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LA NARRAZIONE TERAPEUTICA

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I sistemi di credenze,per lungo tempo considerati come rappresentazione di eventi reali sono ora pensati come storie che gli esseri umani si narrano per organizzare e interpretare la loro esperienza. Dunque la” patologia” è solo una particolare struttura narrativa, e la terapia un intervento su di essa.

Michael White

INTRODUZIONE

Il lavoro che vado a presentare con coerenza e semplicità ha l’obbiettivo di far conoscere uno stralcio di “narrazione terapeutica”. Dimostrando come la realtà del Paziente, così come quella del Terapeuta si intrecciano in una” realtà narrativa”. E’ il narratore che descrive, ma come in Pirandello sono” le cose”,”le metafore” che parlano. L’interesse per una “psicologia narrativa” è emerso all’interno di un più generale orientamento “narrativo” nell’epistemologia e nelle scienze dell’uomo; per ciò che riguarda la psicologia, questo interesse è stato favorito dallo sviluppo degli studi sulle storie (nella clinica e nella psicologia ).    Non è facile dire in che cosa una storia consista, e anche in campo linguistico non si è ancora pervenuti ad una sua definizione univoca. Forse la difficoltà principale risiede nel fatto che il concetto di narrazione solleva problemi assai vasti: esso travalica i confini del pensiero e della letteratura, infatti, secondo alcuni autori, la narrazione è riferibile al mito, alla leggenda, alla fiaba, al racconto, alla novella, all’epica, alla storia, alla tragedia, al dramma, alla commedia, al mimo, alla pittura, ai mosaici, al cinema, al teatro, ai fumetti, alle notizie, alla conversazione. Indipendentemente da una suddivisione in buona e cattiva letteratura, la narrazione sembra internazionale, transtorica, transculturale: la vita stessa è narrazione in quanto storia (Bruner, 1988).     Le nostre vite sono infatti incessantemente intrecciate alle narrazioni, alle storie che raccontiamo o che ci vengono raccontate (nelle forme più diverse), a quelle che sognamo o immaginiamo o vorremmo poter narrare. Tutte vengono rielaborate nella storia della nostra vita, che noi raccontiamo a noi stessi in un lungo monologo, episodico, spesso inconsapevole, ma virtualmente ininterrotto (Brooks, 1995). Noi viviamo immersi nella narrazione ripensando e soppesando il senso delle nostre azioni passate, anticipando i risultati di quelle progettate per il futuro, e collocandoci nel punto di intersezione di varie vicende non ancora completate. L’istinto narrativo è antico in noi quanto il desiderio di conoscenza, è il modo privilegiato per attribuire significati (Smorti, 1994).     Questa definizione di narrazione è molto estesa e, anche se altri autori ne restringono la portata, serve a rendere l’idea della molteplicità delle sue manifestazioni nella vita quotidiana.     Altri autori si riferiscono alle narrazioni come alla percezione di una sequenza di eventi umani connessi in modo non casuale. Anche in questo caso disponiamo di un significato assai vasto, coincidente con la percezione della durata dell’esistere (Ricoeur, 1994).     Con questa seconda definizione possono venire poste in rilievo alcune implicazioni:

•  la prima è che la durata di una storia non consiste in una semplice successione di fatti, ma in un legame tra i fatti che hanno tra loro somiglianze e differenze, collegati da un processo trasformativo. La narrazione non è un semplice contenitore di eventi, ma ha una sua organizzazione interna (il legame tra i vari fatti raccontati);

•  la seconda risiede nel fatto che la sequenza di eventi è tale in quanto viene “percepita”; e questo dipende dal punto di vista di chi costruisce la storia o di chi la ascolta. In tal senso un semplice oggetto, come ad esempio il vecchio baule della nonna, può “raccontare” una storia per un osservatore, ad esempio il nipote, in quanto suggerisce “una sequenza di eventi connessi in modo non casuale” orientata a un risultato (una comunicazione efficace).

    Questi due elementi si riferiscono dunque a due aspetti diversi della narrazione: il primo riguarda la struttura interna mentre il secondo riguarda la relazione, la comunicazione.     In campo clinico, Erving Polster (1987) suggerisce che la vita di ogni persona può essere vista come un romanzo: la scoperta di tale analogia sarebbe di per sé terapeutica. Polster, come Hillman (1984), vede la psicoterapia come un processo estetico-artistico. Il terapeuta deve usare gli stessi criteri selettivi e costruttivi che usa uno scrittore nel produrre una storia, allo scopo di aiutare il cliente a “riscrivere” la sua biografia.     E’ in questo modo che all’interno del setting psicoterapeutico si produce una storia di cui terapeuta e cliente costituiscono i co-narratori. Molti psicoterapeuti individuano nell’attività del narrarsi il fulcro del processo terapeutico. Per questi, l’uomo costruisce e ricostruisce i propri mondi narrandoli. Si può dire che essi abbiano scoperto l’importanza fondamentale che il narrare riveste nella continua ridefinizione di un’identità. La terapia viene così vista come un racconto, come un romanzo, come un’opera d’arte.    Una volta assunto che la narrazione può costituire un veicolo di cambiamento, è lecito notare come ci siano narrazioni (modi di rappresentarsi) più efficaci di altre, che spesso non è sufficiente un semplice narrarsi per promuovere un cambiamento ( White, 1992). Attualmente l’attenzione dei ricercatori e dei clinici è tesa a comprendere in quale modo la narrazione produce dei cambiamenti, “come” le storie curano e in quali circostanze un tipo di narrazione può essere efficace. L’idea , di questo lavoro che vado a presentare; è nata dall’entusiasmo di scoprire come la metafora in “una narrazione inconsapevole e disorganizzata” (all’interno di una seduta formativa con Tecniche di Psicodramma) è da sempre un efficace espediente didattico e un valido meccanismo di cambiamento. E ,consapevolmente o no, i terapeuti usano le metafore sottoforma di fiabe ,parabole o aneddoti per aiutare i loro clienti a effettuare i cambiamenti desiderati. Le metafore sono un modo di portar fuori l’esperienza.

In una forma o nell’altra , da tempo immemorabile, gli esseri umani hanno usato le storie per trasmettere di generazione in generazione importanti informazioni letterarie culturali, sociologiche e morali. Nei Poemi di Omero i contemporanei trovano validi ammaestramenti sul modo giusto di pensare e comportarsi. Il poeta insegna (o rammenta )la maniera di trattare il pericolo o la sofferenza, la bellezza, il senso della vita ecc. Anche gli scritti di Pirandello come le fiabe spaziano dalle osservazioni sulle bizzarrie della natura umana alla meditazione sul significati dell’esistenza. Benché queste storie possono avere dei contenuti più vari, non c’è una sostanziale differenza di struttura fra l’Odissea , Alice nel paese delle meraviglie e le esperienze di Pirandello con i suoi personaggi. Tutte descrivono individui, reali o immaginari, posti di fronte a problemi per superare i quali è necessario che Ulisse Alice e Pirandello attingano alle loro risorse personali. Di solito è chiaro il parallelismo fra le loro avventure e la miriade dei problemi che tutti noi dobbiamo affrontare come esseri umani, loro simili. Alcuni potranno trovare inaccettabili le soluzioni escogitate da Ulisse per la propria persona, ma non si può negare che egli sia alle prese con situazioni che alla maggior parte di noi siano famigliari. Forse che , al momento di prendere una particolare decisione non ci siamo mai sentiti fra gli scogli di Scilla e Cariddi ? Oppure non ci siamo mai sentiti sdoppiati “ Uno , Nessuno , Centomila”? O non siamo mai stati attratti da una sirena che, come sappiamo in qualche modo, ci porterebbe alla distruzione? O non c’è nel nostro passato qualche particolare esperienza che è il nostro tallone di Achille?

Spesso queste analogie fra la narrazione , le favole e l’esperienza umana sono così strette e diffuse che le varie lingue le hanno assimilate come espressioni idiomatiche. In un modo o nell’altro ciascuno di noi viene ogni giorno alle prese con il vaso di Pandora, con serpenti tentatori che offrono mele , con Barba blù , con Belle addormentate e Principi Azzurri. Il lavoro che presento ha in comune, come parte costituente, la capacità di coinvolgere un messaggio o un ammaestramento sulla metafora della vita di ognuno di noi e sul suggerimento nel scoprire la capacità di narrare la nostra storia vissuta .

Vengono messe in atto attraverso livelli di coscienza molto ricchi e variegati.”Autobiografie più o meno coerenti, centrate su un Io che agisce in modo sociale in modo più o meno finalizzato ad uno scopo” (Bruner1986)

Hillman analista Junghiano riflette a fondo sul termine narrazione e sulla terapia come narrazione . Nel suo libro “Le storie che curano” (1983) sostiene la tesi che il romanzo terapeutico si differenzia soltanto per lo stile e per la trama utilizzata. Aggiunge che tutte le terapie potrebbero essere considerate come attività narrative che attingono alla “base poetica della mente”. ”Conoscere la profondità della mente significa conoscere le sue immagini, leggere queste immagini, ascoltare le storie con attenzione poetica che colga in un singolo atto intuitivo le due nature degli eventi psichici, quella terapeutica e quella estetica.” (1983)

La verità narrativa si confonde con la verità storica ed è la coerenza di un racconto a farcelo confondere con la realtà vissuta. La tradizione narrativa è comunque più implicita che esplicita. Come in Pirandello ( in alcuni stralci del lavoro) la relazione argomentativa è implicita con il soggetto, si deve desumere. Ogni biogarafia psicanalitica è dipendente dal contesto organizzato da un determinato interrogativo e cambia ogni volta che mutano le domande. Il lavoro analitico è considerato un lavoro di coppia : la riscrittura della verità con cui si presenta il paziente per trasformarla in una realtà psichica più complessa e variegata, che possegga le qualità della coerenza, della completezza e della sensatezza.”Il passato è una continua ricostruzione durante il processo analitico” scrive Spence (1987) e tale ricostruzione è un attento lavoro di selezione di collegamento diretto dell’analista . Viene così accettata l’impossibilità di tradurre in una rappresentazione semantica univoca la verità presentata dal paziente e si favoriscono la ricchezza dei punti di vista narrativi e la ricchezza di più versioni anche contraddittorie degli eventi.Traspare in alcuni momenti del lavoro, toni umoristici /ironici ( Pirandelliani) . Sottolineando il modo linguistico “ironico” e”umoristico”che consente in una frase di esprimere i due modi di essere che sono in contraddizione tra di loro; due livelli di discorso con una affermazione seguita subito da una seconda affermazione contrastante. Un modo di parlare complesso ma che è rispettoso della libertà individuale . Riraccontare la vita da un altro punto di vista L’umorismo non è comporre ma scomporre in modo da far emergere ciò che diversamente non sarebbe spiegabile. Gli individui di questa narrazione narrano storie per organizzare e riorganizzare la loro storia di vita. E’ interessante vedere come cambia il loro modo di porsi di fronte al mondo.

Concludo sottolineando che la riscrittura dell’esistenza e delle relazioni, l’esteriorizzazione delle emozioni in forma emotiva narratologica in un contesto terapeutico, permette di inventare un numero infinito di trame. Dove queste trame derivano dal rapporto tra le differenti storie: quella del cliente, quella del terapeuta e la terza che si sviluppa nel percorso terapeutico.

Arriva un momento della propria professione in cui si sente il desiderio di raccontare la propria esperienza di psicodrammatista, di raccontare al mondo la bellezza, la purezza , l’autenticità delle storie di vita vissute narrate in uno “spazio magico di confidenza”terapeutico.

Storie che mi hanno insegnato tanta umanità, e mi hanno fatto scoprire quanto la narrazione e la terapia sia uno strumento per fare un po’ d’ordine dentro di sé. Per capire il presente, per ritrovare emozioni perdute e sapere come si è diventati, chi dobbiamo ringraziare o dimenticare. Quando questo bisogno di narrare ci sorprende, il racconto di quel che abbiamo fatto, amato, sofferto, inizia a prendere forma. Diventa scrittura delle “storie” ma anche di sé e alimenta l’esaltante passione di voler lasciare traccia di noi a chi verrà dopo o ci sarà accanto.

Un esperienza inusuale che cura, che aiuta a dare valore a ciò che siamo perché raccontarsi può essere e è un gioco felice che ci porta al centro del nostro cuore.

Un esperienza dove si scopre che la metafora, i l mito e la fiaba sono poesia. Esse sono la penultima verità, penultima perché l’ultima non può essere tradotta in parole. Il mito e la fiaba lanciano la mente al di là del confine delle parole e delle immagini, verso ciò che possiamo conoscere, ma non dire.

Questa è la penultima verità.E’ importante vivere sperimentando il loro ed il nostro stesso mistero. Questo dona alla vita una nuova radiosità, una nuova armonia. Grazie 

Bibliografia

Brooks Peter, Trame. Intenzionalità e progetto nel discorso narrativo , Einaudi, Torino, 1995.
Bruner Jerome, La mente a più dimensioni , Laterza, Roma-Bari, 1988.
Smorti Andrea, Il pensiero narrativo , Giunti, Firenze, 1994.
Polster Erving, Ogni vita merita un romanzo , Astrolabio, Roma, 1987.
White Michael, La terapia come narrazione , Roma, Astrolabio, 1992.
Ricoeur Paul , La vita: un racconto in cerca di un narratore , in Filosofia e linguaggio , Milano, Guerini e associati, 1994.
Hillman James, Le storie che curano , Cortina, Milano, 1984.

Dott.ssa Flavia Accini

Formatrice, Psicodrammatista, esperta in tecniche di conduzione di gruppo.

Per contatti 338-4942645 email: flavia.accini@aliceposta.it

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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