Articoli

L’ELEFANTE NELLA STANZA: QUANDO SI VEDE E NON SI PARLA

Condividi

L’Elefante nella stanza  è un’affermazione dei paesi anglosassoni (Elephant in the room) per indicare una verità e/o un problema che, per quanto palesi ed appariscenti per tutti, vengono ignorati o non presi nella giusta considerazione.

Si fa riferimento ad un elefante dentro una stanza che sarebbe impossibile da non vedere; quindi, se le persone all’interno della stanza fanno finta che questo non sia presente, la ragione è che così facendo sperano di evitare di affrontare un problema più che palese. Questo atteggiamento è tipicamente adottato in presenza di vari tipi di problematiche più o meno gravi.

L’Elefante nella stanza può essere a livello individuale, di coppia, familiare e sociale.

A livello individuale quando si è  consapevoli di una problematica personale, ma non palese agli altri e  si continua a non volerne prendere pienamente consapevolezza e/o a non volerle parlare e/o affrontare in nessun modo.

A livello di coppia si verifica allorquando la coppia ha un profondo disagio e/o un’accentuata distanza intepersonale e nessuno dei componenti, pur essendo consapevoli, fa niente per discuterne. Classico esempio è la presenza di un terzo nella coppia (amante) di cui si fa finta di ignorarne la presenza da parte di entrambi. Si ha anche nelle relazioni di coppia allargate come nell’amicizia.

A livello familiare quando è presente una problematica quale: la violenza di vario genere in famiglia, la presenza di una grave malattia fisica e tutti tendono a minimizzare, un segreto familiare che rimane latente e via dicendo. In questi casi nessuno dei componenti ne parla e ne discute: una sorta di omertà familiare.

A livello sociale si verifica sopratutto nelle organizzazioni o nei gruppi, allorquando tutti sanno che qualcosa non và ma nessuno osa affrontare la problematica.

Le ragioni che spingono a non voler vedere l’Elefante nella stanza possono essere diverse: timore di rompere degli equilibri, paura di perdere la relazione coll’altro, incapacità di comunicare i propri pensieri e le proprie emozioni e tant’altro ancora.

Come uscirne ?

  • Affermare tutti insieme ed a voce alta che l’Elefante c’è e bisogna parlarne.
  • Accettare, momentaneamente, la presenza dell’Elefante e non tentare di cacciarlo subito via
  • Accoglierlo con dolcezza come si farebbe con un vero Elefante.
  • Pian piano, riportarlo nel suo habitat naturale, vale a dire trovare la via d’uscita dalla problematica

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private in studio, telefoniche e/o via Skype:

tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

NON DARE MAI PER SCONTATA LA VERITA’

Condividi

Un mercante, vedovo, era partito per un viaggio d’affari lasciando a casa il figlio piccolo.

Durante la sua assenza arrivò un gruppo di banditi che saccheggiò e poi incendiò l’intero villaggio. Il mercante, al ritorno, non trovò più la sua casa, ridotta a un cumulo di ceneri, e lì vicino trovò il cadavere carbonizzato di un bambino. Si gettò a terra e pianse a lungo, battendosi il petto e strappandosi i capelli.

Il giorno dopo, il mercante fece cremare il piccolo corpo, quel figlio così caro era l’unica ragione della sua esistenza, dunque cucì un bel sacchettino di velluto e vi mise dentro le ceneri. Dovunque andasse, portava con sè quel sacchetto. L’aveva sempre addosso, quando mangiava, quando dormiva, quando lavorava.

In realtà suo figlio era stato rapito dai banditi. Tre mesi dopo era riuscito a scappare e a tornare a casa; arrivò che erano le due di notte, bussò alla porta della nuova casa che il padre si era costruito. Il povero padre, che giaceva a letto in lacrime, stringendosi al petto il sacchetto con le ceneri, chiese: “Chi è?” “Sono io, sono tuo figlio!” Il padre rispose: “E’ impossibile, mio figlio è morto; ho cremato il suo corpo e porto con me le ceneri. Devi essere un bambino cattivo che sta cercando di imbrogliarmi. Vattene! Smettila di disturbarmi!”

Si rifiutò di aprire la porta. Il bambino non trovò alcun modo di entrare in casa: dovette andarsene, e così quel padre perse per sempre  il figlio

Se ad un certo punto della vostra vita prendete per verità assoluta un idea o una percezione, state chiudendo la porta della mente ed alla fine della ricerca della Verità. Non solo smette di cercare la Verità ma se anche venisse la Verità in persona a bussare alla vostra porta, vi rifiutereste di aprirle.

Storia  e parole del Buddha

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private in studio, telefoniche e/o via Skype:

tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

IL RACCONTO TERAPEUTICO DELL’ALBERO TRISTE

Condividi

C’era una volta un bellissimo giardino, con alberi e fiori di ogni tipo, meli, aranci e rose. Tutti felici e soddisfatti. C’era solo felicità in quel giardino, tranne che per un albero che era molto triste. Il povero albero aveva un problema: non sapeva chi fosse!

“Ti manca la concentrazione” gli disse il melo “se davvero ti impegni, puoi fare mele deliziose. Guarda com’è facile”.

“Non ascoltarlo” intervenne il cespuglio di rose “e guarda quanto siamo belle noi!”.

L’albero disperato provò a seguire ogni consiglio. Cercò di produrre mele e far sbocciare rose ma, non riuscendo, a ogni tentativo si sentiva sempre più frustrato.

Un giorno un gufo arrivò nel giardino.

Era il più saggio di tutti gli uccelli e vedendo la disperazione dell’albero esclamò: “Non ti preoccupare. Il tuo problema non è così serio. È lo stesso di tanti esseri umani! Ti darò io la soluzione: non passare la tua vita ad essere ciò che gli altri vogliono che tu sia. Sii te stesso. Conosci te stesso e per far ciò ascolta la tua voce interiore”. Poi il gufo scomparve.

“La mia voce interiore? Essere me stesso? Conoscere me stesso?” l’albero disperato pensava tra sé e sé alle parole del gufo quando all’improvviso comprese. Si tappò le orecchie e aprì il suo cuore e sentì la sua voce interiore che gli stava dicendo “Non darai mai mele perché non sei un melo, e non fiorirai ogni primavera perché non sei un cespuglio di rose. Tu sei una Sequoia, e il tuo destino è crescere alto e maestoso. Sei qui per offrire riparo agli uccelli, ombra ai viaggiatori, bellezza al paesaggio! Tu hai questa missione! Seguila!”.

A queste parole l’albero si sentì forte e sicuro di sé e cessò ogni tentativo di diventare qualcun altro ed esattamente quello che gli altri si aspettavano da lui. In breve tempo riempì il suo spazio e divenne ammirato e rispettato da tutti. Solo da quel momento il giardino divenne completamente felice.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it