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I “LAVORI” SU NOI STESSI CHE DOVREMMO FARE

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Un giorno una persona salì sulla montagna dove si rifugiava una donna eremita che meditava, e le chiese:
– “Cosa fai in tanta solitudine?”
Al che lei rispose:
– “Ho un sacco di lavoro da fare.”
– “E come fai ad avere così tanto lavoro? …non vedo niente qui…”
– “Devo allenare due falchi e due aquile, tranquillizzare due conigli, disciplinare un serpente, motivare un asino e domare un leone.”
– “E dove sono? …non li vedo…”
– “Li ho dentro.”
– “I falchi si lanciano su tutto quello che mi viene presentato, buono o cattivo, devo allenarli a lanciarsi su cose buone. Sono i miei occhi.”
– “Le due aquile con i loro artigli feriscono e distruggono, devo insegnare loro a non fare del male. Sono le mie mani.”
– “I conigli vogliono andare dove vogliono, scappano dall’affrontare situazioni difficili, devo insegnare loro a stare tranquilli anche se c’è sofferenza o ostacoli. Sono i miei piedi.”
– “L’asino è sempre stanco, è testardo, molto spesso non vuole portare il suo peso. È il mio corpo.”
– “Il più difficile da domare è il serpente. Anche se è rinchiuso in una gabbia robusta, è sempre pronto a mordere e avvelenare chiunque sia vicino. Devo disciplinarlo. È la mia lingua.”
– “Ho anche un leone. Oh… è fiero, vanitoso, crede di essere il re. Devo domarlo. È il mio ego.”
– “Come vedi, amico, ho molto lavoro da fare. E tu? A cosa stai lavorando?”.
(Antica leggenda Zen)

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private (anche telefoniche o via Skype) tel.320-8573502 email:cavaliere@iltuopsicologo.it

ANSIE E PAURE VANNO ACCOLTE E BACIATE

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“I miei demoni li ho nutriti con l’accettazione e l’ascolto. Li ho fatti sedere intorno a me e li ho chiamati per nome, solo allora hanno smesso di farmi paura e sono diventati alleati potenti.
Avevano il nome di mia madre, , del ricatto, dell’invisibilità, dell’inadeguatezza, del dolore della perdita, della ferita d’amore, della paura.
Finché li ho combattuti o ignorati hanno divorato la mia vita e le mie relazioni.
I demoni vanno abbracciati, in quel momento ti apriranno le porte della rinascita.
Il demone della paura ti parlerà di quanto ti sei allontanata dalla tua natura, ti parlerà delle passioni che hai messo a tacere, della tua voce che non ascolti più, di come sei rimasta incastrata in una vita che non è quella che desideri.
Il demone dell’invisibilitá ti racconterà del tuo bisogno di brillare, quello dell’inadeguatezza ti mostrerà i tuoi doni e il tuo potere personale.
Ognuno di loro avrà una storia da raccontarti, ascoltala. I demoni sono come i draghi, vanno baciati, non vanno uccisi.” Bride an Geal
Il brano riportato sintetizza un concetto essenziale per combattere le proprie ansie e paure: vanno accolte e baciate, non respinte ed uccise. Ansie e Paure possono diventare dei preziosi alleati per poter ritrovare la nostra autenticità e per ritrovare la rinascita perchè spesso insorgono quando abbiamo smarrito noi stessi.
Non aggiungo altro perche il brano riportato descrive, magistralmente, questa nuova visione dei nostri demoni interiori.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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La Lettera di Carl G. Jung sul Significato della Vita

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La seguente lettera fu scritta dal famoso psicanalista C.G.Jung ad una sua amica che aveva perso la persona amata. Nella lettera Jung non cade nella retorica consolatoria ma avvia una profonda riflessione sul significato della vita.

“Mia cara amica,

lei si chiede, e mi chiede, come possa la vita continuare dopo un evento così doloroso come solo può esserlo il distacco dall’amato, dalla persona cioè alla quale abbiamo unito il nostro desiderio e con la quale abbiamo affidato tutto noi stessi nelle mani del futuro. È questo è un interrogativo al quale, debbo confessarle, non so dare risposte.

Per quanto vittoriosa sia la fede, per quanta temperata, pure essa non sovrasta l’enigma della morte.

Quando la morte si manifesta sul nostro cammino, quando ci sottrae il nostro bene, è violenza insostenibile dalla quale sempre siamo sconfitti. E per quanto profonda possa essere, come lei gentilmente mi attribuisce, la conoscenza dell’animo umano, ebbene essa ci conduce solo là dove non si può che ammettere, per quanto a malincuore, la propria ignoranza.

Ugualmente lei mi impone di osare, e giustamente. Ebbene, per cominciare, debbo avvisarla di non prestare orecchio alle facili consolazioni che certamente riceve e riceverà e che sempre più d’altra parte si vanno facendo folla intorno a noi, complice la stessa psicologia di cui vorremmo essere fedeli e umili testimoni.

Le consolazioni consolano anzitutto i consolatori. Consentono a essi di coltivare l’illusione di essere immuni da ciò che agli altri è toccato in sorte, e ancor più d’essere saggi, prudenti e avveduti.

Così sentendosi al riparo e al sicuro, essi conservano la loro buona reputazione al prezzo di qualche buona parola. Ma, può esserne certa, se fossero onesti con se stessi, come dicono di esserlo, con gli altri, dovrebbero ammettere sinceramente che le consolazioni che offrono, consapevoli o meno che ne siano, nascondono null’altro che commiserazione per sé e risentimento per la vita.

Ecco dunque un primo consiglio: né commiserazione per sé né risentimento per la vita.

Benché oscuro sia lo sfondo sul quale la morte si manifesta, altrettanto oscuro quanto quello della vecchiaia e della malattia, per non dire di quello del peccato e della stoltezza, ebbene è lo stesso sfondo sul quale si staglia il sereno splendore della vita.

Per la nostra salute mentale sarebbe perciò un bene non pensare che la morte non è che un passaggio, una parte di un grande, lungo e sconosciuto processo vitale: sia nei giorni dolorosi nei quali precipitiamo per la perdita di chi ci è caro sia nei giorni tristi nei quali siamo sorpresi dal pensiero della nostra stessa morte.

La nostra morte è un’attesa o, se vuole, una promessa che non è mai compiuta. Per questo essa non ci impone di vuotare la nostra vita ma piuttosto di procedere alla sua pienezza.

Mentre la morte ci toglie ciò che ci è più caro, al tempo stesso ci restituisce a ciò che ci è più prezioso. Non è il mistero della morte che siamo chiamati a sciogliere: piuttosto è quello della vita.

La vita è un imperativo assoluto al quale nessuno deve sottrarsi. Per quanto ostico ci paia il compito, per quanto insostenibile, per quanto ostile, abbandonarci a noi stessi, abbandonare noi stessi non è contemplato tra le molte possibilità.

È la vita che dobbiamo piuttosto, direi addirittura, arrenderci alla vita e al suo costante fluire. A questo scorrere non possiamo imporre alcun argine, né potremmo tentare di deviarlo o di mutarne la traiettoria. Ciò sarebbe assai sciocco e per molti versi pericoloso.

Se vogliamo inimicarci la vita, se vogliamo davvero averla contro sappiamo come fare: rinunciamo a viverla. Vi sono numerosi modi per ottenere questo, l’ultimo dei quali, il più stupido e spietato, è troncarla con le nostre stesse mani. Questo è il supremo peccato.

Se ci teniamo al di sopra di questo baratro potremo sempre, in ogni caso, imporre alla vita un corso predeterminato, forzarla o sospenderla, in una parola dirigerla.

Abbiamo infiniti compiti che possiamo imporci e infinite mete verso le quali orientarci. Tutto ciò fa pur sempre parte della nostra vita, ma è ciò che la nostra vita ci chiede? La vita che abbiamo scelto per noi potrebbe infatti rivelarsi ben diversa da quella che avrebbe scelto noi.

Il problema è allora questo: giunto alla fine dalla mia vita che cosa mi ritrovo tra le mani? Se trovo solo il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato non sarà gran cosa. Ma potremmo trovare ben di più, ben di peggio.

Ogni vita non vissuta accumula rancore verso di noi, dentro di noi: moltiplica le presenze ostili.

Così diventiamo spietati con noi stessi e con gli altri. Intorno a noi non vediamo che lotta, cediamo e soccombiamo alle perfide lusinghe dell’invidia. Si dice bene che l’invidia accechi il nostro sguardo è saturo delle vite degli altri, noi scompariamo dal nostro orizzonte. La vita che è stata perduta, all’ultimo, mi si rivolterà contro.

Perciò, l’ultima cosa che vorrei dirle, mia cara amica, è che la vita non può essere, in alcun modo, pura rassegnazione e malinconica contemplazione del passato. È nostro compito cercare quel significato che ci permette ogni volta di continuare a vivere o, se preferisce, di rispondere, a ogni passo, il nostro cammino.

Tutti siamo chiamati a portare a compimento la nostra vita meglio che possiamo.

(C. G. Jung in Jung parla. Interviste e incontri, Ed. Adelphi, 1999)

Dott. Roberto Cavaliere

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LA TERAPIA DEL “VINCE CHI MOLLA”

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Il testo della canzone di Niccolò Fabi “Vince chi Molla” ben rappresenta quello che è il concetto del lasciar andare in generale per stare meglio

Infatti trattenere ciò che  che ci crea disagio, ci fà stare male, spesso è controproducente ed ottiene, paradossalmente, l’effetto di rafforzare maggiormente la situazione di disagio e/o di malessere.

Ed ecco che “mollare” può diventare la soluzione anche se richiede pratica ed allenamento perchè spesso si oppone resistenza al “mollare”

Il testo della canzone di seguito ben riassume il tutto.

“Lascio andare la mano
che mi stringe la gola
Lascio andare la fune
Che mi unisce alla riva
Il moschettone nella parete
L’orgoglio e la sete
Lascio andare le valigie
I mobili antichi
Le sentinelle armate in garritta
A Ogni mia cosa trafitta…

Lascio andare il destino
Tutti i miei attaccamenti
I diplomi appesi in salotto,
Il coltello tra i denti
Lascio andare mio padre e mia madre
E le loro paure
Quella casa nella foresta
Un umore che duri davvero

Per ogni tipo di viaggio

È meglio avere un bagaglio leggero.

Distendo le vene
E apro piano le mani
Cerco di non trattenere più nulla
Lascio tutto fluire
L’aria dal naso arriva ai polmoni
Le palpitazioni tornano battiti
La testa torna al suo peso normale
La salvezza non si controlla…
Vince chi molla.
Vince chi molla…”

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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UN POSSIBILE DECALOGO PER STARE MEGLIO

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1) Lascia andare le persone che condividono solo lamentele, problemi, storie disastrose, paura e giudizio sugli altri. Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia, fa sì che non sia la tua mente.

2) Paga i tuoi debiti in tempo. Nel contempo fai pagare a chi ti deve o scegli di lasciarlo andare, se ormai non lo può fare.

3) Mantieni le tue promesse. Se non l’hai fatto, domandati perché fai fatica. Hai sempre il diritto di cambiare opinione, scusarti, compensare, rinegoziare e offrire un’alternativa ad una promessa non mantenuta; ma non farlo diventare un’abitudine. Il modo più semplice di evitare di non fare una cosa che prometti di fare e dire “no” subito.

4) Elimina nel possibile e delega i compiti che preferisci non fare e dedica il tuo tempo a fare quelli che ti piacciono.

5) Permettiti di riposare quando ti serve e dati il permesso di agire se hai una buona occasione.

6) Butta, raccogli e organizza, niente ti prende più energia di uno spazio disordinato e pieno di cose del passato che ormai non ti servono più.

7) Dà priorità alla tua salute, senza il macchinario del tuo corpo lavorando al massimo, non puoi fare molto. Fai delle pause.

8) Affronta le situazioni tossiche che stai tollerando, da riscattare un amico o un famigliare, fino a tollerare azioni negative di un compagno o un gruppo; adotta l’azione necessaria.

9) Accetta. Non per rassegnazione, ma niente ti fa perdere più energia di litigare con una situazione che non puoi cambiare.

10) Perdona, lascia andare una situazione che è causa di dolore, puoi sempre scegliere di lasciare il dolore del ricordo.

“attribuita” al Dalai Lama

Dott. Roberto Cavaliere

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LA TERAPIA DEL “VOGLIO SAPERE SE…”

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Il brano riportato in basso puà essere utilizzato come esercizio di consapevolezza e conseguente terapia su se stessi. Spesso non si hanno chiari quali sono i propri bisogni, obiettivi, emozioni, aspirazioni e l’utilizzare il brano come una sorte di dialogo interiore in terza persona può aiutare ad individuare quanto non consapevolizzato e dare la spinta per mettere in atto il tutto, trovando il coraggio che manca.

Roberto Cavaliere

“Non mi interessa cosa fai per vivere, voglio sapere per cosa sospiri e se rischi il tutto per trovare i sogni del tuo cuore.
Non mi interessa quanti anni hai, voglio sapere se ancora vuoi rischiare di sembrare stupido per l’amore, per i sogni, per l’avventura di essere vivo.
Non voglio sapere che pianeti minacciano la tua luna, voglio sapere se hai toccato il centro del tuo dolore, se sei rimasto aperto dopo i tradimenti della vita o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro.
Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio e il tuo; se puoi ballare pazzamente e lasciare l’estasi riempirti fino alla punta delle dita senza prevenirti di cautela, di essere realisti, o di ricordarci le limitazioni degli esseri umaniNon voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera.
Voglio sapere se sei capace di deludere un altro essere identico a te stesso, se puoi subire l’accusa di un tradimento e non tradire la tua anima.
Voglio sapere se sei fedele e quindi hai fiducia.
Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando non é bella tutti i giorni.
Se sei capace di far sorgere la vita con la tua sola presenza.
Voglio sapere se puoi vivere con il fracasso, tuo e mio e continuare a gridare all’argento di luna piena: SÌ!
Non mi interessa dove abiti e quanti soldi hai, mi interessa se ti puoi alzare dopo una notte di dolore, triste o spaccato in due, e fare quel che si deve fare per i bambini.
Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare qui, voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco con me e non retrocedere.
Non voglio sapere cosa hai studiato, o con chi o dove, voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l’ha fatto.
Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso, e se veramente ti piace la compagnia che hai…nei momenti vuoti.”

(Scritto da un’indiana della tribù degli Oriah-1890)

Dott. Roberto Cavaliere

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LA TERAPIA DEL “E’ PROIBITO”

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“E’ PROIBITO” tende ad avere una connotazione negativa. Ma proviamo a capovolgere la prospettiva di ciò che è proibito non proibendo (scusate il gioco di parole) ciò che si titiene positivo ma proibendo ciò che si ritiene negativo.
Un utile esercizio potrebbe essere quello di elencare una serie di cose e situazioni che fanno male e/o non si desiderano ed anteporre successivamente l’affermazione “E’ PROIBITO”
Il brano che segue aiuta ad esercitarsi in tal senso.
Roberto Cavaliere
È proibito piangere senza imparare,
svegliarti la mattina senza sapere che fare
avere paura dei tuoi ricordi.
È proibito non sorridere ai problemi,
non lottare per quello in cui credi
e desistere, per paura.
Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realtà.
È proibito non mostrare il tuo amore,
fare pagare agli altri i tuoi malumori.
È proibito abbandonare i tuoi amici,
non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto
e chiamarli solo quando ne hai bisogno.
È proibito non essere te stesso davanti alla gente,
fingere davanti alle persone che non ti interessano,
essere gentile solo con chi si ricorda di te,
dimenticare tutti coloro che ti amano.
È proibito non fare le cose per te stesso,
avere paura della vita e dei suoi compromessi,
non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
È proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire,
dimenticare i suoi occhi e le sue risate
solo perchè le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi.
Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.
È proibito non cercare di comprendere le persone,
pensare che le loro vite valgono meno della tua,
non credere che ciascuno tiene il proprio cammino
nelle sue mani.
È proibito non creare la tua storia,
non avere neanche un momento
per la gente che ha bisogno di te,
non comprendere che ciò che la vita ti dona,
allo stesso modo te lo può togliere.
È proibito non cercare la tua felicità,
non vivere la tua vita pensando positivo,
non pensare che possiamo solo migliorare,
non sentire che, senza di te,
questo mondo non sarebbe lo stesso.
 
Alfredo Cuervo Barrero

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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LA TERAPIA DELL’ASSENZA DELLE EMOZIONI NEGATIVE

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Il seguente brano del filosofo Schopenhauer aiuta a riflettere sul senire il dolore, la preoccupazione, la paura ed altre emozioni negative ma non la loro assenza. Solitamente le emozioni negative sono quelle che si avvetono maggiormente e più difficilmente ma sarebbe necessario allenarsi anche a sentire la mancanza delle emozioni negative come momenti di serenità e piacere.

Una sorte di terapia basata sull’assenza delle emozioni che fanno stare male.

Roberto Cavaliere

Noi sentiamo il dolore, ma non l’assenza del dolore; sentiamo la preoccupazione, ma non l’assenza della preoccupazione; la paura, ma non la sicurezza. Sentiamo il desiderio, così come la fame e la sete; ma non appena è soddisfatto, succede come per il boccone che, nel momento in cui viene inghiottito, cessa di esistere per la nostra sensibilità. Sentiamo amaramente la mancanza di piaceri e di gioie, quando non ci sono; dei dolori invece non sentiamo direttamente la mancanza, anche se non ne proviamo da parecchio tempo, tutt’al più ce ne ricordiamo per mezzo della riflessione. Solo dolore e mancanza infatti possono venire sentiti positivamente, e dunque si fanno sentire da sé: il benessere invece è solo in negativo. Perciò noi ci rendiamo conto direttamente dei beni più grandi della vita, salute, giovinezza e libertà, solo quando le abbiamo perdute: perché anch’esse sono negazioni. Dei giorni felici della nostra vita ci accorgiamo solo quando hanno ormai lasciato il posto a giorni felici.

Arthur Schopenhauer da Il mondo come volontà e rappresentazione

Dott. Roberto Cavaliere

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TEST- ESERCIZIO SUL PROCESSO PSICOLOGICO DELL’ACCETTAZIONE

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“Se accetto pienamente il mio stato, troverò la pace. Non mi lamento del fatto che dovrei essere più santo, più bello, più puro rispetto a quello che sono ora. Quando sono bianco, sono bianco, quando sono nero, sono nero, punto e basta. Questo atteggiamento non impedisce che continui a lavorare su di me per poter diventare uno strumento migliore; l’accettazione di sé non limita le aspirazioni, al contrario, le nutre. Perché ogni miglioramento partirà sempre da ciò che si è realmente.” (Alejandro Jodorowsky)

L’accettazione potremmo definirla la modalità con cui osserviamo noi stessi, gli altri ed il resto del mondo. E’ una modalità di osservazione che richiede, al contrario di quello che si può pensare, mente aperta e volontà al fine di osservare il tutto, possibilmente,  nella sua realtà oggettiva, il meno possibile con valutazioni soggettive e/o di giudizio.

Ad esempio se ci si percepisce ansiosi, depressi, stressati, dipendenti e quant’altro ancora bisogna cercare di averne una visione il meno possibile catastrofica, limitante, giudicante. Si è in quello stato: punto e basta. Lo stesso criterio si applica con gli altri e con il resto del mondo.

L’accettazione tende a favorire il processo di comprensione delle dinamiche personali e degli altri. Questo non significa approvare i nostri comportamenti o quelli altrui

Inoltre Accettare e comprendere porta ad alleviare la sofferenza, a ritrovare serenità.

Il tutto aiuta a perdonare noi stessi ed unitamente a quanto affermato in precedenza getta le basi di un eventuale cambiamento.

TEST SU COSA SIGNIFICA E COMPORTA PER VOI “ACCETTARE”,

Accettare, per me, significa e comporta:

  • Alleviare la Sofferenza;
  • Non Giudicare;
  • Non Approvare ma Comprendere ;
  • Perdonare sè stessi;
  • ……………………….  (provate ad aggiungere voi uno o più significati)
  • ……………………….
  • ……………………….

 

TEST SU QUELLO CHE POSSIAMO ACCETTARE E QUELLO CHE NON POSSIAMO ACCETTARE

“Concedimi la serenità
di accettare le cose che non posso cambiare,
il coraggio per cambiare quelle che posso
e la saggezza per riconoscerne la differenza.”

Dobbiamo anche accettare che non possiamo accettare tutto.

Di seguito elencate quello che potete accettare nella vostra vita di voi stessi, degli altri e del mondo che vi circonda:

Di me posso accettare:

  1. ……………………………..
  2. ……………………………..
  3. ……………………………..

Degli altri posso accettare:

  1. ……………………………..
  2. ……………………………..
  3. ……………………………..

Del mondo che mi circonda posso accettare:

  1. ……………………………..
  2. ……………………………..
  3. ……………………………..

Di seguito elencate quello che NON potete accettare nella vostra vita di voi stessi, degli altri e del mondo che vi circonda:

Di me NON posso accettare:

  1. ……………………………..
  2. ……………………………..
  3. ……………………………..

Degli altri NON posso accettare:

  1. ……………………………..
  2. ……………………………..
  3. ……………………………..

Del mondo che mi circonda NON posso accettare:

  1. ……………………………..
  2. ……………………………..
  3. ……………………………..

Al termine del test-esercizio valutate la differenza tra quello che potete e non potete accettare. Valutate anche se tra quello che non accettate potete effettuare un percorso di accettazione.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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IL PROCESSO PSICOLOGICO DELL’ACCETTAZIONE

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“Se accetto pienamente il mio stato, troverò la pace. Non mi lamento del fatto che dovrei essere più santo, più bello, più puro rispetto a quello che sono ora. Quando sono bianco, sono bianco, quando sono nero, sono nero, punto e basta. Questo atteggiamento non impedisce che continui a lavorare su di me per poter diventare uno strumento migliore; l’accettazione di sé non limita le aspirazioni, al contrario, le nutre. Perché ogni miglioramento partirà sempre da ciò che si è realmente.” (Alejandro Jodorowsky)

L’accettazione potremmo definirla la modalità con cui osserviamo noi stessi, gli altri ed il resto del mondo. E’ una modalità di osservazione che richiede, al contrario di quello che si può pensare, mente aperta e volontà al fine di osservare il tutto, possibilmente,  nella sua realtà oggettiva, il meno possibile con valutazioni soggettive e/o di giudizio.

Ad esempio se ci si percepisce ansiosi, depressi, stressati, dipendenti e quant’altro ancora bisogna cercare di averne una visione il meno possibile catastrofica, limitante, giudicante. Si è in quello stato: punto e basta. Lo stesso criterio si applica con gli altri e con il resto del mondo.

L’accettazione tende a favorire il processo di comprensione delle dinamiche personali e degli altri. Questo non significa approvare i nostri comportamenti o quelli altrui

Inoltre Accettare e comprendere porta ad alleviare la sofferenza, a ritrovare serenità.

Il tutto aiuta a perdonare noi stessi ed unitamente a quanto affermato in precedenza getta le basi di un eventuale cambiamento.

ACCETTARE, quindi, significa e comporta:

  • Alleviare la Sofferenza;
  • Non Giudicare;
  • Non Approvare ma Comprendere ;
  • Perdonare sè stessi;
  • ……………………….  (provate ad aggiungere voi uno o più significati)

Ma l’aspetto più importante è che l’accettazione richiede due sue tempi: un tempo per iniziare ed un tempo per svilupparsi.

Un tempo per iniziare perchè prima è necessario dare spazio ad una componente emotiva inerente la visione personale di noi stessi, degli altri e del resto del mondo. Solo quando questa visione emotiva incomincia ad attenuarsi si può avviare un processo di accettazione che è un processo al contempo emotivo e razionale allo stesso tempo.

Una volta avviata l’accettazione bisogna attenderne , con pazienza, la crescita, l’evoluzione, i continui alti e bassi. A volte si ha la sensazione di averla finalmente raggiunta completamentente, a volte si ha la sensazione di aver fatto dei passsi indietro. Questa discontinuità, che è tipica della maggior parte dei processi psicologici, è, invece, indice che il processo  dell’accettazione è sano. Per cui non bisogna assolutamente scoraggiarsi se si ha l’impressione che a volte si va indietro e non avanti.

Al termine del processo di accettazione si arriva a cmprendere ciò che è ben riassunto in questa citazione:

“Concedimi la serenità
di accettare le cose che non posso cambiare,
il coraggio per cambiare quelle che posso
e la saggezza per riconoscerne la differenza.”

Dobbiamo anche accettare che non possiamo accettare tutto.

Dott. Roberto Cavaliere

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