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COMPRENDERE ED EDUCARE UN BAMBINO

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Riporto, di seguito, questa significative riflessioni e citazioni del pedagogo, scrittore e medico polacco Janusz Korczak che sintetizza in maniera esaustiva e profonda la relazione psicologica e pedagogica col bambino.

Chi e quando, in circostanze eccezionali, ha osato percuotere, tormentare, attaccare un adulto? E come sono quotidiani e innocenti una sculacciata, un braccio strattonato, la stretta dolorosa di un abbraccio.

Voglio insegnare a comprendere e amare il creativo «non so» che la scienza moderna sa esprimere nei confronti del bambino: un’ammissione meravigliosa, piena di vita e di abbaglianti sorprese. Voglio che si capisca che nessun libro, che  nessun medico potranno mai sostituire la mente vigile, l’attenzione assorta.

La questione non è se sono intelligenti, ma come lo sono.

E forse ci illudiamo pensando che il bambino sia solo quello che noi vogliamo che sia? Forse si nasconde dinanzi a noi, forse soffre di nascosto?

Restituisci al bambino ciò che hai ricevuto dai tuoi genitori, o lo stai solo cedendo in prestito per poi riaverlo indietro, annotando ogni cosa con cura, calcolando gli interessi?

Tutto il sistema educativo contemporaneo aspira a che il bambino stia comodo. Di conseguenza, passo dopo passo, si adopera a farlo assopire, soffocare, a distruggere tutto ciò che in lui è volontà e libertà, fermezza d’animo, forza dei desideri e degli obiettivi.

Educare un bambino non è un piacevole svago, ma un lavoro in cui occorre impiegare lo fatica di notti insonni, il capitale di dure vicissitudini, e molti pensieri…

Il bambino non è uno sciocco, non ci sono più sciocchi fra di loro di quanti ce ne siano tra gli adulti.

Talvolta i genitori non vogliono sapere ciò che sanno, né vedere ciò che vedono.

I bambini costituiscono gran parte dell’umanità, della popolazione, della nazione, degli abitanti, dei concittadini… sono i nostri compagni di sempre. Ci sono stati, ci saranno e ci sono.

Disprezziamo il bambino perché non sa, non intuisce, non presagisce. Non conosce le avversità e le complicazioni della vita adulta, non sa da dove originino i nostri momenti di esaltazione, di avvilimento, di stanchezza, non sa cosa turbi la pace, cosa inacidisca l’umore: non conosce le sconfitte e i fallimenti dei grandi. È facile farlo assopire, illudere l’ingenuo, nascondere.

Non pensiamo a ciò che offriamo al bambino, ma a ciò che assimila. Perché ogni violenza ed eccesso sono un fardello, ogni parzialità è un possibile errore.

Il bambino è un essere ragionevole, conosce bene le esigenze, le difficoltà e gli ostacoli della sua vita. Non ordini dispotici, non rigorismo e diffidente controllo, ma un’intesa piena di tatto, fiducia nelle sue esperienze, collaborazione e convivenza.

Chi, educato a rigori polizieschi, vorrà afferrare il libro vivente della natura, si ritroverà sommerso dal peso immenso peso delle inquietudini, delle delusioni e delle sorprese.

Nel timore che la morte non porti via il bambino, priviamo il bambino della vita; non volendo che muoia, non gli permettiamo di vivere.

Per fortuna dell’umanità, non possiamo costringere i bambini a cedere agli influssi educativi e agli attentati moraleggianti al loro buonsenso e alla loro sana volontà umana.

Pensando al domani si disprezza ciò che oggi rallegra, addolora, sorprende, fa arrabbiare, diverte il bambino. Per un domani che non comprende, né gli necessita farlo, gli si sottraggono anni di vita, molti anni.

Chi non rifletterà a fondo sul problema dei divieti e degli ordini quando essi sono pochi, non li comprenderà e si smarrirà quando saranno tanti.

Un buon educatore, colui che non costringe ma libera, non trascina ma innalza, non comprime ma forma, non impone ma insegna, non esige ma domanda, passerà insieme ai bambini molti momenti esaltanti.

Lo spirito è mesto nella gabbia stretta del corpo.  La gente pensa e ragiona sulla morte come se fosse la fine; ma è solo il proseguo della vita, è un’altra vita.

I bambini sono le persone del futuro. E dunque devono ancora esistere, è sempre come se non esistessero ancora. Eppure: “noi siamo qui ora, viviamo, sentiamo, soffriamo”.

I bambini non sono più sciocchi degli adulti, hanno solo meno esperienza.

Esisto non per essere amato e ammirato, ma per agire e per amare. Non è obbligo della società aiutarmi, ma è mio dovere prendermi cura del mondo e dell’ambiente.

Se non credi nell’anima, devi pur sapere che il tuo corpo vivrà nell’erba verde, nelle nuvole. Siamo fatti di acqua e di polvere.

Quando ride un bambino, ride tutto il mondo.

Non ci sono bambini,  solo persone. Ma con un’altra scala di nozioni, un altro bagaglio di esperienze, altre passioni, un altri giochi di sentimenti. Ricorda, noi non li conosciamo.

Non è importante sapere molto, ma sapere bene; non conoscere a memoria, ma comprendere; non che tutto importi solo un poco, ma che qualcosa conti veramente

Non ci è concesso lasciare il mondo così come è.

Non auguro a nessuno del male. Non ne sono in grado. Non so come si faccia.

Voi mi dite: «Siamo stanchi di stare con i bambini».  Avete ragione. E dite ancora: «Perché dobbiamo abbassarci al loro livello. Abbassarci, chinarci, piegarci, raggomitolarci». Vi sbagliate, non questo ci affatica, ma il doverci arrampicare fino ai loro sentimenti. Arrampicarci, allungarci, alzarci in punta di piedi, innalzarci. Per non ferirli.

Nella stanchezza mi rinforzo e maturo.

Ho stipulato un contratto con la vita: non ci daremo fastidio l’un l’altra.

Viviamo di corsa, in modo sciatto, superficiale, alla meno peggio.

La mente del bambino è come un bosco, le cime degli alberi si muovono appena, i rami si intrecciano, le foglie ti sfiorano tremanti.

Il bambino è piccolo, leggero, occupa poco spazio. Dobbiamo chinarci, scendere verso di lui.

Abbottonati, perché hai le scarpe infangate, hai fatto i compiti, mostrami le orecchie, tagliati le unghie. E questo ci insegna poco per volta a sfuggire, a nasconderci, anche quando non abbiamo fatto niente di male. E se per caso ci lanciano un’occhiata, ci aspettiamo subito un rimprovero.

Nessuno dirà mai ad un adulto «Vattene», ma a un bambino lo si dice spesso. Quando un adulto si dà da fare il bambino sta fra i piedi, l’adulto scherza e il bambino buffoneggia, l’adulto piange e il bambino frigna e piagnucola, l’adulto è vivace e il bambino irrequieto, l’adulto è triste e il bambino ingrugnato, l’adulto è distratto e il bambino tonto, sciocco. L’adulto è sovrappensiero, il bambino inebetito. L’adulto fa qualcosa con lentezza, il bambino perde tempo. Sono solo modi di dire scherzosi, ma quanto poco delicati. Un bimbetto, un marmocchio, un moccioso, un monello: e questo persino quando non è arrabbiato, quando vuole essere buono. Che farci, ci siamo abituati, ma a volte questo disprezzo dispiace e irrita.

Ti sei abituato all’idea di essere forte, all’improvviso ti senti piccolo e debole. La folla è un gigante, ha un peso complessivo enorme, è la somma di esperienze sterminate. Ora si raccoglie in una resistenza solidale, ora si disintegra in decine di paia di gambe, braccia e teste, ognuna delle quali nasconde altri pensieri, altri segreti del desiderio.

Il bambino ha un futuro, ma ha anche un passato. Avvenimenti degni di nota, ricordi, molte ore dedicate a vitali riflessioni solitarie.  Tanto quanto noi tiene a mente e dimentica, apprezza e disdegna, ragiona secondo logica e sbaglia quando non sa. Si fida e dubita in maniera assennata.

Rispetto per l’ora, per il giorno attuale. Che domani avrà, se oggi non lo lasciamo vivere in maniera cosciente, responsabile? Non calpestare, non maltrattare, non cedere alla schiavitù del domani, non estinguere, non far fretta, non correre.

Rispetto, o addirittura devozione, per l’infanzia bianca, luminosa, immacolata, santa.

Il bambino è una pergamena vergata con geroglifici minuti; riuscirai a decifrarne solo una parte, altri potrai rimuoverli o cancellarli per riempirli dei tuoi contenuti.

Si può pretendere la bontà, ma non quella che è sacrificio.

Se qualcuno ha fatto qualcosa di male, la cosa migliore è perdonarlo. Se ha fatto qualcosa di male perché non sapeva, ora è consapevole. Se ha fatto qualcosa di male senza volerlo, in futuro sarà più prudente. Se ha fatto qualcosa di male perché gli riesce difficile abituarsi, ora si sforzerà di farlo. Se ha fatto qualcosa di male perché lo hanno istigato a farlo, ora non darà più ascolto.

Se gli adulti ce lo chiedessero, potremmo dare molti buoni consigli. Noi sappiamo meglio cosa ci fa male, perché abbiamo più tempo per guardare e pensare a noi stessi, ci conosciamo meglio, passiamo più tempo insieme.  Un bambino da solo può non sapere molto, ma in un gruppo ci sarà sempre chi sa come stanno le cose.

Siamo esperti della nostra vita e dei nostri problemi. Tacciamo semplicemente perché non sappiamo cosa ci è lecito dire e cosa no.

I giovani hanno i propri problemi, grattacapi, lacrime e risa, hanno idee giovani e una giovane poesia. Spesso si nascondono di fronte agli adulti perché si vergognano, non si confidano perché temono che si rida di loro.

I bambini sono giudici di sé stessi e sanno come è difficile non fare niente di sbagliato, sanno che ognuno può migliorare, se vuole e se si sforza di farlo.

Persino se è molto controllato in casa, se malvolentieri lo si lascia uscire da solo, può diventare un ragazzo di strada. Basta un attimo di libertà e comincia a comportarsi da incosciente. Nella folla gli sembrerà di poter fare quel che vuole, , gli verranno in mente scherzi maligni. Spintona, attacca lite, fa pazzie, si guarda intorno cercando di importunare, nascondersi e scappare. Gli  reca piacere esattamente ciò che è proibito.

Se siete in grado di diagnosticare la gioia di un bambino e la sua intensità, dovete rendervi conto che la gioia più grande è quella di una difficoltà superata, di uno scopo raggiunto, di un mistero svelato. La gioia di un trionfo, la felicità dell’indipendenza, del dominare, del padroneggiare.

Un bambino non è un biglietto della lotteria con il quale ti può capitare di vincere un ritratto per la sala delle delibere in Municipio o un busto nella hall di un teatro.

Che cosa è un bambino? Che cosa è dal mero punto di vista fisico? È un sistema in crescita.

Se si divide l’umanità in adulti e bambini, e la vita in infanzia e maturità, di bambini e di infanzia a questo mondo e nella nostra vita ce ne è molto, molto davvero.  Ma, assorti solamente nei propri conflitti,  nelle proprie preoccupazioni, non ce ne curiamo, così come un tempo non ci curavamo delle donne, dei contadini, dei ceti e dei popoli oppressi.

Un bambino: cento maschere, cento ruoli da valente attore. Altro è per la madre, altro per il padre, il nonno, la nonna, altro ancora per il maestro mite o per quello severo, altro in cucina, altro tra i propri coetanei, altro tra i ricchi e i poveri, altro ancora con i vestiti di ogni giorno o quelli della festa.

Molti errori nascono dal fatto che incontriamo il bambino figlio dell’imposizione, della schiavitù, del servaggio, il bambino deviato, amareggiato, ribelle.  Bisogna sforzarsi a lungo di immaginare come è di sua natura, e come potrebbe essere.

L’amore irragionevole può  tormentare i bambini: la legge dovrebbe tutelarli.

L’esperienza di qualche domanda inopportuna, di scherzi mal riusciti, di segreti svelati, di confidenze imprudenti, insegna al bambino a rivolgersi agli adulti come ad animali addomesticati ma pur sempre selvatici, dei quali non si può mai essere del tutto sicuri.

L’anima del bambino è complessa quanto la nostra. Piena delle stesse contraddizioni, tragicamente in lotta con l’eterno: desidero, ma non posso; so che dovrei, ma non ne sono in grado.

Il bambino non può pensare «come un adulto» ma, da bambino, può riflettere sui problemi importanti degli adulti. La mancanza di conoscenza e di esperienza lo costringono a ragionare diversamente.

Il bambino vuole sapere se hai visto una cosa con i tuoi occhi, se l’hai saputa da altri, da dove sei venuto a saperla. Vuole che le risposte siano brevi e risolute, comprensibili, chiare, serie e oneste.

Sarebbe un errore ritenere che capire significhi sottrarsi alle difficoltà.

Un bambino ha bisogno di movimento, di aria, di luce e di armonia, ma anche di qualcos’altro. Far spaziare lo sguardo, il senso di libertà, una finestra spalancata. […] L’educatore deve ambire ai risultati più favorevoli raggiungibili senza violare i diritti umani.

Sii te stesso, cerca la tua strada. Conosci te stesso prima di voler conoscere i bambini. Renditi conto di quello di cui tu stesso sei capace, prima di iniziare a limitare il campo dei loro diritti e doveri.

I bambini sono sempre martiri dell’ansia sul loro supposto benessere; le ingiustizie più grandi originano da questo timore.

Un educatore assennato non tiene il broncio quando non capisce il bambino, ma riflette, cerca, interroga. E i bambini gli insegnano come non far loro troppo male: basta che voglia imparare.

Non dobbiamo tentare di anticipare qualsiasi azione, indicare la strada in ogni momento di incertezza, correre in aiuto a ogni china. Ricordiamo che al momento delle grandi battaglie noi potremmo non esserci.

La scuola dovrebbe essere una fucina dove si forgiano le parole più sante. […] La scuola dovrebbe invocare a gran voce i diritti dell’uomo, biasimare nel modo più fermo e radicale tutto ciò che vi è di torbido nella vita.

Permetti ai bambini di sbagliare e di dirigersi con gioia verso il ravvedimento.

Non l’azione ma l’impulso caratterizza il bambino, le sue valutazioni morali, il suo potenziale futuro di crescita.

Non parlavo ai bambini, ma con i bambini, non dicevo loro ciò che volevo che fossero, ma ciò che volevano e potevano essere.

Se ci sono parole che hai paura di pronunciare, cosa fare allora con le azioni che possono compiere? Un educatore non può avere paura delle parole, dei pensieri o delle azioni del bambino.

 

La Dottoressa Rosalia Cipollina (Psicologa e Psicoterapeuta specializzata in Psicologia Scolastica e dell’età evolutiva) riceve in studio a Roma, Napoli e Salerno ed effettua consulenze telefoniche e via Skype a pagamento per chi è impossibilitato a recarsi in studio.
Per prenotare una consulenza scrivere a cipollinar@iltuopsicologo.it o chiamare il 320 3744077

DISTURBI SCOLASTICI E DELL’INFANZIA

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Tratto da “Diario di scuola” di Daniel Pennac edito da Feltrinelli

…..vi fosse una correlazione tra una classe e un’orchestra.

“Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che suona la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all’insieme. Siccome il piacere dell’armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica.

Il problema è che vogliono farci credere che nel mondo contino solo i primi violini. E alcuni colleghi si credono dei Karajan che non sopportano di dover dirigere la banda del paese. Sognano tutti la Filarmonica di Berlino, è comprensibile….”

Ai prof. Mancano dei corsi di ignoranza!………la vostra primaria qualità dovrebbe essere la capacità di immaginare la condizione di colui che ignora tutto ciò che voi sapete. Sogno un esame di abilitazione in cui si chieda al candidato di ricordare un insuccesso scolastico e di cercare di capire che cosa gli sia successo quell’anno. Accuserebbe il professore, è un trucco che conosco…….Si dovrebbe chiedere al candidato di scavare più in profondità, di cercare davvero di capire perché quell’anno si è arenato. Di cercare dentro di se, intorno a se, nella sua testa, nel suo cuore,nel suo corpo, nei suoi neuroni, nei suoi ormoni, di cercare ovunque. E di ricordarsi anche come se l’è cavata! I mezzi che ha usato!le famose risorse!

…bisognerebbe chiedere agli aspiranti professori i motivi per i quali si sono dedicati a questa materia piuttosto che a un’altra…….. insomma è necessario che coloro che pretendono di insegnare abbiano una visione chiara del loro percorso scolastico. Che riprovino un poco la loro condizione di ignoranza se vogliono avere una minima possibilità di tirarcene fuori.

Disturbi dell’apprendimento
I disturbi delle capacità scolastiche sarebbero presenti in circa il 15% dei bambini che frequentano la scuola, esordendo nell’arco della scuola elementare, più o meno precocemente, anche a seconda della gravità del disturbo. E’ possibile che possano evidenziarsi già nell’ultimo anno di scuola materna, anche se va posta molta cautela nel formulare tale ipotesi (in particolare è possibile osservare difficoltà nella seriazione, nella classificazione e nell’uso del segno grafico).
Le difficoltà di apprendimento rappresentano un disturbo dello sviluppo che può compromettere tutto l’apprendimento scolastico e la maturazione della personalità. È importante distinguere tra disturbi specifici e disturbi generici dell’apprendimento.
Nel caso dei disturbi specifici, le difficoltà mostrate da un bambino riguardano una difficoltà isolata e circoscritta, in una situazione in cui il livello scolastico globale e lo sviluppo intellettivo sono nella norma e non sono presenti deficit sensoriali. È possibile comunque che vi sia una correlazione tra difficoltà diverse: ad esempio una dislessia può essere associata ad una disortografia.

Dislessia : difficoltà a riconoscere e comprendere i segni associati alla parola.

Disgrafia : disturbo della scrittura nella riproduzione dei segni alfabetici e numerici con tracciato incerto, irregolare. E’ una difficoltà che investe la scrittura ma non il contenuto.

Disortografia : è una difficoltà che riguarda il contenuto della scrittura. In genere nel soggetto affetto si riscontrano difficoltà a scrivere le parole usando tutti i segni alfabetici e di collocarli al posto giusto e a rispettare le regole ortografiche (accenti, apostrofi, forme verbali etc.).

Discalculia : difficoltà specifica del calcolo in uno sviluppo normale e in assenza di disturbi affettivi. Il disturbo specifico invece è presente anche se il bambino è stato opportunamente stimolato, ma sono presenti deficit funzionali, cognitivi, percettivi, espressivi e motori.
Le difficoltà generiche (nel calcolo, nella scrittura, nella lettura) in genere sono transitorie e meno gravi e sono imputabili ad una scarsa esperienza di certe attività, per carenza di stimoli ambientali o da errori educativi che richiedono in “anticipo” alcune prestazioni anziché altre.
Questa distinzione è necessaria perché molte volte vengono denominati dislessici, bambini che non lo sono affatto e che magari hanno soltanto un disturbo generico transitorio.
Frequentemente questi disturbi comportano difficoltà di tipo emotivo e sono associati ad altri disturbi specifici di sviluppo o a turbe della condotta.

Disagio affettivo-relazionale-familiare
Rientrano in questa categoria tutte le carenze sociali e ambientali che, in ambito familiare e non, producono manifestazioni riscontrabili nelle difficoltà di apprendimento o si presume che possono nel tempo produrle. È importante tenere conto gli elementi culturali specifici ed aver escluso origini di tipo organico e cognitivo.

Disturbi d’ansia
Si parla di disturbi d’ansia quando vi sono evidenti manifestazioni di sofferenza legate alla separazione dalle persone affettivamente significative (genitori), alla presenza di persone non familiari (insegnanti, operatori scolastici). A volte queste manifestazioni non sono legate alla presenza di persone o eventi specifici.

Disturbi della condotta
Vengono così definiti modalità comportamentali abituali di violazione delle regole del vivere comune o dei diritti degli altri (regole naturalmente rapportate e relazionate all’età del soggetto) che tendono ad esprimersi nei vari ambiti sociali. È importante il riscontro abituale di tali modalità, poiché solo in questo caso sono riconducibili ad un disagio profondo del soggetto e non momentaneo.

Disturbi dell’identità di genere
In questi casi, il bambino sembra “rifiutare”, con evidente disagio, il proprio sesso, desiderando intensamente di appartenere al sesso opposto e cercando di conformarsi al relativo modello comportamentale. Si deve sottolineare che per parlare di un possibile disturbo dell’identità di genere non è sufficiente un generico interesse per i giochi del sesso opposto: si può dire che, ad esempio, nessuna bambina ha un comportamento così femminile come il maschio che presenta disturbi nell’identità di genere.

Disturbi da tic
I tic sono movimenti involontari rapidi, improvvisi e senza finalità che tendono a ripetersi con un ritmo irregolare e in modo stereotipo nella parte del corpo interessata.

Disturbi delle funzioni evacuative
Nel caso della encopresi l’evacuazione si presenta in assenza di patologia organica ed è persistente, per lo più involontaria, ed avviene nei vestiti o in sedi inappropriate, in un’età in cui il bambino dovrebbe aver acquisito il normale controllo sfinterico (che in genere accade verso i 4 anni). L’enuresi è l’emissione di urine involontaria, talvolta volontaria, in sedi inappropriate, solitamente i vestiti o il letto, in bambini di un’età (almeno 5 anni) in cui il controllo della minzione dovrebbe già essere stato acquisito. Si può parlare comunque di enuresi quando si presenti tale manifestazione almeno dopo 18 mesi dall’acquisizione di un normale controllo della minzione.

Disturbi del linguaggio
Queste difficoltà comprendono disturbi dell’articolazione della parola, del linguaggio espressivo e della ricezione del linguaggio.
Nel periodo compreso tra i 3 e i 6 anni circa il 10% dei bambini presenta difficoltà nell’articolazione dei suoni e non si arricchisce delle consonanti più evolute: sono frequenti gli errori, le omissioni, le sostituzioni.
Il disturbo del linguaggio espressivo consiste in una grande limitazione del vocabolario, che risulta al di sotto della soglia di evoluzione rispetto all’età, povero, telegrafico.
Il disturbo della ricezione del linguaggio, che si presenta come esordio intorno ai 4 anni, riguarda la comprensione che, a seconda dei casi , interesserà frasi semplici o espressioni più differenziate od evolute.
Il farfugliamento consiste in un’esposizione particolarmente rapida e poco comprensibile, si presenta in genere dopo i 7 anni.
La balbuzie è invece caratterizzata da anormalità del ritmo e della melodia del discorso con ripetizioni, esitazioni e blocchi soprattutto all’inizio delle parole o delle sillabe. Solitamente ha un esordio intorno ai 5 anni.

Disturbo da deficit di attenzione con iperattività
Tale disturbo è caratterizzato dalla mancanza di attenzione, da impulsività e iperattività motoria non adeguata per l’età del soggetto. I sintomi si rilevano soprattutto nelle situazioni di gruppo, prevalentemente a scuola.

Dott. Rosalia Cipollina