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SMILING DEPRESSION : LA DEPRESSIONE SORRIDENTE

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“Depressione sorridente” è il termine usato per quella persona che vive gli aspetti depressivi internamente, mentre appare perfettamente felice o contento all’esterno. Di solito la loro vita pubblica sembrerebbe normale o perfetta .

La depressione sorridente non è riconosciuta come patologia nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), ma verrebbe probabilmente diagnosticata come disturbo depressivo maggiore con caratteristiche atipiche

Quali sono i sintomi della depressione sorridente?

Chi vive una depressione sorridente  – dall’esterno – apparire felice o contento come gli altri. Al suo interno, tuttavia, starebbe sperimentando i sintomi angoscianti della depressione.

La depressione colpisce tutti in modo diverso e ha una varietà di sintomi, il cui principale è la profonda, prolungata tristezza. Altri sintomi classici includono:

  • cambiamenti nell’appetito, nel peso e nel sonno
  • affaticamento o letargia
  • sentimenti di disperazione, mancanza di autostima e bassa autostima
  • perdita di interesse o piacere nel fare cose che un tempo erano apprezzate

Qualcuno con una depressione sorridente può sperimentare alcuni o tutti i precedenti, ma in pubblico, questi sintomi sarebbero per lo più – se non del tutto – assenti. Per qualcuno che guarda dall’esterno, una persona con una depressione sorridente potrebbe avere il seguente aspetto:

  • un individuo attivo, ad alto funzionamento
  • qualcuno che tiene un lavoro fisso, con una famiglia sana e una vita sociale
  • una persona che sembra essere allegra, ottimista e generalmente felice

Se stai vivendo la depressione e continui a sorridere e ad indossare una facciata, potresti provare:

  • come mostrare segni di depressione sarebbe un segno di debolezza
  • come se dovessi opprimere qualcuno esprimendo i tuoi veri sentimenti
  • che non hai affatto la depressione, perché stai “bene”
  • che altri lo abbiano di peggio, quindi di cosa ti devi lamentare?
  • che il mondo sarebbe meglio senza di te

Un tipico sintomo depressivo sta avendo un’energia incredibilmente bassa e sta diventando difficile persino farlo fuori dal letto al mattino. In depressione sorridente, i livelli di energia potrebbero non essere influenzati (tranne quando una persona è sola).

Per questo motivo, il rischio di suicidio potrebbe essere più alto. Le persone con depressione maggiore a volte si sentono suicide, ma molte non hanno l’energia per agire su questi pensieri. Ma qualcuno con una depressione sorridente potrebbe avere l’energia e la motivazione per farlo.

Come con altri tipi di depressione, la depressione sorridente può essere scatenata da una situazione , come una relazione fallita o la perdita di un lavoro. Può anche essere vissuto come uno stato costante.

Culturalmente, le persone possono affrontare e sperimentare la depressione in modo diverso, compreso il sentirsi più sintomi somatici (fisici) di quelli emotivi. I ricercatori ritengono chequeste differenze possano avere a che fare con il pensiero orientato internamente o esternamente: se il tuo pensiero è orientato esternamente, potresti non concentrarti sul tuo stato emotivo interiore, ma invece potresti sperimentare più sintomi fisici.

In alcune culture o famiglie, anche i livelli più alti di stigma possono avere un impatto. Ad esempio, esprimere emozioni può essere visto come “chiedere attenzione” o come mostrare debolezza o pigrizia.

Se qualcuno ti dice di “Superarlo”o che “Non ci stai provando abbastanza” per sentirti meglio, è meno probabile che in futuro esprimerai queste emozioni.

Questo può essere particolarmente vero per gli uomini sotto esame per la loro mascolinità – che possono essere stati sottoposti a vecchi pensieri come “uomini veri” non piangono. Gli uomini sono molto meno propensi delle donne a cercare aiuto per problemi di salute mentale.

Qualcuno che pensa di essere giudicato per i loro sintomi depressivi sarebbe più propenso a indossare una facciata e tenerlo per sé.

Social media

In un’epoca in cui il 69% della popolazione statunitense utilizza i social media, possiamo essere risucchiati in una realtà alternativa in cui le vite di tutti stanno andando così bene . Ma sono davvero andando che bene?

Molte persone potrebbero non essere disposte o in grado di pubblicare le foto quando sono al loro peggio, preferendo invece condividere solo i loro bei momenti con il mondo. Questo può creare un vuoto di realtà che dà alla depressione sorridente più spazio per crescere.

A volte tutti abbiamo aspettative non realistiche su noi stessi di essere migliori o più forti . Siamo anche influenzati da aspettative esterne – da colleghi, genitori, fratelli, bambini o amici.

Se hai aspettative irrealistiche per te stesso o le aspettative degli altri, potresti essere più propensi a voler nascondere i tuoi sentimenti se non sembrano servire quelle aspettative. Qualcuno con perfezionismo potrebbe essere ancora più a rischio, a causa degli standard impossibilmente elevati a cui si reggono.

Secondo un documento dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) , la depressione sorridente presenta sintomi antitetici (in conflitto) con quelli della depressione classica. Questo può complicare il processo di diagnosi.

Altre difficoltà con la diagnosi di depressione sorridente è che molte persone potrebbero non sapere nemmeno di essere depresse o che non cercano aiuto.

Se pensi di avere la depressione, è importante cercare il trattamento il più presto possibile.

Per essere diagnosticato, dovrai visitare un medico. Il medico le porrà alcune domande sui suoi sintomi e su eventuali grandi cambiamenti della vita che si sono verificati.

Possono anche indirizzarti a un professionista della salute mentale, come uno psichiatra, se trarrai beneficio da farmaci o uno psicologo o un psicoterapeuta.

Per essere diagnosticato come disturbo depressivo maggiore, è necessario aver vissuto un episodio depressivo della durata di più di due settimane, quasi tutto il giorno, quasi ogni giorno. Questi sintomi influenzano il modo in cui senti, pensi e gestisci le attività quotidiane, come dormire, mangiare e lavorare. Ecco cos’altro comporta la diagnosi.

FONTE: https://www.healthline.com/health/smiling-depression#diagnosis

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private in studio, telefoniche e/o via Skype:

tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

L’ELEFANTE NELLA STANZA: QUANDO SI VEDE E NON SI PARLA

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L’Elefante nella stanza  è un’affermazione dei paesi anglosassoni (Elephant in the room) per indicare una verità e/o un problema che, per quanto palesi ed appariscenti per tutti, vengono ignorati o non presi nella giusta considerazione.

Si fa riferimento ad un elefante dentro una stanza che sarebbe impossibile da non vedere; quindi, se le persone all’interno della stanza fanno finta che questo non sia presente, la ragione è che così facendo sperano di evitare di affrontare un problema più che palese. Questo atteggiamento è tipicamente adottato in presenza di vari tipi di problematiche più o meno gravi.

L’Elefante nella stanza può essere a livello individuale, di coppia, familiare e sociale.

A livello individuale quando si è  consapevoli di una problematica personale, ma non palese agli altri e  si continua a non volerne prendere pienamente consapevolezza e/o a non volerle parlare e/o affrontare in nessun modo.

A livello di coppia si verifica allorquando la coppia ha un profondo disagio e/o un’accentuata distanza intepersonale e nessuno dei componenti, pur essendo consapevoli, fa niente per discuterne. Classico esempio è la presenza di un terzo nella coppia (amante) di cui si fa finta di ignorarne la presenza da parte di entrambi. Si ha anche nelle relazioni di coppia allargate come nell’amicizia.

A livello familiare quando è presente una problematica quale: la violenza di vario genere in famiglia, la presenza di una grave malattia fisica e tutti tendono a minimizzare, un segreto familiare che rimane latente e via dicendo. In questi casi nessuno dei componenti ne parla e ne discute: una sorta di omertà familiare.

A livello sociale si verifica sopratutto nelle organizzazioni o nei gruppi, allorquando tutti sanno che qualcosa non và ma nessuno osa affrontare la problematica.

Le ragioni che spingono a non voler vedere l’Elefante nella stanza possono essere diverse: timore di rompere degli equilibri, paura di perdere la relazione coll’altro, incapacità di comunicare i propri pensieri e le proprie emozioni e tant’altro ancora.

Come uscirne ?

  • Affermare tutti insieme ed a voce alta che l’Elefante c’è e bisogna parlarne.
  • Accettare, momentaneamente, la presenza dell’Elefante e non tentare di cacciarlo subito via
  • Accoglierlo con dolcezza come si farebbe con un vero Elefante.
  • Pian piano, riportarlo nel suo habitat naturale, vale a dire trovare la via d’uscita dalla problematica

Dott. Roberto Cavaliere

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COME TERAPIA “DOSI DI NATURA” AL POSTO DEI FARMACI

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Il sistema sanitario scozzese ha creato, recentemente, il programma “Nature Prescription” i cui medici che vi aderiranno, raccomanderanno ad alcuni loro pazienti (principalmente quelli affetti da malattie croniche come ansia, depressione, diabete e ipertensione) delle “dosi” di natura, che saranno parte integrante della terapia “tradizionale”. Il programma è gestito dal National Health Service del Regno Unito e dalla Royal Society of the Protection of Birds (Rspb), un ente per la conservazione della natura, e la sua sperimentazione è iniziata in 10 cliniche pubbliche dell’arcipelago scozzese delle isole Shetland.

Il programma, considerato il primo del suo genere nel Regno Unito, consiste in un approccio non farmacologico, ossia nella prescrizione di diverse attività da svolgere all’aria aperta, partendo proprio dal presupposto che la natura possa effettivamente offrire alle persone benefici per la salute, e aiutare a trattare una serie di problemi quali ansia, depressione, diabete, ipertensione, oltre a migliorare il benessere personale. “Esiste una prova schiacciante che la natura abbia benefici per la salute del corpo e della mente”, afferma Karen MacKelvie, responsabile della comunità Rspb. Infatti, commenta Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (Simg) l’idea non è affatto nuova.

“Tutti i medici sanno che praticare in maniera sistematica alcune buone abitudini, come svolgere regolarmente l’attività fisica, migliora il benessere e la salute delle persone”, spiega l’esperto. “Il concetto di vivere la natura, inoltre, va al di là del puro esercizio fisico. La componente naturalistica, infatti, è una parte fondamentale della terapia, perché aggiungendo rilassamento e distensione apporta un miglioramento conclamato delle condizioni psichiche dei pazienti”. Come precisa l’esperto, ormai da anni i medici dispensano consigli e indicazioni non solo a pazienti affetti da patologie croniche come l’obesità, malattie metaboliche, respiratorie e cardiache, ma anche a persone che sono in buona salute. “L’adozione di uno stile di vita attivo dovrebbe essere una norma assoluta per tutti”, spiega Cricelli. “Tra le tante indicazioni, per esempio, c’è quello di ridurre al minimo l’uso della macchina, fare tra i 5 e i 10mila passi al giorno, evitare le zone affollate e ricche di inquinanti”.

A seconda delle stagioni dell’anno, i medici avranno a disposizione un opuscolo e calendario, grazie ai quali potranno dare consigli e suggerimenti ai loro pazienti su quali attività all’aria aperta potrebbero svolgere. Per esempio, durante l’estate i pazienti potrebbero essere incoraggiati a fare passeggiate sulla spiaggia alla ricerca di conchiglie. In primavera, invece, potrebbero esplorare nuovi sentieri o imparare a riconoscere le piante. Nei mesi invernali, i pazienti saranno ancora invitati a uscire, anche se per periodi di tempo più brevi, magari svolgendo attività come il birdwatching o rimanere fermi per alcuni minuti ad ascoltare i rumori dell’ambiente che li circonda. “In definitiva – si legge nell’opuscolo – i pazienti sono invitati a uscire di casa in qualsiasi condizione atmosferica, sentire l’ebbrezza del vento o della pioggia sul proprio viso, per mantenere un collegamento diretto con la natura per tutto l’anno”.

Con questo programma, il National Health Service non sta suggerendo assolutamente che le “dosi” di natura possano in alcun modo sostituire le medicine convenzionali. “Non si tratta assolutamente di una sostituzione della terapia o di una cura per queste patologie croniche”, spiega Cricelli. “Queste attività sono azioni coadiuvanti ai trattamenti, ovvero devono essere intese come uno strumento di aiuto e complementare ai farmaci che, auspicabilmente, porta a migliorare la salute fisica e mentale delle persone”

fonte: https://www.repubblica.it/salute/2018/10/22/news/raccolta_funghi_passeggiate_e_giardinaggio_i_medici_ora_prescrivono_dosi_di_natura-209194658/?ref=fbpr&fbclid=IwAR350vDAso7OB5ujV3VZ-lPo7x9_yPbCOCGg5XZ5sP8Zgr9205EBZ4EU6E4

Dott. Roberto Cavaliere

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I MANUALI DI AUTO-AIUTO IN PSICOLOGIA NON SONO UTILI

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Il ‘self help’, la psicologia ‘fai-da-te’ che dilaga tra gli scaffali delle librerie, sta diventando come una droga, una dipendenza che dà solo l’illusione di migliorarci e di poter fare ciò che si vuole, portando a una condizione di inadeguatezza e sconforto, causa di stress e depressione. Lo spiega in un’intervista all’ANSA Svend Brinkmann, dell’università danese di Aalborg e autore di ‘Contro il self help – come resistere alla mania di migliorarsi’ (Raffaello Cortina Editore).
“La nostra cultura – spiega – chiede il continuo migliorarsi, non importa quanto sei in gamba, non lo sarai mai abbastanza; ciò crea una mentalità depressiva, infatti chi soffre di depressione ha questa idea di non essere all’altezza”.
La regola numero uno oggi è ‘devi stare al passo’, ma il ritmo è troppo accelerato e finisce per generare una sensazione di alienazione rispetto a quel che facciamo. “Le moderne epidemie di depressione e burn out – spiega – ne sono il risultato”.
“Il problema del self-help – continua Brinkmann – è che fa promesse illusorie di felicità e successo seguendo pochi semplici passi, come se l’individuo potesse controllare tutto e se la felicità fosse una scelta, quindi se sei infelice è solo colpa tua. Il self help è come una droga: compriamo un libro di auto-aiuto che dà l’illusione momentanea di funzionare, ma poi ce ne serve un altro e poi ancora, come accade a un tossicodipendente. La ragione per cui sugli scaffali delle librerie abbiamo tanti libri di self-help è probabilmente che nessuno funziona veramente. Bisogna combattere l’illusione di potersi auto-migliorare venduta senza la minima traccia di evidenza scientifica”.
“Accettare i propri limiti e rifiutare il positivismo a tutti i costi aiuta ad apprezzare di più la propria vita, conclude, scegliete un romanzo piuttosto che un libro di self help; i romanzi ti aiutano a vedere la vita umana nella sua complessità e l’impossibilità di controllarla”.(ANSA).

Dott. Roberto Cavaliere

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IL TEST DELL’OROLOGIO PER DIAGNOSTICARE DISTURBI NEUROLOGICI

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Il test del disegno dell’orologio è un test diagnostico molto semplice da applicare. Il suo scopo è quello di valutare il deterioramento cognitivo dei pazienti ed essere in grado di diagnosticare possibili disturbi neurologici e psichiatrici. Da quando è stato applicato per la prima volta nel 1953, di solito è uno dei test più comuni per identificare la malattia di Alzheimer o altre forme di demenza precoce.

È del tutto possibile che proprio ora, se diciamo che questo test si basa “solo” sul chiedere a una persona di disegnare un orologio le cui lancette compongono l’11 e il 10, più di uno può arrivare a dubitare della sua validità e efficacia diagnostica. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti pratici che dobbiamo considerare riguardo a ciò che questo (apparentemente) semplice compito comporta .

Disegna un orologio È così semplice che è quasi incredibile che sia uno dei test più conclusivi nel rilevare i disturbi cognitivi come il Parkinson o l’Alzheimer.
Prima di tutto, devi capire l’ordine richiesto: “disegna un orologio che segna quel tempo”. Più tardi, la persona deve pianificare, prendersi cura delle proprie prestazioni motorie, regolare la propria percezione visiva, il coordinamento viso motorio e la capacità viso costruttiva. Non è niente, infatti, l’efficienza cognitiva richiesta dal test del clock lo rende uno dei test più utili, specialmente se lo confrontiamo con test più complessi, più costosi e meno affidabili.
Uomo con un dito sulla fronte

Test del disegno dell’orologio per valutare un deficit delle capacità cognitive
Questo test è stato sviluppato e applicato per la prima volta nel 1953.Ha cercato di valutare l’aprassia costruttiva (comune nella demenza ) e anche di identificare l’entità delle lesioni della corteccia parietale. A poco a poco, e vedendo la sua efficacia, divenne uno strumento essenziale per diagnosticare il deterioramento cognitivo associato soprattutto alle prime fasi della malattia di Alzheimer.

L’amministrazione di questo test, come abbiamo indicato, è semplice. Tuttavia, questo deve essere guidato e analizzato da uno psicologo esperto, poiché dal test del disegno dell’orologio è possibile identificare vari disturbi, deficit o lesioni cerebrali. Va anche notato: ci sono fino a 15 modi diversi per valutare questo test.

Come viene testato il test dell’orologio?
Generalmente il professionista può scegliere di amministrare il test in due modi:

Disegno dell’orologio mediante istruzioni. In questo caso, al paziente viene dato un foglio bianco dove deve disegnare un orologio che segna 11.10. È importante che la sfera contenga la corretta distribuzione di ogni ora.
In un altro caso, puoi anche chiedere alla persona di copiare il modello di un orologio già disegnato. La copia deve essere esatta: numeri, dimensioni del quadrante, mani …
Quando il paziente termina il test, gli viene chiesto se ha finito e se pensa di aver fatto bene.
E ‘del tutto possibile che chiediamo ora perché si sceglie esattamente l’orologio segna le 11 e 10. Qualcosa di semplice come questo implica che dovrebbero partecipare 2 visuoatencionales emicampi . Richiede anche che la persona segua le istruzioni, che lo capiscano, che ricordino come sono gli orologi, come viene distribuito ogni fuso orario e che pianificano adeguatamente dove ogni mano è.

Come è valutato il test del disegno dell’orologio?
Come abbiamo sottolineato, ci sono molti modi per valutare questo test. Normalmente puoi vedere la sfera, l’ordine di posizionamento dei numeri, l’orientamento , se si trovano all’interno o all’esterno della sfera, se sono solo su un lato o se c’è un eccesso di numerazione. Nel caso di pazienti con disturbi schizofrenici , ad esempio, di solito appare un’ossessione quasi millimetrica per puntare il quadrante ogni minuto, il che rende il disegno una composizione bizzarra, variegata e quasi inintelligibile.

Una diagnosi precoce ci offrirà l’opportunità di sviluppare strategie migliori , applicare trattamenti appropriati con cui offrire cure complete al paziente e una migliore qualità della vita per rallentare il decorso della malattia. Pertanto, il test del disegno dell’orologio rimarrà uno dei migliori strumenti per la rilevazione di questo tipo di malattie.

fonte:https://lamenteesmaravillosa.com/test-del-dibujo-del-reloj-diagnosticar/
Dott. Roberto Cavaliere

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AUGUST BLUES : LA TRISTEZZA DI AGOSTO

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Secondo Stephen Ferrando, direttore di psichiatria al Westchester Medical Center, il cosiddetto “august blues” è simile al “sunday blues”, ovvero alla tristezza della domenica sera, sperimentata alla fine del weekend e prima dell’inizio di una nuova settimana. La differenza, però, è che il malessere di agosto dura un mese intero.

Il sito “Science of Us” ha indagato intorno alla questione, riportando una serie di opinioni sull’argomento. Secondo Ferrando, il lato negativo della “malinconia di agosto”, oltre alla durata, risiede nel fatto che quest’ultima sarebbe in grado di cogliere tutti, sia gli amanti dell’estate, sia quelli che, in genere, non la sopportano e che non vedono l’ora che finisca: i primi probabilmente si sentiranno ansiosi per l’avvicinarsi della fine della loro stagione preferita, i secondi si sentiranno ancora più tesi perché più vicini al loro “traguardo”. Secondo lo psichiatra, in entrambi i casi è probabile che si avverta una specie di senso di colpa o insoddisfazione per non essere riusciti a fare abbastanza durante questo periodo dell’anno, per non essere stati “al massimo” come la stagione e gli stereotipi legati ad essa ci obbligherebbero ad essere.

L’ansia per la fine dell’estate e la tensione per l’inizio di un nuovo anno, rappresentato dal tanto temuto mese di settembre, sarebbe comune ad ogni età. Rachel Annunziato, professoressa di psicologia alla Fordham University, ha spiegato a “Science of Us” che sia i più piccoli sia i più grandi proverebbero sensazioni simili. Per i bambini in età scolare e i loro genitori, ad esempio, agosto è un mese pieno di eccitazione, di aspettative, ma anche di timore. Gli adulti, in generale, pur avendo superato da tempo il periodo scolastico, continuano a vedere i tre mesi estivi come un momento simbolico di transizione verso il nuovo anno: una fase che, vista da questa prospettiva, raggiunge il culmine proprio nel mese di agosto.

Nel caso in cui i sintomi (diminuiti livelli di energia, stanchezza eccessiva, ipersonnia, iperfagia) si presentino in maniera continuativa e con ondate di “esordio-remissione” della durata di almeno due anni, si può parlare di “depressione stagionale” o “sindrome affettiva stagionale”. Secondo lo psichiatra Ferrando, c’è però una differenza tra la depressione sperimentata in inverno e quella sperimentata in estate: quest’ultima è caratterizzata da una maggiore ansia e agitazione ed è dominata dalla necessità per il soggetto di dover fare qualcosa, spesso di indefinito, mentre quella invernale si caratterizza per essere più “vegetativa”.

Dott. Roberto Cavaliere

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SETTE CONSIDERAZIONI SUL DISTURBO BIPOLARE DI TIPO 2

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Di seguito dei passaggi  dal libro “Una Diversa Follia” di Karla Daugherty,  giornalista americana che convive da più di 40 anni con il Disturbo Bipolare di  tipo 2.

  1. “Il disturbo bipolare è una malattia biologica reale, con una sua chimica cerebrale e persino con specifici aspetti cromosomici. […] La diagnosi di disturbo bipolare II non è una sentenza di morte, non è la cosa peggiore che vi poteva capitare; come vi ho già detto è una malattia, come il diabete o l’affaticamento cronico o l’artrite. Più conoscete questa condizione, più sarete capaci di spiegarla alle persone che vi stanno vicine”.
  2. “La maggior parte dei soggetti con il disturbo bipolare II tende a rimanere in uno stato depressivo per lungo tempo, mentre gli episodi ipomaniacali sono più fugaci. Alcuni entrano in depressione e ci rimangono per anni, e lo stato d’animo positivo che avvertono quando la depressione li ha lasciati non è più necessariamente ipomania. E più invecchiano, più tempo può intercorrere tra le oscillazioni del pendolo. Alcune persone possono avere una remissione a lungo termine, durante la quale i sintomi per fortuna sono tenuti a bada.”
  3. “In un arco temporale di cinque anni, solo il 5-15% delle persone affette da disturbo bipolare II scivolano nel bipolare I. Sono più predisposti alla mania i soggetti con un alterato ciclo sonno-veglia, come chi soffre di jet-lag (cioè ha problemi ad adattarsi ai cambi di fuso orario), deve stare alzato fino alle ore piccole per rispettare una scadenza, deve tranquillizzare il figlio nel mezzo della notte, oppure soffre d’insonnia (che può essere la causa primaria dell’ansia!).”
  4. “Gli studi indicano ancora una volta che il trattamento di qualsiasi disturbo mentale che richieda dei farmaci è molto più efficace se accompagnato da qualche forma di psicoterapia.”
  5. “Nell’odierno mondo del lavoro, l’importante è essere efficienti; se vi impegnate, svolgete il vostro compito, utilizzate le vostre abilità per migliorare l’azienda in cui operate, nessuno si preoccuperà se soffrite di disturbo bipolare II o se i foruncoli vi spuntano sul collo. Se, invece, smettete di lavorare in modo efficiente o i vostri errori cominciano ad accumularsi, allora state certi che il calo del rendimento diventerà un problema. Ma questo vale per chiunque commetta errori che ne compromettono la redditività!”
  6.  “Il bipolare II è un disturbo, certo, ma fa parte di voi come il diabete o un problema cardiaco e, se siete onesti con chi vi circonda, potreste trovare supporto e comprensione; gli altri potrebbero aiutarvi a capire il vostro umore, cioè se state diventando maniacale o depresso.”
  7. “L’autentica definizione di ipomania è l’euforia. […] Purtroppo, l’ipomania bipolare II non dura per sempre, e alla fine sfocia in un episodio depressivo maggiore o nell’equivalente bipolare II della mania, cioè lo stato in cui ansia e paura prendono possesso della nostra vita.”

Dott. Roberto Cavaliere

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CHRISTMAS BLUES: LA MALINCONIA DEL NATALE

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Il fenomeno del “Christmas Blues” è quel velo di tristezza e malinconia che attanaglia tante persone con l’approssimarsi delle festività natalizie e durante il loro decorso.
Tristezza e malinconia dovuta, il più delle volte, ad eventi del passato che hanno caratterizzato in senso negativo questo periodo o ad eventi recenti, come un lutto o una separazione, che acuiscono il senso della perdita e della mancanza durante festività che andrebbero vissute con i propri affetti.
E’ anche dovuto a quel senso di felicità forzata che il clima natalizio vorrebbe imporre e che non si riesce ad avere a causa dei problemi e dei disagi vissuti che non possono scomparire a comando.
Alla fine chi vive questa malinconia aspetta solo che le festività passino del tutto

Dott. Roberto Cavaliere

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COME AIUTARE UNA PERSONA DEPRESSA

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Non è sempre facile sapere come aiutare una persona depressa, anzi, dire o fare la cosa giusta può dimostrarsi molto difficile.
Tutti noi reagiamo alle situazioni e dialoghiamo in modo diverso. Gli approcci seguenti che si basano su questa considerazione, illustrano diversi modi per aiutare un amico o un membro familiare.
Iniziate a parlarne
Fare il primo passo per aiutare una persona che sembra in difficoltà rappresenta un atto delicato che va pensato attentamente. Scegliete un’ora e un luogo adatto per entrambi.
Ascoltate più che parlare
Talvolta, quando una persona a noi cara ha bisogno di parlare, non è necessariamente alla ricerca di consigli, ma vuole semplicemente parlare di alcune cose che la preoccupano. Ascoltare invece di parlare rappresenta un modo di capire come si sente qualcuno. Questo approccio si chiama ascolto attivo. Risparmiate i suggerimenti, le soluzioni e i consigli per un’altra occasione e usate frasi neutre come “Capisco come ciò ti possa turbare”.
Usate un linguaggio del corpo adeguato
Il linguaggio del corpo ha un ruolo importante nell’aiutare una persona cara a sentirsi maggiormente a proprio agio. Cercate di mantenere il contatto visivo e di sedere in una posizione rilassata, in modo da dimostrarle che la state ascoltando.
Fate domande a risposta libera
Le domande a risposta libera rappresentano un buon modo per avviare una conversazione, in quanto sono sostanzialmente una richiesta di maggiori informazioni e non è possibile rispondervi con un semplice “Sì” o “No”. Un esempio è “Allora, dimmi di…?” o “Che cosa ti preoccupa?”
Conversazione difficile
Talvolta, le persone con sintomi di depressione possono provare imbarazzo a parlare apertamente dei propri pensieri ed emozioni. Può anche accadere che si arrabbino se si chiede loro se va tutto bene.
I consigli seguenti possono mostrarsi utili per affrontare le conversazioni difficili:
• Rimanete calmi
• Mantenete un comportamento fermo, equo e coerente
• Se vi sbagliate ammettetelo
• Non perdete il controllo.
Passate del tempo con la persona depressa.
Spesso, basta dedicare del tempo a parlare o stare con una persona per farle capire che tenete a lei e potete aiutarla a comprendere cosa sta passando.
Abbiate cura di voi
In qualità di familiare o amico di una persona alle prese con la depressione, è importante che vi prendiate cura di voi stessi. Dedicate del tempo a rilassarvi e godere delle cose che amate fare

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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C’E’ ASSOCIAZIONE TRA DISTURBI PSICOLOGICI E MALATTIE FISICHE

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Da uno studio pubblicato dai ricercatori dell’Università di Basilea (Svizzera) emergerebbe  un’associazione tra disturbi mentali e patologie fisiche. 

La ricerca è stata condotta sulle condizioni sanitarie di 6.483 ragazzi di età compresa tra 13 e 18 anni, che risiedevano negli Stati Uniti. L’analisi ha permesso di scoprire che nei giovani alcune malattie fisiche tendevano a verificarsi più frequentemente, se in precedenza i partecipanti avevano sofferto di alcuni disturbi mentali. Allo stesso modo, specifici problemi mentali tendevano a verificarsi con maggiore frequenza dopo l’insorgenza di particolari patologie fisiche.

Gli scienziati hanno, infatti, osservato che la depressione era spesso seguita da artrite e malattie del sistema digestivo, mentre l’ansia dalle patologie cutanee. Ma è anche emerso che le possibilità di soffrire di ansia erano maggiori nei soggetti che in passato avevano sofferto di malattie cardiache. Inoltre, per la prima volta è stata rilevata una stretta associazione tra l’epilessia e il successivo sviluppo di disturbi alimentari. 

“Per la prima volta, abbiamo scoperto che l’epilessia è associata a un aumento del rischio di soffrire di disturbi alimentari – spiega Marion Tegethoff, che ha diretto lo studio -. Si tratta di un fenomeno che in precedenza era stato osservato sono in singoli casi. Questo suggerisce che il trattamento dell’epilessia potrebbe essere indirizzato anche alla prevenzione dei disturbi alimentari”.

Lo studio, secondo gli esperti, evidenzierebbe quindi l’esistenza di una relazione causale tra disturbi mentali e malattie fisiche. Pertanto, potrebbe aiutare a migliorare la conoscenza e la cura di questi due tipi di patologie. Inoltre, i risultati suggeriscono che il trattamento dei disturbi mentali e quello delle malattie fisiche dovrebbero essere strettamente interconnessi, fin dalla giovane età.

Dott. Roberto Cavaliere

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