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DIAGNOSI DI UN DCA

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La diagnosi di un disturbo del comportamento alimentare (DCA) è molto spesso misconosciuta anche dai professionisti della salute mentale. Ciò che qui vogliamo proporvi è un memorandum di alcune domande relative ai DCA che dovrebbero essere poste a tutti i pazienti sospetti. Questo semplice strumento di screening è denominato SCOFF-Questions:
  • Vi sentite male (talvolta al punto di vomitare) quando vi sentite troppo pieni?
  • Vi preoccupate di avere perso il controllo della quantità di cibo ingerito?
  • Recentemente avete perso più di quattrodici libbre di peso in tre mesi?
  • Vi credete grassi anche se gli altri vi ritengono troppo magri?
  • Direste che il cibo domina la vostra vita?
NOTA: Segnate un punto per l’ogni risposta “sì”; un totale di due o più è un’indicazione probabile di anoressia o bulimia nervosa.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

I DISTURBI ALIMENTARI E L’AUTOSTIMA

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Il problema dei disturbi alimentari sta diventando ogni giorno più importante e urgente: i mezzi di comunicazione di massa gli dedicano spazi sempre più ampi; mentre terapeuti e ospedali hanno a che fare con un numero di casi in continua crescita.
L’anoressia e la bulimia sembrano essere i disturbi della nostra epoca. I mass media bombardano il pubblico con immagini di donne snelle e dilaga il modello della magrezza.
In più, negli ultimi vent’anni si è andato evidenziando come il problema del sovrappeso e dell’obesità nell’adulto e nel bambino abbia assunto le dimensioni di una vera emergenza sanitaria.
La letteratura scientifica che si è occupata di disturbi alimentari e di disordini ad essi correlati ha prodotto migliaia di articoli, con una crescita esponenziale soprattutto negli ultimi vent’anni. Attraverso tali ricerche sono state messe in luce relazioni tra disturbi alimentari e ansia di abbandono (Meyer e Waller, 2000), depressione (Mansfield et al., 2000; Stunkard et al., 2003), disturbi ossessivo-compulsivo (Claes et al., 2002), problemi relazionali con i genitori e stili di attaccamento (Ward et al. 2001; Ramacciotti et al., 2001).
E’ stato riscontrato che i disturbi alimentari possono derivare sia da una predisposizione genetica, suggerita dall’osservazione che certi tratti di personalità “corrono nelle famiglie” (Klump et al., 2001; Wade et al., 2000), sia da diversi fattori di rischio ambientali, alcuni dei quali sono esperienze avverse occorse prima dell’insorgenza di tali disordini e osservabili anche in altri disturbi mentali, come abuso sessuale o abbandono (Neumark-Sztainer, 2000; Romans et al., 2001; Molinari, 2001), mentre altri includono peculiari tratti di personalità, quali bassa autostima (Mendelson, 2002) o perfezionismo (Halmi et al., 2000; Bulik et al., 2003).
Non esiste una causa specifica per spiegare la natura e l’insorgenza di un disturbo dell’alimentazione, tutti gli studiosi concordano nell’affermare che per spiegarne l’origine sia necessario ricorrere ad un’ottica “multifattoriale”, cioè ricercare un insieme di fattori che concorrono all’instaurarsi e al mantenersi del disturbo.
Si evidenziano tre tipi di fattori:
-Fattori predisponenti: quei fattori che, se presenti possono favorire l’influenza delle altre cause, possono essere individuali, familiari, ambientali, socioculturali;
-Fattori scatenanti: quegli eventi che possono provocare l’insorgenza del disturbo in persone predisposte, es.: malattia di un genitore, separazione, conflitti familiari;
-Fattori perpetuanti: quei fattori che permettono al disturbo di continuare ad automantenersi nel tempo fino, talvolta a cronicizzare.
Negli ultimi decenni, quando in campo psicologico si parlava di problematiche alimentari, si faceva per lo più riferimento ai disturbi del comportamento alimentare propriamente detti (anoressia e bulimia). Benchè l’obesità non venga inclusa in questa categoria diagnostica e nonostante non venga nemmeno considerata una vera patologia, attraverso numerosi studi (Wardle J. et al.2002; Young-Hymam D. et al. 2003) si è riscontrato che esistono numerosi tratti comuni ai tre tipi di problematiche. Si pensi, ad esempio, al disturbo dell’immagine corporea presenti sia nell’anoressia che nella bulimia che nell’obesità, per quanto con diverse caratteristiche; si pensi alle connotazioni di impulsività o al problema dell’autostima.
A sostegno di ciò, interessanti sono le recenti teorie di Hilde Bruch, di Selvini Palazzoli e Minuchin, i quali, attraverso vari studi, hanno notato come i soggetti con disturbi del comportamento alimentare manifestano sentimenti di inadeguatezza e incompetenza, dovuta alla incongruenza di risposte che ricevono dalla madre sin dalle prime esperienze di vita. In particolare, occupandosi di soggetti con disturbi alimentari, Hilde Bruch ha posto in rilievo una particolare caratteristica psicologica di tali pazienti: un senso paralizzante di “inefficacia” che pervade tutto il pensiero e ogni attività del soggetto.
A partire, quindi dalle teorizzazioni di Hilde Bruch e dalla letteratura scientifica, è possibile affermare che i soggetti con disturbi alimentari (anoressia, bulimia e obesità) presentano una caratteristica comune: un deficit dell’autostima. L’autostima corrisponde all’opinione che l’individuo ha di sé stesso e si organizza sulla base delle proprie esperienze che includono anche il come si è valutati dagli altri con tutte le interazioni che ne derivano. L’autostima è considerata uno schema comportamentale e cognitivo appreso, multidimensionale e riferito ai diversi contesti, che si basa sulla valutazione espressa da un individuo delle esperienze e dei comportamenti passati, influenza i suoi comportamenti attuali e predice quelli futuri. Si può esaminare la formazione dell’autostima pensando al sé percepito e al sé ideale. Il sé percepito equivale al concetto di sé: una visione oggettiva di quelle abilità, caratteristiche e qualità che sono presenti e assenti. Il sé ideale è l’immagine della persona che ci piacerebbe essere. La discrepanza tra sé percepito e sé ideale crea problemi di autostima.
Cooley (1902) afferma che “il sé si forma specchiandosi nelle reazioni degli altri”, quindi se veniamo trattati con noncuranza o disprezzo, o se veniamo giudicati severamente dagli altri, tenderemo di riflesso ad adottare il punto di vista negativo dell’altro che ci viene comunicato.
Anche Rosenberg (1979) sostiene che le reazioni altrui influenzano in modo decisivo la valutazione che operiamo di noi stessi. Le valutazioni degli altri su di noi, quindi e le loro conseguenti disposizioni ad accettarci o rifiutarci svolgono un ruolo estremamente importante nella formazione e nel mantenimento dell’autostima.
Nonostante il peso delle valutazioni altrui ci accompagna e ci condiziona, in misura variabile, per tutta la vita, è importante sottolineare quanto peso abbiano le figure di attaccamento nelle fasi precoci di sviluppo del sé e del primo nucleo dell’autostima: il bambino tende a introiettare i valori di riferimento degli adulti significativi, a far sue le loro richieste e aspettative, a condividere i giudizi e gli atteggiamenti che loro manifestano nei suoi confronti. Quindi, le sue prime autovalutazioni coincideranno in buona misura con quelle che gli altri gli trasmettono, anche in modo indiretto e implicito. Soprattutto, la sua sensazione globale di essere o non essere importante, di valere o non valere qualcosa, nascerà dalla percezione di essere o non essere accettato, apprezzato, riconosciuto importante da queste figure di attaccamento. Questo sentimento così elementare è il primo nucleo della sua autostima che, per quanto primitiva, può essere anche molto solida e difficilmente permeabile.
Una persona con bassa autostima è fortemente motivata a soddisfare il bisogno di relazioni soddisfacenti: essere accettati e approvati dagli altri è per lei di primaria importanza; solo che sembra convinta che il modo migliore per garantirsi l’accettazione sociale sia quello di piegarsi al conformismo, rinunciando a ogni autonomia, iniziativa personale, libertà di giudizio. Crede insomma che, per essere benvoluti dagli altri, sia necessario dar loro ragione, non contrastarli o contraddirli, corrispondere alle loro richieste e aspettative, perché se lei vale poco o nulla è ragionevole essere e mostrarsi dipendenti da loro.
Le ragioni profonde di queste convinzioni vanno ricercate nella storia delle sue prime relazioni significative. Infatti un bambino che ha una relazione insoddisfacente con la propria figura di attaccamento si trova di fronte a due possibili interpretazioni del problema: può pensare che non riceve amore e considerazione per colpa della persona cara, perché quest’ultima è cattiva, incapace, inadeguata; o, al contrario, addossarsi lui la colpa e ritenersi quindi cattivo, incapace, inadeguato (creando così le condizioni di partenza per una bassa autostima). Di fronte a un tale bivio, sono molti i bambini che preferiscono la seconda strada. La scelta è comprensibile se si tiene conto che, nelle loro condizioni di totale dipendenza, risulta meno minaccioso attribuire la colpa all’interno, piuttosto che all’esterno. Infatti, se il bambino crede che le difficoltà che incontra nel rapporto con la persona cara dipendono da lui, può pensare di avere qualche controllo sulla situazione e sperare di riuscire a migliorarla: basta cercare di fare il buono, di non fare arrabbiare l’adulto, di non arrecare disturbo, di conquistare, con i propri sforzi, la sua benevolenza.
Concludendo quindi, un’autostima sana è considerata particolarmente importante sin dall’infanzia, perché è proprio durante quest’età che si gettano le basi delle percezioni che si avranno di sé nel corso della vita. La competenza socio-emozionale che deriva da un’autovalutazione positiva può essere una forza che aiuterà il bambino ad evitare gravi problemi futuri. Un’autovalutazione negativa, al contrario è menzionata come una caratteristica associata a molti disturbi, fra i quali i disturbi del comportamento alimentare.
Sembrano più esposte al rischio di strutturare un disturbo del comportamento alimentare adolescenti di sesso femminile, appartenenti a famiglie in cui già precedentemente un altro membro abbia sofferto di un disordine alimentare (Agras et al., 1999; Cooper et al., 2002) e in quelle dove vi sia una forte motivazione all’affermazione sociale e professionale.
Nonostante l’adolescenza sia considerata la fase cruciale in cui maggiore è l’esordio di disordini alimentari, è tuttavia frequente riscontrare nell’anamnesi di soggetti con tali disturbi segnali di disagio nei rapporti con il cibo e con il loro corpo ben antecedenti all’età adolescenziale, caratterizzati da periodi di rifiuto del cibo, episodiche idiosincrasie per alcuni alimenti, fasi di nutrizione ristretta ad un paio di varietà di cibi.
Elementi cruciali sono l’interesse e la centralità che nelle relazioni affettive del bambino viene ad assumere il cibo; il pasto diventa il terreno su cui si giocano i conflitti, le gratificazioni e le manifestazioni d’affetto.
La preoccupazione per l’alimentazione predomina, nelle cure del neonato, fin dall’inizio della vita. Il bambino, a causa del suo stato di impotenza e di dipendenza totale, deve inizialmente esser nutrito e conquista solo progressivamente quell’autonomia che gli permetterà di nutrirsi da solo. Nel bambino piccolo il piacere di mangiare è legato allo scambio, dato il posto inevitabile che l’alimentazione occupa nei primi rapporti che egli stabilisce con la madre. E’ come se la soddisfazione dei bisogni costituisse per la madre un’occasione per insegnare il piacere al piccolo. Le prime esperienze, quindi, di soddisfazione e di insoddisfazione, di piacere e di dispiacere, di speranza e di delusione, come del resto anche i primi conflitti vengono sperimentati nella relazione alimentare. E’ attraverso la soddisfazione dei suoi bisogni di fame che il bambino apprende a riconoscere e a differenziare in modo esatto i suoi stimoli fisiologici, giungendo a discernerne il significato e ad apprendere i comportamenti adatti per soddisfarli: per questa via egli giungerà alla coscienza della propria identità corporea. Ciò è possibile solo se i genitori considerano il figlio come “un altro da sé” in grado di avere bisogni discordanti dai loro, dalle loro percezioni e concettualizzazioni. Al contrario, una madre iperprotettiva è incapace di concepire il figlio come una persona nel suo proprio diritto. Secondo quest’ottica, i disturbi alimentari vengono definiti non solo dal comportamento di un membro della famiglia, ma dalle interrelazioni di tutti i membri. Secondo le osservazioni di Minuchin (1980) ad esempio, la famiglia anoressica è tipicamente orientata sul figlio che cresce accuratamente protetto dai genitori, i quali si focalizzano sul suo benessere attraverso l’ipervigilanza dei suoi movimenti e dei suoi bisogni psicobiologici.
Attraverso il proprio corpo il figlio attira su di sé l’interesse della famiglia e sviluppa su queste istanze una vigilanza particolare. Dato che la valutazione di ciò che compie è dominio di qualcun altro egli sviluppa un perfezionismo ossessivo. La sua preoccupazione per l’effetto che esercita sugli altri lo porta ad esitare nel prendere iniziative, a comportarsi nel migliore dei modi e a sentirsi profondamente responsabile nel causare un imbarazzo alla famiglia. A causa di ciò è possibile affermare che i disturbi del comportamento alimentare riflettono modalità particolari di funzionamento familiare, quali la tendenza ad evitare i conflitti, un atteggiamento eccessivamente protettivo dei genitori nei confronti dei figli, una mancanza di regole chiare e di confini tra i membri della famiglia, che risulta da un’eccessiva intrusione di ciascuno negli spazi dell’altro. Inoltre, in tali famiglie sono fortemente incoraggiati e premiati la disciplina e il successo. Hamacheck (1978) ha rilevato che in tali famiglie l’amore manifestato dai genitori è condizionato alla performance del bambino che, a sua volta non si sente mai soddisfatto perché il suo comportamento non è mai abbastanza corretto per guadagnare l’approvazione dei genitori e attua uno sforzo continuo per ottenerla, mostrandosi ultracompiacente, maturo, responsabile e serio ma, esigere da un bambino più di quanto non sia capace di dare lo predispone, come affermato sopra, allo sviluppo di una bassa autostima. …Quindi oggi essere sensibili verso i primi segnali di disagio del bambino verso il cibo o mettere in luce funzionamenti familiari disfunzionali che portano allo sviluppo di una bassa autostima, può aiutare a promuovere interventi di prevenzione già nella preadolescenza, quando il disturbo non è divenuto ancora patologico e quindi grave, ma rivela solo un disagio del bambino verso il cibo.

Dr.ssa Roberta Santoro

Psicologa

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

DRUNKORESSIA

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Il termine drunkoressia è stato inventato dai giornalisti del “New York Times” anche se non è ancora riconosciuto dalla medicina ufficiale. Il termine indica un nuovo anomalo e pericoloso comportamento alimentare diffuso fra le adolescenti: mangiare poco fino ad arrivare anche a digiunare per poter assumere forti quantità di alcolici. Lo scopo di tale comportamento è duplice:

  • dimagrire
  • farsi accettare dal gruppo dei pari, in particolare i maschi la cui assunzione di alcolici è legata al divertimento ed alle emozioni. A tal riguardo, pare che i maschi siano particolarmente interessanti le ragazze che assumono comportamenti pericolosi e trasgressivi.

La drunkoressia viene considerata una variante dell’anoressia, ben nota a tutti, ma con una variante di fondo: assumere alcolici, a differenza dell’anoressia, significa assumere calorie, quindi si rinuncia al cibo per poter bere maggiormente.

Vediamo le analogie con l’anoressia:

  • rifiuto drastico del cibo
  • diminuzione di peso
  • uguali criteri diagnostici.

Per quanto riguarda quest’ultimi è necessario rilevare se l’Indice di Massa Corporea (IMC) è calato sotto 17,5 e se è presente amenorrea. L’IMC si ottiene dividendo il peso in chili per il quadrato dell’altezza in metri. L’indice normale nelle donne è tra 19 e 24,5.

La volontà di dimagrire non è fine a sé stessa come nell’anoressia ma è strumentale all’assunzione di alcol. Le ragazze possono non riuscire ad assumere alcolici quando hanno cibo nello stomaco, quindi digiunare è necessario per poter bere. Inoltre nell’anoressia per continuare a dimagrire è necessario mettere in atto altri comportamenti, dopo aver assunto piccole quantità di cibo, quali: autoinduzione del vomito, uso di lassativi, logorante attività fisica. Al contrario l’assunzione di alcol, grazie alla relativo introito di zuccheri, procura un senso di sazietà che permette di non avvertire la fame.

Ma questa differenza è solo una motivazione iniziale. Successivamente la motivazione “drunkoressica” diventa motivazione “anoressica” in quanto dimagrire diventa lo scopo principale e ci si esalta dalla consapevolezza di poter vincere la fame.

I rischi della drunkoressia sono gli stessi dell’anoressia: osteoporosi, alterazioni cardiache, amenorrea. A quest’ultimi si aggiungono quelli derivante dal consumo di alcolici, specie se a digiuno: neuropatie, tremori, danni al fegato ed al cervello col tempo. Questa sintomatologia e acuita nel sesso femminile perché tende ad espellere l’alcol più lentamente del sesso maschile. In entrambi i sessi sono presenti tutte le conseguenze dell’assunzione di alcol in età adolescenziale quando lo sviluppo psicofisico è particolarmente vulnerabile.

Nel momento in cui la drunkoressia raggiunge livelli d’allarme è necessario intervenire come con l’anoressia: terapia di riunitrizione, psicoterapie individuali e di gruppo, eventuali assunzioni di farmaci quando l’alcol è diventata una vera e propria dipendenza. Per attuare tutto ciò potrebbe rendersi necessario rivolgersi ad un centro per i disturbi del comportamento alimentare.

Importante è la prevenzione:

  • educare gli adolescenti alle conseguenze di un uso smodato di alcolici;
  • combattere la cultura dello “sballo”, vale a dire divertimento possibile solo se associato a comportamenti trasgressivi.

Dott. Roberto Cavaliere

Lanciato l’allarme “drunkoressia”

Emerge il nuovo pericoloso volto dell’anoressia

Articolo pubblicato il: 2008-03-03 su Fonte http://notizie.alice.it/

NEW YORK – Ubriache e magre da morire: medici e famiglie negli Usa sono in allarme per un nuovo disturbo alimentare che si aggiunge ai mille volti dell’anoressia. Il New York Times punta i riflettori su quella che i medici Usa chiamano ‘‘drunkoressia”: la variante letale di chi smette di mangiare per poter bere di più. Gli esperti di disordini alimentari hanno creato nuovi termini per definire le varie forme attraverso cui il disagio davanti al cibo diventa malattia: c’è l’ortoressia, ad esempio, in cui l’ossessione maniacale per i cibi sani porta a smettere di mangiare.

Manoressia (da ‘‘man”, uomo) è invece l’anoressia maschile, di cui di recente ha confessato esser stato vittima l’attore Dennis Quaid. Drunk in inglese significa ubriaco: «Ci sono donne che hanno il terrore di mettere un chicco d’uva in bocca ma non esitano a bere alcolici», ha constatato Douglas Bunnell, direttore di una clinica privata per la cura dei disordini alimentari a Filadelfia, il Renfrew Center.

È un fenomeno che Bunnell, ex presidente dell’Associazione Nazionale contro i Disordini Alimentari, ha riscontrato in molte ragazze: «L’ossessione per la magrezza, combinato con l’esempio di celebrità come Paris Hilton, Linsdey Lohan e Britney Spears fa sì che molte lo considerino un dato di fatto, se non addirittura un trend alla moda».

Una dieta Slim Fast, solo più divertente, fino a che le conseguenze del cocktail di abuso di alcol e diete estreme non comincia ad avere un costo pesantissimo per la salute.

‘‘Drunkoressia” non è ancora un termine medico ufficiale, ma si basa su un crescente numero di casi clinici di donne che si affamano per tutto il giorno per bilanciare le calorie che ingurgiteranno la sera sotto forma di alcolici.

Secondo uno studio citato di recente sulla Fox tv il 30 per cento delle ragazze in età di college – quasi una su tre – è pronta a ridurre drasticamente quanto mettono sul piatto pur di poter bere liberamente la sera con gli amici.

Le anoressiche e le bulimiche usualmente evitano l’alcol come la peste per via dell’alto contenuto calorico di vino, birra e superalcolici: alcune di loro però cedono al bere o perché un bicchierino calma l’ansia di dover mangiare o perché allevia l’ansia di aver mangiato troppo. Nei casi più gravi l’alcol è l’unica fonte di calorie della giornata. C’è poi chi beve e vomita: con l’alcol, sostengono gli esperti di disordini alimentari, è molto più facile.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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BULIMIA NERVOSA

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Di norma, alla fine dell’attacco di fame il bulimico vomita quasi tutto quanto ha ingerito ed è quindi in grado di conservare pressochè inalterato il proprio peso. Una donna bulimica appare perfetta, severa, arrogante, fredda, distaccata…non è facile avvicinarsi a lei. E’ un tipo razionale, giudizioso, cerebrale, una persona dalla quale non si vorrebbe essere giudicati. Nessuno sospetterebbe che lei, la perfetta, si rimpinza fino a non poterne più e poi vomita. E’ il suo segreto e per nulla al mondo lo rivelerebbe. Tale segreto la rende intimamente sola, in quanto è qualcosa che non può condividere. Esteriormente appare forte, ma come sia dentro nessuno lo sa.

La donna bulimica accetta solo la propria immagine perfetta e rifiuta il vero Io, che quasi nemmeno conosce e di cui teme il manifestarsi. Nei suoi attacchi incoercibili di fame si impone questa parte diversa, sconosciuta, che è lontana dalle sue pretese di perfezione e che bisogna rendere innocua. La donna bulimica concede troppo poco spazio alla propria vera personalità, che quindi deve trovare uno sbocco a livello fisico. Ciò che le manca a livello cosciente è l’accettazione di sé, la capacità di fare posto al proprio vero Io.Tratto da “Donne che mangiano troppo” di Renate

Criteri diagnostici secondo il DSM IV

Ricorrenti abbuffate. Una abbuffata è caratterizzata da entrambi le condizioni seguenti:
mangiare in un definito periodo di tempo (ad es. un periodo di due ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili.
sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (ad es. sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta mangiando).
Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo.
Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno due volte alla settimana, per tre mesi.
I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei.
L’alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di Anoressia Nervosa.

Sottotipi:

Con Condotte di Eliminazione: nell’episodio attuale di Bulimia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.
Senza Condotte di Eliminazione: nell’episodio attuale il soggetto ha utilizzato regolarmente altri comportamenti compensatori inappropriati, quali il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo, ma non si dedica regolarmente al vomito autoindotto o all’uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.

Caratteristiche diagnostiche.

Le manifestazioni essenziali della Bulimia Nervosa sono: presenza di abbuffate e di inappropriati metodi compensatori per prevenire il conseguente aumento di peso. Inoltre i livelli di autostima sono, nei soggetti con Bulimia Nervosa, eccessivamente condizionati dalla forma e dal peso corporeo. Per giustificare la diagnosi, il soggetto deve avere un minimo di due episodi di abbuffate e di comportamenti compensatori inappropriati alla settimana per almeno tre mesi (criterio C).

Una abbuffata, o crisi bulimica, è definita come l’ingestione in un determinato periodo di tempo di una quantità di cibo più grande rispetto a quanto la maggioranza degli individui assumerebbe in circostanze simili (criterio A1). E’ necessario valutare il contesto in cui l’episodio avviene – ciò che è considerato una quantità eccessiva per un pasto in un giorno comune, può essere normale durante una ricorrenza o una festività. Per un “determinato periodo di tempo”, si fa riferimento ad un periodo limitato, in genere minore di due ore. Ogni singolo episodio di abbuffata non deve avvenire necessariamente in un unico contesto: l’abbuffata può iniziare al ristorante e concludersi a casa. Non può essere considerata una abbuffata il continuo “spiluccare” piccole quantità di cibo durante l’arco della giornata.

Sebbene il tipo di cibo assunto durante l’abbuffata vari ampiamente, generalmente comprende cibi dolci, ipercalorici, come gelato o torte. Comunque, ciò che sembra caratterizzare l’abbuffata è soprattutto la anomalia nella quantità del cibo piuttosto che la compulsione verso un alimento specifico, ad esempio, i carboidrati.

Sebbene l’ammontare delle calorie complessivamente assunte durante l’abbuffata sia di gran lunga maggiore rispetto al pasto normale di una persona senza Bulimia Nervosa, il rapporto tra le percentuali di proteine, grassi e carboidrati è simile.

I soggetti con Bulimia Nervosa tipicamente si vergognano delle loro abitudini alimentari patologiche e tentano di nasconderle. Le crisi bulimiche avvengono in solitudine: quanto più segretamente possibile. L’episodio può essere più o meno pianificato, ed è di solito caratterizzato (anche se non sempre) dalla rapidità dell’ingestione del cibo. L’abbuffata spesso continua finché l’individuo non si sente “così pieno da star male”, ed è precipitata da stati di umore disforico, condizioni interpersonali di stress, intensa fame a seguito di una restrizione dietetica, oppure da sentimenti di insoddisfazione relativi al peso, la forma del corpo o il cibo. Durante l’abbuffata vi può essere una transitoria riduzione della disforia, ma spesso fanno seguito umore depresso e spietata autocritica.

Una crisi bulimica è inoltre accompagnata da sensazione di perdere il controllo (criterio A2). Un individuo può esperire un senso di estraneamento durante l’abbuffata specialmente nelle fasi precoci del disturbo: alcuni riferiscono l’abbuffata come una sorta di esperienza di derealizzazione. Nelle fasi più tardive della Bulimia Nervosa, può venire meno la sensazione soggettiva di acuta perdita del controllo durante la crisi, che si manifesta invece come incapacità di resistere all’impulso della crisi o di interromperla una volta iniziata. La perdita di controllo associata alle abbuffate nella Bulimia Nervosa non è assoluta: il soggetto può continuare l’abbuffata a dispetto del telefono che squilla, ma interromperla bruscamente se il coniuge o il compagno di stanza entra inaspettatamente nella stanza.

Un’altra caratteristica essenziale della Bulimia Nervosa è il frequente ricorso a inappropriati comportamenti compensatori per prevenire l’incremento ponderale (criterio B). Molte persone con Bulimia Nervosa mettono in atto diversi comportamenti tesi a neutralizzare gli effetti dell’abbuffata: tra i metodi, quello più frequentemente adottato è l’autoinduzione del vomito dopo l’abbuffata. Questa condotta di eliminazione è presente nell’80-90% dei soggetti con Bulimia Nervosa in cura presso centri specializzati per i Disturbi della Alimentazione. Il vomito riduce la sensazione di malessere fisico, oltre alla paura di ingrassare. In alcuni casi il vomito rappresenta l’effetto ricercato: la persona si abbuffa per poter vomitare, oppure vomita anche per piccole quantità di cibo. I soggetti con Bulimia Nervosa possono adoperare diversi stratagemmi per indursi il vomito, come l’uso delle dita o di altri strumenti per scatenare il riflesso del vomito attraverso la stimolazione del faringe. In genere, nelle fasi avanzate del disturbo questi soggetti riescono a vomitare a comando. Raramente viene fatto uso di emetici, come lo sciroppo di ipecacuana. Altre condotte di eliminazione sono rappresentate dall’uso inappropriato di lassativi e diuretici; l’uso di lassativi è presente in un terzo dei soggetti con Bulimia Nervosa. Raramente è presente anche uso di clisteri subito dopo l’abbuffata, ma non è mai la sola condotta di eliminazione.

Altre misure compensatorie per le abbuffate sono il digiuno nei giorni successivi o l’esercizio fisico eccessivo. L’attività fisica è considerata eccessiva quando interferisce con altre importanti attività, quando avviene ad orari o in luoghi inusuali, o quando viene praticata nonostante le precarie condizioni fisiche. Raramente viene fatto uso di ormoni tiroidei per accelerare il metabolismo ed evitare l’aumento di peso. I soggetti con diabete mellito insulino-dipendente e Bulimia Nervosa possono non assumere o ridurre l’insulina per diminuire il metabolismo del cibo ingerito durante l’abbuffata.

Gli individui con Bulimia Nervosa pongono una inappropriata enfasi sulla forma e sul peso del corpo per la valutazione di sé, e questi fattori condizionano decisamente i livelli di autostima (Criterio D). Il terrore di ingrassare, il desiderio di perdere peso, il livello di insoddisfazione per il proprio aspetto fisico sono sovrapponibili a quelli dei soggetti con Anoressia Nervosa. In ogni caso non è giustificata la diagnosi di Bulimia Nervosa se il disturbo si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di Anoressia Nervosa (Criterio E).

Caratteristiche descrittive e disturbi mentali associati

I soggetti con Bulimia Nervosa sono di solito nei limiti normali del peso sebbene alcuni possano essere lievemente sottopeso o sovrappeso.

Il disturbo è presente, sebbene raramente, tra i moderati o grandi obesi. Sembra che prima dell’esordio del disturbo, vi sia più frequentemente, nella Bulimia Nervosa, una storia di sovrappeso rispetto ai coetanei. Tipicamente questi soggetti tra le abbuffate riducono la loro alimentazione, preferendo cibi a basso contenuto calorico (dietetici), ed evitando invece quegli alimenti che, secondo loro, possono far ingrassare o scatenare l’abbuffata.

Vi è in questi individui una aumentata incidenza di sintomi depressivi (es. ridotta autostima) o di Disturbi dell’Umore (in particolare Distimia e Depressione Maggiore). In molti, o nella maggior parte, il Disturbo dell’Umore segue o concomita con lo sviluppo della Bulimia Nervosa, e questi ascrivono il disturbo dell’umore alla Bulimia Nervosa, ma in alcuni la precede chiaramente. Vi è inoltre una aumentata frequenza di sintomi d’ansia (es. paura nelle situazioni sociali), o di Disturbi d’Ansia. I Disturbi d’Ansia e dell’Umore frequentemente recedono dopo efficace trattamento della Bulimia Nervosa.

Abuso di Sostanze o Dipendenza, in particolare da alcool e da stimolanti, si verificano in circa un terzo degli individui con Bulimia Nervosa. Spesso l’uso di sostanze stimolanti inizia nel tentativo di controllare l’appetito ed il peso. In circa un terzo/la metà dei casi di Bulimia Nervosa vi sono probabilmente tratti personologici che incontrano i criteri per uno o più Disturbi di Personalità (il più frequentemente diagnosticato è il Disturbo Borderline di Personalità).

Caratteristiche collegate a cultura, età e genere

La frequenza della Bulimia Nervosa sembra essere simile nella maggior parte dei paesi industrializzati. Sia nei campioni provenienti dalla popolazione generale che in quelli di studi clinici, circa il 90% dei casi di Bulimia Nervosa si sviluppano nelle donne. Sembra che negli individui di sesso maschile con Bulimia Nervosa vi sia una maggior prevalenza di obesità nella fase premorbosa.La prevalenza della Bulimia Nervosa tra i soggetti adolescenti e giovani adulti di sesso femminile è di circa l’1-3%.

La Bulimia Nervosa di solito esordisce nella tarda adolescenza o nella prima età adulta. Le abbuffate iniziano in genere durante o dopo un periodo di restrizioni dietetiche.Una condotta alimentare disturbata persiste per parecchi anni in una alta percentuale di soggetti. Il decorso può essere cronico od intermittente con fasi di remissione alternate a fasi di ricomparsa delle abbuffate.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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DISTURBO DA ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA (BINGE EATING DISORDER)

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Criteri diagnostici per il Disturbo da Alimentazione Incontrollata o Binge Eating Disorder (BED) –  DSM IV

1. Episodi ricorrenti di abbuffate compulsive. Un’abbuffata compulsiva è definita dai due caratteri seguenti (entrambi necessari).

  • a. Mangiare,in un periodo di tempo circoscritto (per esempio nell’arco di due ore), una quantità di cibo che è indiscutibilmente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo in circostanze simili.
  • b. Senso di mancanza di controllo sull’atto di mangiare durante l’episodio (per esempio sentire di non poter smettere di mangiare o di non poter controllare cosa o quanto si sta mangiando).

2. Gli episodi di abbuffate compulsive sono associati ad almeno tre dei seguenti caratteri:
– Mangiare molto più rapidamente del normale;
– Mangiare fino ad avere una sensazione dolorosa di troppo pieno;
– Mangiare grandi quantità di cibo pur non sentendo fame;
– Mangiare in solitudine a causa dell’imbarazzo per le quantità di cibo ingerite;
– Provare disgusto di sé, depressione o intensa colpa dopo aver mangiato troppo.

3. Le abbuffate compulsive suscitano sofferenza e disagio.

4. Le abbuffate compulsive avvengono, in media, almeno due giorni la settimana per almeno sei mesi.

Il disturbo non si riscontra soltanto nel corso di anoressia o di bulimia nervosa.

Il Binge Eating Disorder, ovvero Disturbo da Alimentazione Incontrollata,  viene diagnosticato in persone che di solito sono in sovrappeso e che manifestano alcuni sintomi di patologia del comportamento alimentare, senza però rientrare nella diagnosi di Bulimia Nervosa, e presenta:

  • Abbuffate simili a quelle presenti nella Bulimia Nervosa oppure frequenti pasti o spuntini nel corso della giornata. I pasti possono essere più o meno consistenti, ma si susseguono in continuazione;
  • Assenza di vomito compensatorio, motivo per cui le persone che soffrono di BED tendono con il passare dei mesi e degli anni ad evolvere verso forme di obesità di grado estremamente variabile;
  • Presenza di un senso di vergogna, ma non di colpa, per il fatto di non riuscire a controllare la propria alimentazione.

Perché si possa parlare di Binge Eating Disorder occorre che le abbuffate avvengano almeno due volte alla settimana, per un periodo di almeno sei mesi, indipendentemente dallo stimolo della fame, in solitudine, senza gratificazione e senso di colpa e senza meccanismi di compensazione, tipici della bulimia, quali vomito, lassativi, esagerato esercizio fisico.

Nei soggetti BED è frequente la presenza di un quadro psicologico problematico caratterizzato dalla depressione, dall’insoddisfazione corporea e da un comportamento alimentare variamente disturbato.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

 

ANORESSIA E BULIMIA MASCHILE

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Sempre più l’anoressia e la bulimia stà colpendo anche gli uomini negli ultimi anni e tale fenomeno sta assume dimensioni sempre maggiori.

Le cause di tale fenomeno sono di tipo sia sociale che individuale, entrambe correlate. Dal punto di vista sociale sempre di più gli uomini sono preoccupati per il proprio aspetto fisico, per la propria “linea” e conseguentemente sempre più attenti ad una “dieta” alimentare. La stessa moda maschile esteriorizza aspetti psicologici già presenti nella società, cercando di risaltare un mondo maschile “efebico” ed una rincorsa di ideali fisici anoressici. Anche la cosmesi fino a poco tempo fa esclusiva delle donne, si è affacciata prepotentemente nel mondo maschile . Questa sovrapposizione di stili e mode maschili e femminili si replicano, inevitabilmente, in una sovrapposizione di “patologie psicologiche maschili e femminili”. A tutto questo si unisce la crisi della funzione paterna che già da tempo indebolisce il processo d’identificazione maschile, ponendo i bambini, futuri adulti maschi in una posizione di adolescenza protratta e scarsa responsabilità sui temi dell’adultità. Sintetizzando è come se venisse a mancare un identità maschile.

Ne consegue che l’ideale del corpo, sostituto di un processo d’identificazione maschile difficile da raggiungere per le cause suesposte, ha infleunzato maggiormente il mondo maschile. Questo ideale del corpo in sostituzione di una precisa identità di genere ha avuto le conseguenzeche possiamo osservare anche nell’aumento, pur ancora poco dichiarato esplicitamente, dell’anoressia e bulimia maschile.
Credo si debba aggiungere anche una forte interrogazione da parte degli uomini sul mondo femminile, un timore di affrontare l’altro sesso, ritenuto troppo enigmatico ed ansiogeno. Figure genitoriali femminili troppo possessive comportano per l’uomo un tentativo di replicare il modello autoritario-possessivo con le proprie compagne oppure, per sfuggire a questa modalità di rapporto uomo-donna, incentrato sul “potere” , una labilizzazione dell’identità di genere. Cambiamenti, a livello sociale e familiari ne hanno prodotto la recente manifestazione.
Proprio il tema della crisi di identità di genere maschile (non a caso si osserva una forte correlazione tra disturbi anoressico-bulimici ed omosessualità), ritengo caratterizzi il versante maschile di tale sofferenza.
Nei casi d’anoressia e bulimia maschile il percorso d’uscita passa attraverso un recupero di un normale processo d’identificazione maschile ed una conseguente ristrutturazione del ruolo all’interno della coppia, della famiglia e della società in generale.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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ANORESSIA NERVOSA

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Criteri diagnostici per l’Anoressia Nervosa secondo il DSM IV*

A. Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura (per es. perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto, oppure incapacità di raggiungere il peso previsto durante il periodo della crescita in altezza, con la conseguenza che il peso rimane al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto).

B. Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso.

C. Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso.

D. Nelle femmine dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi. (Una donna viene considerata amenorroica se i suoi cicli si manifestano solo a seguito di somministrazione di ormoni, per es. estrogeni.)

Può essere con o senza abbuffate o condotte di eliminazione (per es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi):

Con Restrizioni : nell’episodio attuale di Anoressia Nervosa il soggetto non ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).

Con Abbuffate/Condotte di Eliminazione : nell’episodio attuale di Anoressia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).

Per diagnosticare l’anoressia o qualsiasi altro tipo di comportamento alimentare è importante calcolare il proprio Indice di Massa Corporea (BMI).

L’Indice di Massa Corporea detto anche BMI (dall’inglese: Body Mass Index) è un numero che esprime il rapporto esistente tra il peso in chilogrammi di una persona ed il quadrato della sua altezza espressa in metri.

Il BMI è considerato un indice molto più attendibile del solo peso corporeo per definire le caratteristiche fisiche di una persona. Per questo motivo viene di solito usato per la diagnosi dei disturbi del comportamento alimentare.Per calcolare il vostro BMI fate in questo modo:

• Prendete il vostro peso in chilogrammi.

• Dividetelo per la vostra altezza espressa in metri e moltiplicata al quadrato.

• Il risultato sarà il vostro BMI.

La formula esatta è: BMI = Peso (kg) : Altezza (m)2

Si considera normale un valore di BMI compreso tra 18,5 e 24,9.

Un valore di BMI inferiore a 18,5 indica sottopeso .

Un valore di BMI compreso tra 25 e 29,9 indica sovrappeso .

Un valore di BMI superiore a 30 indica obesità.

L’anoressia, al di là dei criteri diagnostici, è:

  • il rifiuto del cibo;
  • il rifiuto di avere un peso corporeo secondo il BMI (vedi sopra);
  • il rifiuto di mangiare in compagnia di altri;
  • la paura di prendere peso anche quando si è già sottopeso.

Interessa prevalentemente le ragazze dai 15 anni in poi, anche se episodi di anoressia infantile sono sempre più frequenti e comunque tende ad abbassarsi l’età d’esordio dei primi sintomi.

Nel passato se ne attribuiva principalmente la causa alla relazione madre-figlio. Attualmente quest’ultima causa non viene più ritenuta determinante per il suo insorgere e viene centrata l’attenzione anche su fattori individuali quali bassa autostima, insicurezza, perfezionismo e fattori culturali quali imitazioni di modelli corporei come le fotomodelle.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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