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CLAUSTROFOBIA

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La claustrofobia è sicuramente una delle fobie più diffuse. Essa è la paura di luoghi chiusi o troppo affollati, come ascensori, gallerie, cinema, metropolitane… Le persone che soffrono di claustrofobia manifestano malessere, sensazione di soffocamento, oppressione, e hanno l’impressione di essere rinchiusi o imprigionati ogni qual volta sono esposti alla situazione fobica.
La claustrofobia e l’agorafobia sono considerati due facce della stessa medaglia in quanto le situazioni che spaventano sono simili, ma con la motivazione sottostante differente: l’agorafobico ha timore dell’attacco di panico, di non poter essere soccorso in caso di malessere e apprezza di essere accompagnato e rassicurato da una persona di fiducia, il claustrofobico si sente soffocare se attorno a sé non ha uno spazio da lui considerato sufficientemente ampio. Il claustrofobico e l’agorafobico hanno strutture di personalità opposte: il primo è in genere una persona autonoma, ama avere i propri spazi, la propria indipendenza, è infastidito da chi si preoccupa per lui, mentre l’agorafobico in genere è una persona passiva e dipendente che ha bisogno di qualcuno che si occupi di lui, ama i legami stabili.
Le persone con claustrofobia sono costrette a impostare le scelte di vita e la quotidianità in relazione al loro disturbo d’ansia e mettono in atto condotte di evitamento nei confronti della situazione ansiogena. In genere prediligono mansioni da svolgere all’aperto, che garantiscano una discreta dinamicità, mentre soffrono a eseguire lavori sedentari all’interno di una struttura. Quando sono in casa, amano stare con le porte delle stanze spalancate, non riescono a dormire con la porta della camera da letto chiusa e, in alcuni casi, esigono che le finestre stiano aperte, anche in inverno per avere la garanzia che circoli sufficiente aria. Possono sentirsi soffocati da persone troppo opprimenti e questo si ripercuote anche nei legami affettivi.
L’agorafobico può diventare claustrofobico per reazione, ovvero, magari inconsapevolmente, si sforza di superare le sue paure esponendosi talmente a situazioni ansiogene che lo portano a sviluppare il disturbo opposto!

Il trattamento sintomatico della claustrofobia è relativamente semplice, se non complicato da altri disturbi psicologici, e prevede primariamente un percorso di psicoterapia cognitivo comportamentale di breve durata (spesso entro i 3-4 mesi).
La psicoterapia della claustrofobia, dopo un periodo di esame del caso che si esaurisce in breve, passa necessariamente attraverso l’utilizzo delle tecniche di esposizione graduata agli stimoli temuti. Il paziente viene avvicinato in modo molto progressivo agli stimoli che innescano la paura, partendo da quelli più lontani dall’oggetto o situazione centrale (es. l’immagine di una stanza chiusa ma piena di luce). Il contatto con tali stimoli viene mantenuto finché inevitabilmente non subentra l’abitudine ed essi non generano più ansia. Solo a tal punto si procede all’esposizione ad uno stimolo leggermente più ansiogeno, in una gerarchia accuratamente preparata in seduta a priori. In questo modo, nell’arco di poche settimane, si riesce a salire sulla gerarchia fino ad arrivare a esposizioni molto più forti, senza suscitare mai troppa ansia nel soggetto e ripetendo ogni esercizio finché non è diventato “neutro”.
Tale procedura può spaventare molto le persone che soffrono di una claustrofobia, poiché implica affrontare direttamente l’oggetto o situazione temuta, ma se ben effettuata, con l’aiuto di un terapeuta esperto, è assolutamente applicabile e garantisce un successo nella stragrande maggioranza dei casi.
In alcuni casi, per rendere più efficace il metodo, si insegnano al paziente strategie di rilassamento fisiologico e lo si invita ad utilizzarle poco prima di esporsi agli stimoli ansiogeni, in modo da facilitare la creazione di un nuovo condizionamento, in cui l’organismo associ rilassamento, anziché ansia, a tali stimoli.

Nel caso di claustrofobia invalidante è molto diffuso l’uso di farmaci ansiolitici “al bisogno”, per gestire l’ansia dovendo fronteggiare necessariamente certe situazioni temute (es. prima di entrare in metropolitana). Tale strategia consente di sopravvivere all’evento, ma non ottiene altro che l’effetto di rafforzare la fobia.

TESTIMONIANZE

Fabiana Età: 42 Da qualche mese, in seguito alla permanenza in metropolitana in blocco una mattina, ho sviluppato nuovamente la claustrofobia.premetto che 10 anni fa ne soffrivo, in forma lieve, pero’ e’ scomparsa e fino a poco tempo fa, e ho viaggiato per il mondo senza piu’ sentire questo problema, in modo assolutamente naturale, per anni.ora, da quando e’ accaduto l’evento sopra citato, in un semplice magazzino o in un ascensore sconosciuto tendo a sentirmi ”male” e cerco un’uscita all’aria aperta subito (mentre il mio di casa, per quanto sia al 6 piano continuo a prenderlo, ma ogni situazione nuova mi crea ansia e tendo ad evitare il luogo se posso). Ognivolta che non vedo via d’uscita, provo queste sensazioni bruttissime (anche se all’aperto). Facendo un lavoro di un certo tipo (sono manager in una multinazionale) e’chiaramente molto invalidante, e temo che il mio lavoro possa subire qualche problema, con rischi alla mia posizione. Per ora ho viaggiato comunque, meno, ma con xanax prima della partenza, ma non vorrei evitare i viaggi o pian piano peggiorare, ne’ riferire ai miei superiori che ho questo problema (per ora nessuno se ne e’ accorto).Solo l’idea pero’ di fare un lungo viaggio (possibile) tipo in Giappone (sebbene in passato ci sia gia’ andata piu’ volte) sto male… I problemi correlati alla cosa alla quale penso potrebbero essere: – la paura di perdere il lavoro, questo problema ormai e’ molto pesante, e avendo (da sola, sono separata con un figlio) un mutuo consistente per 20anni…logicamente mi fa pensare. – una relazione con il mio compagno, da 10 anni quasi, che recentemente si e’trasferito a casa mia (lui non e’ ossessivo, anzi il contrario, e questo a volte mi crea ”gelosia” dato che e’ un tipo che guarda le donne…).- mia madre, invece molto ossessiva e molto insistente, che pero’ tengo a giusta distanza…(ma non sempre riesco a farlo per ovvie ragioni). insomma non saprei a cosa dare la colpa, se non a me stessa, di tutto questo. voglio togliermi questo problema al piu’ presto, non voglio piu’ avere questa claustrofobia.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it