, ma anche dall’effetto domino o reazione a catena – l’influenza salutare che i nostri pazienti hanno su coloro con cui vengono a contatto nella vita.
Questo è un privilegio straordinario.
È anche una soddisfazione straordinaria.
Noi siamo depositari di segreti. Ogni giorno i pazienti ci offrono i loro, spesso mai condivisi prima. Ricevere tali segreti è un privilegio garantito a pochi. I segreti forniscono una visione dietro le quinte della condivisione umana senza fronzoli sociali, giochi di ruolo, vanterie o recitazioni. Qualche volta i segreti mi colpiscono così profondamente che vado a casa, abbraccio mia moglie ed enumero le mie fortune. Altri segreti mi pulsano dentro e fanno sorgere i miei propri ricordi e impulsi di fuga, dimenticati da tempo. Altri ancora mi rendono triste, come quando sono testimone di come una vita intera possa consumarsi nella vergogna e nell’incapacità di perdonarsi.”

“La terapia non dovrebbe essere guidata dalla teoria, ma dalla relazione.”

“Guardate dal finestrino dell’altro. Cercate di vedere il mondo  come lo vede il vostro paziente.” 

“Una accresciuta sensibilità per i problemi esistenziali influenza profondamente la natura della relazione tra il terapeuta e il paziente.”

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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PERCHE’ SI HA BISOGNO DELLA PSICOTERAPIA

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Questa poesia del poeta spagnolo Marwan esplicita bene quali sono quei disagi personali ed esistenziali che conducono al bisogno di effettuare una psicoterapia.

«Ho bisogno di psicoterapia perché ho cominciato a guardare solo fuori.

Ho bisogno di psicoterapia perché cadere otto volte nello stesso piccolo abisso
non può mai essere casualità bensì causalità.

Ho bisogno di psicoterapia perché il mondo è un abito
che ultimamente mi sta straordinariamente male,
perché il mondo è un abito e, chissà,
un divano forse è il camerino giusto.

Ho bisogno di psicoterapia perché cerco nel piacere
un modo per riempire tutti i vuoti che ho nell’anima
e voglio conoscere questi vuoti per riempirli
con parole di amor proprio, con carezze a me stesso.

Ho bisogno di psicoterapia perché la mia voglia di divorare il mondo
è finita quando ho sentito che il mondo si impegnava a divorare me
e qui non c’è retorica, qui c’è qualcuno che deve imparare
che vivere non è essere pranzo né commensale
e non si può sperare che sia il mondo a impararlo.

Ho bisogno di psicoterapia perché vedo cose
e non è bello vedere in te quello
che tanto ti infastidisce vedere negli altri,
perché a volte sento che nessuno fa parte di me.

Ho bisogno di psicoterapia perché sono un uomo normale
che lavora più del normale, per brillare più del normale,
com’è normale in questo sistema e mi sto rendendo conto
che il normale non ha niente a che vedere con il naturale.

Ho bisogno di psicoterapia perché gli anni mi hanno reso odiosamente responsabile
e crescere non deve consistere solo nel viaggiare verso il paese delle responsabilità.
Deve consistere anche nel vivere in pace con le tue ferite,
in pace con il tuo passato, in pace con le persone.

Ho bisogno di psicoterapia perché pensavo di aver già cancellato tutto
ma la vita ti consegna i problemi pezzo a pezzo
e ha sempre un altro regalo pronto per essere aperto,
per farti crescere ancora un po’.

Ho bisogno di psicoterapia perché ultimamente non ho saputo aprire questi regali.

Per tutte queste ragioni so di aver bisogno di psicoterapia
e sono già al lavoro, in cerca di uno psicologo.»

http://marwanblog.blogspot.it/2013/12/psicoterapia.html

tratta dal libro di Marwan – Tutti i miei futuri sono con te edito da Giunti

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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I VANTAGGI DEL PENSIERO NEGATIVO

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Oggi tutti parlano ‘positivamente’ del ‘pensiero positivo’.

Siti internet, social network, psicologi, coach, counselor, e via dicendo, tutti a declamare i vantaggi del pensiero positivo, ad invitare a vedere il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto.

Ma è effettivamente così positivo il pensiero positivo ? (scusate il gioco di parole)

Lo studioso Burkeman O.nel libro ” La legge del contrario” edito da Mondadori (2015) (che invito a leggere) è appunto di parere contrario e riporto di seguito dei brani tratti dal libro che possono servire a comprendere le sue motivazioni.

La formula generale, al di là delle differenze nell’approccio dell’argomento trattato, sembra essere questa: se ti sforzi di pensare alla positività e al successo, di concentrarti sul raggiungimento degli obiettivi, felicità e successo arriveranno da sé.
Ma il lavoro di svariati studiosi in questo ambito ci suggerisce anche un ‘alternativa più promettente ovvero un approccio alla felicità che potrebbe assumere una forma completamente diversa. Il primo passo è dare un taglio alla ricerca della positività ad ogni costo, al contrario, diversi autori della “via negativa” sostengono, in modo paradossale ma persuasivo, che accogliere deliberatamente ciò che riteniamo negativo sia una precondizione della vera felicità. L’ottimismo incondizionato non fa che acuire lo shock quando le cose vanno per il verso sbagliato: sforzandoci di nutrire esclusivamente convinzioni positive sul futuro, il pensatore positivo finisce per essere meno preparato e più vulnerabile agli (inevitabili) eventi che non riesce a classificare come auspicabili. Voler vedere sempre il bicchiere mezzo pieno richiede uno sforzo costante e faticoso. Se il nostro impegno fallisce o si dimostra insufficiente a reggere uno shock imprevisto, ricadremo in una depressione forse ancora più nera.

La capacità negativa non è sempre superiore al suo opposto. L’ottimismo è meraviglioso, gli obiettivi possono talvolta rivelarsi utili, e persino il pensiero positivo e la visualizzazione positiva hanno i loro vantaggi. Il punto è che nel rapportarci alla felicità abbiamo sviluppato l’abitudine di sopravvalutare sistematicamente la positività e la dimensione del fare, sottovalutando la negatività e la dimensione del non fare insite per esempio nell’accettazione dell’incertezza e della vulnerabilità.

La capacità negativa è l’abilità che metti in campo quando ti dedichi a un progetto – o alla tua vita – in assenza di obiettivi specifici, quando hai il coraggio di riflettere sui tuoi insuccessi, quando rinunci a neutralizzare l’insicurezza e quando lasci perdere le tecniche motivazionali per darti da fare sul serio. Certo, puoi decidere di votarti allo stoicismo (…). Oppure potrai avere un’esperienza alla Eckhart Tolle, di quelle che ti ribaltano la vita. Ma puoi anche trattare queste idee come cassette portautensili dalle quali estrarre gli attrezzi che ti servono. Ognuno di noi può diventare moderatamente stoico, un po’ più buddista o praticare il memento mori con più frequenza: a differenza di tanti metodi di self help che pretendono di essere manuali di vita onnicomprensivi, la via negativa alla felicità non è un pacchetto “tutto o niente”

Personalmente condivido e faccio mia la massima latina che afferma che “La verità sta nel mezzo”

Infine invito a riflettere su questo breve racconto che, indirettamente, la dice lunga sull’utilità dei seminari di crescita personale

Una volta Buddha si trovava in una città, ed un uomo gli si avvicinò. Gli chiese se Dio esistesse e Buddha rispose: “Ovviamente si.” L’uomo se ne andò pensieroso. Poco dopo un altro uomo si avvicinò al Buddha, e gli fece la stessa domanda. Il Buddha rispose: “No, Dio non esiste.” Anche quest’uomo se ne andò pensieroso.

Un discepolo si avvicino a Buddha e gli chiese come mai avesse dato due risposte diverse alla stessa domanda e il Buddha rispose: “Il primo era ateo, mentre il secondo era un profondo credente. Entrambi stavano cercando una conferma alle loro credenze, e speravano che io gli dessi la risposta giusta. Ma la vera risposta giusta non gliela posso dare io, devono scoprirla da soli facendo un percorso di ricerca personale che io non gli posso insegnare.”

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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PRINCIPALI PSICOFARMACI

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L’ATTACCO AL LEGAME

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L’attacco al legame è una modalità che viene messa in atto all’interno di una relazione da parte di uno dei due partner.
Se uno dei due partner presenta forti tratti di ambivalenza affettiva (come i borderline o i bipolari) oscilla costantemente fra il ‘ti amo’ ed il ‘ti odio’, fra idealizzazione e svalutazione dell’altro e della relazione. Inoltre tale partner ha una profonda paura di legarsi perchè ha paura di soffrire se la relazione dovesse finire. 
Ed ecco che periodicamente attacca il legame per non legarsi troppo, per evitare di amare, per non soffrire, sortendo gli effetti opposti a quelli prefissi. Infatti più ‘attacca’ e più si lega, più soffre, più aumenta la sua paura della separazione. Tutto questo si riverbera sull’altro partner che subisce l’attacco in maniera speculare. Diventa necessario prendere atto di tale modalità relazionale al fine di poterla superare.
Roberto Cavaliere Psicoterapeuta

 

Dott. Roberto Cavaliere

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LA PSICOTERAPIA CONTRO L’INSONNIA

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Succede di notte: a riposo, e in assenza di luce naturale, si modificano tutti i parametri vitali e le cellule del corpo si rigenerano. Intanto il cervello memorizza e «dimentica in maniera intelligente», come sintetizzano diversi studi recenti, in particolare quello della University of Wisconsin School of Medicine. In pratica, fa piazza pulita delle informazioni superflue per ricominciare il giorno dopo, fresco e “resettato” correttamente. Accade fisiologicamente, in modo spontaneo. Ma non in tutti. Non nelle file di quell’esercito di persone (12 milioni solo nel nostro Paese secondo l’Associazione Italiana Medicina del Sonno) che nel mondo soffrono di forme di insonnia. Per loro, addormentarsi o mantenere un sonno continuo e ristoratore tutte le notti è una conquista, raggiunta spesso con l’ausilio di ipnotici (farmaci che agiscono selettivamente sui recettori del sonno) o di benzodiazepine (attive su diversi neurotrasmettitori coinvolti nell’ansia e nell’insonnia). 
il fattore psiche gioca un ruolo fondamentale nei disturbi del sonno. «È noto che comuni disagi psicologici contingenti, come lo stress, possono momentaneamente peggiorare la qualità del sonno. Le preoccupazioni per la perdita del suo controllo, insieme alla paura delle conseguenze del non dormire bene, alimentano invece un circolo vizioso che contribuisce a cronicizzare l’insonnia», spiega Alessandra Devoto, psicologa accreditata dall’Associazione Italiana di Medicina del Sonno e docente a contratto dell’Università Sapienza di Roma. Senza dimenticare che esiste una correlazione tra l’insonnia e i disturbi affettivi (come la depressione maggiore e i disturbi bipolari) e quelli d’ansia. «Spesso si tratta di problemi concomitanti, che non hanno un chiaro rapporto causa-effetto. Ma, come evidenziato da alcuni studi, chi soffre di disturbi del sonno ha una probabilità 4 volte maggiore di sviluppare la depressione e il doppio di avere problemi d’ansia. Per questo, l’insonnia cronica può essere considerata anche un fattore di rischio per lo sviluppo di potenziali problemi psicologici», osserva Devoto. Non a caso, le benzodiazepine sono prescritte sia per curare l’insonnia sia i disturbi d’ansia. «Negli ultimi tempi, anche un farmaco utilizzato per la depressione stagionale, l’agomelatina, si è rivelato utile per certe forme d’insonnia, in particolare quelle caratterizzateda risvegli precoci, verso le 3, 4 del mattino», osserva Nobili.
L’agomelatina è una molecola che agisce legandosi ai recettori cerebrali della melatonina, l’ormone secreto dall’organismo a partire dalle 10 di sera, in assenza di luce, e che regola i ritmi sonno veglia. In pratica, ne rinforza l’azione. Ma anche come molecola attiva, la melatonina sta conquistando un’attenzione sempre maggiore, sia perché in alcuni soggetti migliora la qualità del sonno, sia perché, più in generale, lo regola. E non è più solo un rimedio proposto per contrastare la sindrome da jet-lag, ma anche per chi non riesce a mantenere ritmi sonno-veglia regolari (giovani che fanno abitualmente le ore piccole; lavoro notturno; età avanzata). La novità: presto la melatonina non sarà più disponibile come prodotto da banco per dosaggi superiori a 1 mg, ma solo come farmaco, previa presentazione di ricetta. E non è una cattiva notizia: «Può così contare su una maggiore sicurezza ed efficacia, perché sottoposta a un iter di sperimentazione rigoroso, come quello previsto, appunto, per l’approvazione di un farmaco», osserva Nobili. Nonostante il paniere di molecole a disposizione, già relativamente “ricco”, è errato credere che i medicinali siano la soluzione a tutti i mali d’insonnia. «Mentre i farmaci sono generalmente indicati per quelle di breve durata (qualche settimana), il trattamento psicologico è d’elezione per le insonnie croniche, che durano almeno da qualche mese. Tuttavia, i due approcci non sono necessariamente alternativi, ma possono integrarsi e lavorare in sinergia secondo le necessità», spiega Devoto.
Ma come funziona, in sostanza, la terapia psicologica per l’insonnia? Si parte dalla fase di valutazione, con colloqui, test psicologici specifici e monitoraggio del sonno con strumenti di valutazione, come l’actigrafo (un semplice orologio da indossare al polso, che rileva vari parametri del ciclo sonno-veglia e l’attività motoria durante la notte). Fatta la diagnosi, si passa al cuore del trattamento, che è breve (da tre a 10-12 sedute di tipo cognitivo-comportamentale) e integra varie tecniche per rafforzare il sonno (“controllo degli stimoli”, metodi di rilassamento, regole di “igiene del sonno”), nonché alcune strategie che correggono atteggiamenti e idee errate. «Per esempio ritenere che servano almeno 8 ore di sonno per star bene a qualsiasi età», avverte Devoto. «È una falsa credenza, che può indurre a trascorrere a letto più tempo del necessario, coricarsi prima la sera e cercare di fare sonnellini diurni di recupero. Accorgimenti che peggiorano ulteriormente la qualità del sonno, fino a rendere sempre più difficile risolvere il problema in autonomia».
Morale: dopo le prime notti insonni, meglio non temporeggiare e chiedere l’aiuto di uno specialista per correggere le cattive abitudini ed evitare che l’insonnia diventi una compagna di vita. E iniziare subito a seguire semplici regole di “igiene del sonno”: mantenere le abitudini e seguire i rituali che ci fanno sentire bene e più rilassati prima di coricarci. Meglio evitare di fissare luci artificiali dopo le 21-22 (soprattutto iPad e cellulare) perché interferiscono con la sintesi della melatonina (che dà il via all’addormentamento), come ribadito da un recente studio pubblicato su Organizational Behavior and Human Decision Processes. Attenzione anche a porsi nelle condizioni ambientali più favorevoli, regolando il termostato intorno ai 18 gradi: «Temperature più alte tendono a diminuire le fasi di sonno lento e profondo, mentre quelle molto più basse possono rendere difficoltoso addormentarsi», conclude Nobili.

Dott. Roberto Cavaliere

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CONSIGLI PSICOLOGICI PER IL DIABETICO ED I SUOI FAMILIARI

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CONSIGLI PER IL DIABETICO

ACCETTAZIONE
Oggi che siamo immersi nel mito della perfetta efficienza fisica,la scoperta di essere diabetici può rappresentare una “ferita narcisitica” per la propria autostima sopratutto se si ritiene di essere in perfetta condizione fisica.

NORMALITA’
Fondamentale è invece capire che si puo continuare ad avere una vita normale. Anche se il diabete , specie se non adeguatamnete curato puo’ esporre complicanze e rischi di vario genere, queste possono essere tenute sotto controllo.

AUTOSUFFICIENZA.
Essere autosufficienti permette un controllo più continuo e puntuale della propria glicemia, ed aumenta l’autostima personale che viene scossa dallo scoprire di essere diabetici. E’ sempre necessario pero’ ,periodicamente, il consulto specialistico .
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CONSIGLI PER CHI ASSISTE UN FAMILIARE DIABETICO

NON CONSULTARE TROPPI MEDICI.
I consigli più adatti sono dati dai medici che conoscono da tempo il diabetico e i suoi problemi; sentire troppo spesso vari pareri rischia di danneggiare il rapporto di fiducia fra il paziente e il ‘suo’ medico.


RESPONSABILIZZARE IL DIABETICO.
La sensazione di autosufficienza parte del diabetico è importante nel ridurre la progressione o le complicanze del diabete. La responsabilità della terapia deve ricadere il più possibile sul paziente. Intervenite quindi solo quando è necessario.


NON FARLO PER RICEVERE GRATITUDINE
Se per voi è psicologicamente difficile curare un genitore o un partner, lo è ancor di più per il familiare diabetico, che ha perso in parte la sua autonomia. Comportamenti ingrati e perfino di rabbia possono essere ” normali “.


ASSISTENZA SENZA SACRIFICIO
Assistere e curare una persona, soprattutto se si tratta di un familiare, è un modo per crescere e maturare, per aggiungere significato alla propria vita. Quello che state facendo è uno scambio non un dono.


DIRE LA VERITA’.
I diabetici, anche quelli che ostentano ottimismo, ritengono in cuor loro le loro condizioni più gravi di quello che effettivamente sono. Evitate quindi di tenere segrete diagnosi e dati importanti. Spesso avere informazioni chiare, anche se serie, tranquillizza i pazienti e li aiuta a seguire le terapie.

INFORMATEVI A SUFFICIENZA.
Raccogliere informazioni sulla malattia della persona che state aiutando è importante; ma non divenite ‘pseudo-esperti’: non cercate di sapere più dei medici. Vi mancherebbe comunque la conoscenza di insieme e soprattutto il distacco necessario per comprendere le informazioni raccolte.

Dott. Roberto Cavaliere

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