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I “LAVORI” SU NOI STESSI CHE DOVREMMO FARE

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Un giorno una persona salì sulla montagna dove si rifugiava una donna eremita che meditava, e le chiese:
– “Cosa fai in tanta solitudine?”
Al che lei rispose:
– “Ho un sacco di lavoro da fare.”
– “E come fai ad avere così tanto lavoro? …non vedo niente qui…”
– “Devo allenare due falchi e due aquile, tranquillizzare due conigli, disciplinare un serpente, motivare un asino e domare un leone.”
– “E dove sono? …non li vedo…”
– “Li ho dentro.”
– “I falchi si lanciano su tutto quello che mi viene presentato, buono o cattivo, devo allenarli a lanciarsi su cose buone. Sono i miei occhi.”
– “Le due aquile con i loro artigli feriscono e distruggono, devo insegnare loro a non fare del male. Sono le mie mani.”
– “I conigli vogliono andare dove vogliono, scappano dall’affrontare situazioni difficili, devo insegnare loro a stare tranquilli anche se c’è sofferenza o ostacoli. Sono i miei piedi.”
– “L’asino è sempre stanco, è testardo, molto spesso non vuole portare il suo peso. È il mio corpo.”
– “Il più difficile da domare è il serpente. Anche se è rinchiuso in una gabbia robusta, è sempre pronto a mordere e avvelenare chiunque sia vicino. Devo disciplinarlo. È la mia lingua.”
– “Ho anche un leone. Oh… è fiero, vanitoso, crede di essere il re. Devo domarlo. È il mio ego.”
– “Come vedi, amico, ho molto lavoro da fare. E tu? A cosa stai lavorando?”.
(Antica leggenda Zen)

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private (anche telefoniche o via Skype) tel.320-8573502 email:cavaliere@iltuopsicologo.it

NELLE RELAZIONI GUARDA TE STESSO

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Una giovane donna del gruppo di lavoro si diresse verso la responsabile e conduttrice e le disse:
– Non parteciperò più al gruppo.
La responsabile rispose:
– Ma perché?
La giovane donna rispose:
– Vedo la mia collega che parla male di un’altra; un gruppetto che vive parlando e non aiuta, persone che durante la discussione sembrano cercare di mostrarsi invece di ascoltare e tante altre cose deludenti…
La responsabile rispose:
– Va bene, ma prima di andartene, voglio che tu mi faccia un favore: prendi un bicchiere pieno d’acqua e fai tre giri in cerchio senza versare una goccia d’acqua sul pavimento. Dopo di che, puoi uscire dal gruppo.
E la giovane donna pensò: Molto facile!
E ha fatto i tre giri come le ha chiesto la responsabile.
Quando è finita, ha detto:
– Fatto!
E la responsabile le chiese:
– Quando stavi girando, hai visto qualche donna parlare male di un’altra?
La risposta è stata: no
Hai visto le partecipanti lamentarsi l’uno con l’altro?
– No.
Hai visto qualcuno che non stava aiutando?
– No.
– Sai perché? – Eri concentrata sul bicchiere per non buttare via l’acqua.
Lo stesso vale per il nostro gruppo, nelle relazioni e nella vita. Quando il nostro approccio sarà i nostri passi, le nostre riflessioni e la nostra crescita, non avremo tempo per vedere gli errori degli altri.
Liberati dal pregiudizio, dall’opinione degli altri, guarda te stesso.

Dott. Roberto Cavaliere

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ACCETTARE L’ALTRO: LA STORIA DEI DUE VASI

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Un’anziana donna cinese aveva due grandi vasi, ciascuno sospeso all’estremità di un palo che lei portava sulle spalle.

Uno dei vasi aveva una crepa, mentre l’altro era perfetto ed era sempre pieno d’acqua alla fine della lunga camminata dal ruscello verso casa.

Quello crepato invece, arrivava sempre mezzo vuoto. Per due anni interi andò avanti così, con la donna che portava a casa solo un vaso e mezzo d’acqua.

Naturalmente, il vaso perfetto era orgoglioso dei propri risultati mentre il povero vaso crepato si vergognava del proprio difetto ed era avvilito di saper fare solo la metà di ciò per cui era stato fatto.

Dopo due anni che si rendeva conto del proprio amaro fallimento, un giorno parlò alla donna lungo il cammino: “Mi vergogno di me stesso, perché questa crepa nel mio fianco fa sì che l’acqua fuoriesca lungo tutta la strada verso la vostra casa“.

La vecchia sorrise: “Ti sei accorto che ci sono dei fiori dalla tua parte del sentiero ma non dalla parte dell’altro vaso? È perché io ho sempre saputo del tuo difetto, perciò ho piantato semi di fiori dal tuo lato del sentiero ed ogni giorno, mentre tornavamo, tu li innaffiavi. Per due anni ho potuto raccogliere quei bei fiori per decorare la tavola. Se tu non fossi stato come sei, non avrei avuto quelle bellezze per ingentilire la casa”.

Ognuno di noi ha il proprio specifico difetto.

Ma sono proprio la crepa e il difetto che ognuno ha a far sì che l’altro sia interessante e gratificante e che porti ad un effettivo processo di accettazione della persona con cui ci relazioniamo, accogliendo luci ed ombre.

Dott. Roberto Cavaliere

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LA TERAPIA DEL “VINCE CHI MOLLA”

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Il testo della canzone di Niccolò Fabi “Vince chi Molla” ben rappresenta quello che è il concetto del lasciar andare in generale per stare meglio

Infatti trattenere ciò che  che ci crea disagio, ci fà stare male, spesso è controproducente ed ottiene, paradossalmente, l’effetto di rafforzare maggiormente la situazione di disagio e/o di malessere.

Ed ecco che “mollare” può diventare la soluzione anche se richiede pratica ed allenamento perchè spesso si oppone resistenza al “mollare”

Il testo della canzone di seguito ben riassume il tutto.

“Lascio andare la mano
che mi stringe la gola
Lascio andare la fune
Che mi unisce alla riva
Il moschettone nella parete
L’orgoglio e la sete
Lascio andare le valigie
I mobili antichi
Le sentinelle armate in garritta
A Ogni mia cosa trafitta…

Lascio andare il destino
Tutti i miei attaccamenti
I diplomi appesi in salotto,
Il coltello tra i denti
Lascio andare mio padre e mia madre
E le loro paure
Quella casa nella foresta
Un umore che duri davvero

Per ogni tipo di viaggio

È meglio avere un bagaglio leggero.

Distendo le vene
E apro piano le mani
Cerco di non trattenere più nulla
Lascio tutto fluire
L’aria dal naso arriva ai polmoni
Le palpitazioni tornano battiti
La testa torna al suo peso normale
La salvezza non si controlla…
Vince chi molla.
Vince chi molla…”

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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IL SEGRETO DELLA FELICITA’

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… Un mercante, una volta, mandò il figlio ad apprendere il segreto della felicità dal più saggio di tutti gli uomini. Il ragazzo vagò per quaranta giorni nel deserto, finché giunse a un meraviglioso castello in cima a una montagna. Là viveva il Saggio che il ragazzo cercava.

 Invece di trovare un sant’uomo, però, il nostro eroe entrò in una sala dove regnava un’attività frenetica: mercanti che entravano e uscivano, ovunque gruppetti che parlavano, una orchestrina che suonava dolci melodie. E c’era una tavola imbandita con i più deliziosi piatti di quella regione del mondo. Il Saggio parlava con tutti, e il ragazzo dovette attendere due ore prima che arrivasse il suo turno per essere ricevuto.

 Il Saggio ascoltò attentamente il motivo della visita, ma disse al ragazzo che in quel momento non aveva tempo per spiegargli il segreto della felicità. Gli suggerì di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore.

 “Nel frattempo, voglio chiederti un favore”, concluse il Saggio, consegnandogli un cucchiaino da tè su cui versò due gocce d’olio. “Mentre cammini, porta questo cucchiaino senza versare l’olio.”

 Il ragazzo cominciò a salire e scendere le scalinate del palazzo, sempre tenendo gli occhi fissi sul cucchiaino. In capo a due ore, ritornò al cospetto del Saggio.

 Allora, gli domandò questi: “Hai visto gli arazzi della Persia che si trovano nella mia sala da pranzo? Hai visto i giardini che il Maestro dei Giardinieri ha impiegato dieci anni a creare? Hai notato le belle pergamene della mia biblioteca?”

 Il ragazzo, vergognandosi, confessò di non avere visto niente. La sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d’olio che il Saggio gli aveva affidato.

 “Ebbene, allora torna indietro e guarda le meraviglie del mio mondo”, disse il Saggio. “Non puoi fidarti di un uomo se non conosci la sua casa.”

 Tranquillizzato, il ragazzo prese il cucchiaino e di nuovo si mise a passeggiare per il palazzo, questa volta osservando tutte le opere d’arte appese al soffitto e alle pareti. Notò i giardini, le montagne circostanti, la delicatezza dei fiori, la raffinatezza con cui ogni opera d’arte disposta al proprio posto. Di ritorno al cospetto del Saggio, riferì particolareggiatamente su tutto quello che aveva visto.

 “Ma dove sono le due gocce d’olio che ti ho affidato?” domandò il Saggio.

 Guardando il cucchiaino, il ragazzo si accorse di averle versate.

 “Ebbene, questo è l’unico consiglio che ho da darti”, concluse il più Saggio dei saggi.

 “Il segreto della felicità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo senza dimenticare le due gocce d’olio nel cucchiaino.”

– Il segreto della felicita- tratto dall’Alchimista di P. Coelho

Dott. Roberto Cavaliere

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NON DARE MAI PER SCONTATA LA VERITA’

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Un mercante, vedovo, era partito per un viaggio d’affari lasciando a casa il figlio piccolo.

Durante la sua assenza arrivò un gruppo di banditi che saccheggiò e poi incendiò l’intero villaggio. Il mercante, al ritorno, non trovò più la sua casa, ridotta a un cumulo di ceneri, e lì vicino trovò il cadavere carbonizzato di un bambino. Si gettò a terra e pianse a lungo, battendosi il petto e strappandosi i capelli.

Il giorno dopo, il mercante fece cremare il piccolo corpo, quel figlio così caro era l’unica ragione della sua esistenza, dunque cucì un bel sacchettino di velluto e vi mise dentro le ceneri. Dovunque andasse, portava con sè quel sacchetto. L’aveva sempre addosso, quando mangiava, quando dormiva, quando lavorava.

In realtà suo figlio era stato rapito dai banditi. Tre mesi dopo era riuscito a scappare e a tornare a casa; arrivò che erano le due di notte, bussò alla porta della nuova casa che il padre si era costruito. Il povero padre, che giaceva a letto in lacrime, stringendosi al petto il sacchetto con le ceneri, chiese: “Chi è?” “Sono io, sono tuo figlio!” Il padre rispose: “E’ impossibile, mio figlio è morto; ho cremato il suo corpo e porto con me le ceneri. Devi essere un bambino cattivo che sta cercando di imbrogliarmi. Vattene! Smettila di disturbarmi!”

Si rifiutò di aprire la porta. Il bambino non trovò alcun modo di entrare in casa: dovette andarsene, e così quel padre perse per sempre  il figlio

Se ad un certo punto della vostra vita prendete per verità assoluta un idea o una percezione, state chiudendo la porta della mente ed alla fine della ricerca della Verità. Non solo smette di cercare la Verità ma se anche venisse la Verità in persona a bussare alla vostra porta, vi rifiutereste di aprirle.

Storia  e parole del Buddha

 

Dott. Roberto Cavaliere

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RENDERSI CONTO DI AVERE LE ALI

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Di seguito riporto questo breve racconto dell’autore Bruno Ferrero, per poi riflettere, dopo la lettura sul significato profondo.
“Un grande re ricevette in omaggio due pulcini di falco e si affrettò a consegnarli al Maestro di Falconeria perché li addestrasse. Dopo qualche mese, il maestro comunicò al re che uno dei due falchi era perfettamente addestrato.
“E l’altro?” chiese il re.
“Mi dispiace, sire, ma l’altro falco si comporta stranamente; forse è stato colpito da una malattia rara, che non siamo in grado di curare. Nessuno riesce a smuoverlo dal ramo dell’albero su cui è stato posato il primo giorno. Un inserviente deve arrampicarsi ogni giorno per portargli cibo”.
Il re convocò veterinari e guaritori ed esperti di ogni tipo, ma nessuno riuscì a far volare il falco.
Incaricò del compito i membri della corte, i generali, i consiglieri più saggi, ma nessuno poté schiodare il falco dal suo ramo.
Dalla finestra del suo appartamento, il monarca poteva vedere il falco immobile sull’albero, giorno e notte.
Un giorno fece proclamare un editto in cui chiedeva ai suoi sudditi un aiuto per il problema.
Il mattino seguente, il re spalancò la finestra e, con grande stupore, vide il falco che volava superbamente tra gli alberi del giardino.
“Portatemi l’autore di questo miracolo”, ordinò.
Poco dopo gli presentarono un giovane contadino.
“Tu hai fatto volare il falco? Come hai fatto? Sei un mago, per caso?” gli chiese il re.
Intimidito e felice, il giovane spiegò: “Non è stato difficile, maestà. Io ho semplicemente tagliato il ramo. Il falco si è reso conto di avere le ali e ha incominciato a volare”.
BRUNO FERRERO, Ma noi abbiamo le ali
Come nel breve racconto, spesso le persone non osano spiccare il volo ed esprimere al meglio le proprie potenzialità
perchè legate troppo alla sicurezza del ramo su cui poggiano o per dirla in termini psicologici alla propria “zona di comfort”
Ma ecco che la vita d’improvviso può far cadere il ramo su cui si è poggiati e solo in quel momento le persone scoprono di poter avere risorse che neanche immaginavano.
Educare, educarci, ad abbandonare la propria “zona di comfort”o il proprio ramo, è uno dei compiti evolutivi
più importanti che l’uomo possa affrontare.

Dott. Roberto Cavaliere

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CAMBIA L’ELEMENTO E/O LA SITUAZIONE CHE TI CAUSA DOLORE

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“Una figlia si lamentava con suo padre circa la sua vita, e di come le cose le risultavano tanto difficili. Non sapeva come fare per proseguire, e credeva di darsi per vinta. Era stanca di lottare.
Sembrava che quando risolveva un problema, ne apparisse un altro. Suo padre, uno chef di cucina, la portò al suo posto di lavoro.
Lì riempì tre pentole con acqua e le pose sul fuoco. Quando l’acqua delle tre pentole iniziò a bollire, in una collocò carote, in un’altra collocò uova e nell’ultima collocò chicchi di caffé.
Lasciò bollire l’acqua senza dire una parola.
La figlia aspettò impazientemente, domandandosi cosa stesse facendo il padre. Dopo venti minuti, il padre spense il fuoco. Tirò fuori le carote e le collocò in una scodella. Poi tirò fuori le uova e le collocò in un altro piatto. Finalmente, versò il caffé e lo mise in un terzo recipiente. Guardando sua figlia le disse:
” Cara figlia mia, carote, uova o caffé ? “
Poi la fece avvicinare e le chiese di toccare le carote: ella lo fece e notò che erano soffici. In seguito le chiese di prendere un uovo e di romperlo, e mentre lo tirava fuori dal guscio, osservò che l’uovo era diventato sodo. Dopo le chiese che provasse il caffè , ella sorrise, mentre godeva del suo ricco aroma.
Umilmente la figlia domandò:
” Cosa significa questo, papà ? “
Egli le spiegò che i tre elementi avevano affrontato la stessa avversità, ” l’acqua bollente “, ma avevano reagito in maniera differente. La carota si era immersa nell’acqua che era forte, dura, superba, ma quando l’acqua iniziò a bollire era diventata debole,
poco consistente, facile da disfare. L’uovo, invece, si era immerso nell’acqua che era fragile, il suo guscio fine proteggeva il suo interno molle, ma in seguito, per mezzo dell’acqua bollente, il suo interno si era indurito. Invece, i chicchi di caffé, erano unici , dopo essere stati in acqua, bollendo, avevano cambiato l’acqua.
le disse il papà :
” Quale dei tre, sei, figlia mia ? Quando l’avversità suona alla tua porta, come rispondi ?
Sei una carota, che sembra forte, ma quando l’avversità ed il dolore ti toccano, diventi debole e perdi la tua forza ? Oppure sei un uovo, che comincia con un cuore malleabile e buono di spirito, ma che dopo una morte, una separazione, un licenziamento, una delusione, diventa duro e rigido ?
Oppure, sei come un chicco di caffé ? Il caffé cambia l’acqua, l’elemento che gli causa dolore. Quando l’acqua arriva al punto di ebollizione, il caffé raggiunge il suo migliore sapore.
Se sei come il chicco di caffé, quando le cose si mettono al peggio,
saprai reagire in forma positiva, senza lasciarti vincere, e farai in modo che le cose che ti succedono migliorino, perchè esista sempre una luce che illumina la tua strada davanti alle avversità ! “
DAL WEB
Chiedetevi quale delle tre modalità mettete in atto di fronte alle avversità della vita ed adoperatevi al fine di mettere in atto quella che vi permette di cambiare la situazione.

Dott. Roberto Cavaliere

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OGNUNO PROIETTA SULL’ALTRO QUELLO CHE HA DENTRO

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“Una breve storia zen, recita:
C’era una volta un vecchio saggio seduto ai bordi di un’oasi all’entrata di una città del Medio Oriente.
Un giovane si avvicinò e gli domandò:
“Non sono mai venuto da queste parti. Come sono gli abitanti di questa città?”
L’uomo rispose a sua volta con una domanda:
“Come erano gli abitanti della città da cui venivi?”
“Egoisti e cattivi. Per questo sono stato contento di partire di là”.
“Così sono gli abitanti di questa città!”, gli rispose il vecchio saggio.
Poco dopo, un altro giovane si avvicinò all’uomo e gli pose la stessa domanda:
“Sono appena arrivato in questo paese. Come sono gli abitanti di questa città?”
L’uomo rispose di nuovo con la stessa domanda:
“Com’erano gli abitanti della città da cui vieni?”.
“Erano buoni, generosi, ospitali, onesti. Avevo tanti amici e ho fatto molta fatica a lasciarli!”.
“Anche gli abitanti di questa città sono così!”, rispose il vecchio saggio.
Un mercante che aveva portato i suoi cammelli all’abbeveraggio aveva udito le conversazioni e quando il secondo giovane si allontanò si rivolse al vecchio in tono di rimprovero:
“Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda posta da due persone?
“Figlio mio”, rispose il saggio, “ciascuno porta nel suo cuore ciò che è.
Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui.
Al contrario, colui che aveva degli amici leali nell’altra città,troverà anche qui degli amici leali e fedeli.
Perché, vedi, ogni essere umano è portato a vedere negli altri quello che è nel suo cuore.”
Il racconto zen è impernato sul meccanismo di proiezione ben descritto dalla psicanalisi. Vale a dire ognuno proietta all’esterno ciò che risiede dentro di sé. Prendere coscienza delle proprie personali proiezioni permette d’identificarle al fine di poter avere una visione maggiormente obiettiva dei comportamenti altrui.

Dott. Roberto Cavaliere

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LIBROTERAPIA: LEGGERE DOSTOEVSKIJ

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Dobbiamo leggere Dostoevskij quando ci sentiamo a terra, quando abbiamo sofferto sino ai limiti del tollerabile e tutta la vita ci duole come un’unica piaga bruciante e cocente, quando respiriamo la disperazione e siamo morti di mille morti sconsolate. Allora, nel momento in cui – soli e paralizzati in mezzo allo squallore – volgiamo lo sguardo alla vita e non la comprendiamo nella sua splendida, selvaggia crudeltà e non ne vogliamo più sapere, allora, ecco, siamo maturi per la musica di questo terribile e magnifico poeta.

Allora, infatti, non siamo più spettatori, non siamo più giudici e degustatori, ma siamo dei poveretti in mezzo a tutti i poveri diavoli dei suoi romanzi, e soffriamo le loro pene, fissiamo anche noi, ammaliati e senza respiro, il vortice della vita, la macina instancabile della morte. E in quei momenti avvertiamo anche la musica di Dostoevskij, il suo conforto, il suo amore, e solo allora sperimentiamo il senso meraviglioso del suo terrificante e spesso così infernale mondo poetico.

Due forze ci afferrano nei suoi libri. La prima è la disperazione, l’accettazione del male, il subire, il non più opporsi alla crudele, sanguinosa durezza e problematicità della natura umana. Di questa morte bisogna morire, quest’inferno deve essere attraversato, se si vuole che anche l’altra voce del maestro, quelle celestiale, giunga fino a noi. La nuda sincerità con cui si confessa che la nostra vita umana è una cosa misera, incerta e forse disperata, è l’indispensabile premessa. Dobbiamo esserci arresi al dolore, abbandonati alla morte, il ghigno infernale della realtà nuda e cruda deve aver raggelato i nostri occhi, prima che si possa essere in grado di accogliere la profondità e la verità dell’altra, della seconda voce.

Hermann Hesse

Dott. Roberto Cavaliere

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