INTERVISTA SULLE FOBIE AL DOTT.CAVALIERE

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Articolo tratto dall’intervista al dott.Roberto Cavaliere sul tema delle fobie pubblicato sul numero di settembre 2008 della rivista mensile “COME STAI”

Il dottor Roberto Cavaliere, psicologo a Napoli, si è laureato in Psicologia all’università La Sapienza di Roma e in Filosofia all’università Federico II di Napoli. È p residente dell’Asipdar, l’Associazione per lo studio e l’intervento sulle problematiche e dipendenze affettive e relazionali ed è responsabile dei siti www.iltuopsicologo.it e www.maldamore.it

 

Quando la paura fa 90!

Se vi paralizzate davanti a un insetto, vi atterrisce l’idea di salire su un aereo o svenite alla vista di un ago, sappiate che non siete i soli a soffrire di fobie. La psicoterapia fa miracoli sui grandi, mentre per i piccoli basta una coccola in più

 

Secondo il Dsm IV, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali punto di riferimento per psicoterapeuti e psichiatri, la fobia specifica è una paura marcata, persistente, eccessiva o irragionevole. Può essere provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o di una situazione specifica come per esempio volare, l’altezza, gli animali, gli insetti, un’iniezione, la vista del sangue. La persona che ne soffre reagisce quasi sempre con una forte ansia che, a volte, può diventare attacco di panico*, pur nella consapevolezza che il timore è eccessivo o irrazionale.

La paura è un sentimento insito nell’uomo – sottolinea il dottor Cavaliere – e non è negativa in sé. Se per esempio una persona nonostante il timore dell’aereo riesce a volare, allora non presenta una fobia patologica. Lo diventa nel momento in cui la situazione temuta viene sistematicamente evitata o sopportata con ansia intensa e profondo disagio . Perché si possa parlare di fobia, quindi, è necessario che ci siano almeno tre condizioni, cioè che sia causata da stimoli ritenuti minacciosi e limitata a quelli; che determini terrore ed evitamento della situazione e che scateni timori e ansie (anche quella anticipatoria, cioè che si prova prima di affrontare l’evento) eccessive che interferiscono con il lavoro e le relazioni sociali.

 

Da dove nasce nessuno lo sa

L’origine delle fobie specifiche è ancora ignota. Si sono succedute diverse interpretazioni negli anni ma non esiste ancora una spiegazione univoca.

Secondo la teoria psicanalitica – spiega il dott. Cavaliere – rappresentano una sorta di allarme contro l’ansia generata da pulsioni inconsce rimosse e simbolicamente riversate su oggetti o situazioni esterne. La persona, evitando gli stimoli che generano paura, evita i conflitti rimossi a livello inconscio e le conseguenze punitive che essi evocano, cioè castrazione e perdita di amore .

Per la teoria comportamentale, le reazioni fobiche sono frutto di un apprendimento condizionato: uno stimolo ambientale che è sempre stato neutro, per esempio la vista di un oggetto o di un cane, a un certo punto viene associato, anche casualmente, a un altro stimolo incondizionato di paura, che stimola una risposta comportamentale di terrore e di evitamento. Di conseguenza la persona impara a ridurre la paura evitando le situazioni che la provocano.

C’è poi la teoria cognitiva secondo cui l’ansia è causata da pensieri irrazionali o disfunzionali acquisiti sulla realtà. Questi pensieri – dice l’esperto – sarebbero come filtri che spingerebbero la persona a interpretare gli eventi in modo minaccioso. Così, per esempio, chi dipende fortemente dal giudizio degli altri e ritiene di non essere bravo a esporre il proprio pensiero, tormentato dal timore di essere giudicato male e di perdere la stima altrui, sarà preso dal panico all’idea di dover esporre il proprio pensiero, specie se diverso da quello degli altri . Manifesterà perciò sintomi psicosomatici come tachicardia, nausea, vertigini o ansia e se parlerà lo farà in modo inadeguato. Potrà anche non riuscirci e infatti la fobia di parlare in pubblico ne è un esempio.

 

I quattro gruppi principali

Sono quattro le categorie in cui vengono generalmente divise le fobie.

Il terrore per gli animali e gli insetti

Le fobie appartenenti a questa categoria assumono nomi singolari, come cinofobia (fobia dei cani), ailurofobia (fobia dei gatti), ornitofobia (fobia degli uccelli), aracnofobia (fobia dei ragni), entomofobia (fobia degli insetti), bufonofobia (fobia dei rospi), melissofobia (fobia delle api).

Dipende da un trauma o dall’emulazione

Compaiono in genere intorno ai sette anni, soprattutto nei bambini già ansiosi e timorosi e a scatenarle spesso è un piccolissimo trauma, come il trovarsi di fronte a un cane o un gatto minaccioso o il ritrovarsi addosso un insetto all’improvviso. Solo per quella riguardante i ragni (l’aracnofobia) e gli animali comunemente ritenuti pericolosi (come pipistrelli e simili) si tende per un’interpretazione ancestrale: questi esseri appartengono a un immaginario collettivo di paura perché nei racconti tramandati nei secoli sono sempre stati legati a contesti inquietanti. La predisposizione alla paura sarebbe presente nell’uomo, in particolare nel cervello emotivo (amigdala/sistema libico) pronto ad attivarsi immediatamente anche con modeste esposizioni allo stimolo, specie in quelle persone che per motivazioni genetiche o per esperienze passate sono più sensibili.

Le paure evolutive, cioè quelle che nascono da bambini, secondo gli esperti possono anche dipendere da un processo di emulazione. Il bambino, per esempio, ha un genitore che soffre di quella stessa paura e che involontariamente trasmette anche al piccolo o questa naturalmente viene imitata dal figlio. In quel caso si tratta di una fobia traslata dalla figura della mamma o del papà o da qualche altra figura parentale molto presente nella vita del piccolo.

Secondo Freud c’è ostilità tra padre e figlio

A queste si unisce anche un’interpretazione psicanalitica: chi sposa questa teoria pensa che dietro l’ansia che si sperimenta quando si incontra o si sta per incontrare l’animale di cui si ha paura, ci sia un allarme dovuto a una spinta inconscia proibita. Per esempio, dietro la paura dei cavalli di un bambino, secondo un caso clinico raccontato da Freud, si potrebbe nascondere l’ostilità contro il padre. Secondo il racconto riportato dallo studioso, il nero che si trova intorno agli occhi e alla bocca del cavallo ricordava al bambino il brutto carattere del padre e l’aggressione nei suoi confronti rappresentava l’impulso proibito che a livello cosciente prendeva la forma dell’equinofobia. Naturalmente questo è solo un esempio e ogni storia e ogni fobia va contestualizzata e affrontata singolarmente.

Ne soffre soprattutto il sesso femminile

La fobia degli animali e degli insetti colpisce le donne nel 75-90 per cento dei casi e non ha una grande tendenza familiare. Può protrarsi fino all’età adulta ma non è detto che accada, mentre è difficile che compaia da grandi. È una di quelle che interferisce poco con la vita di chi ne soffre e raramente va in psicoterapia.

 

La fobia del sangue, delle iniezioni e delle ferite

Questa è la paura provocata dalla vista del sangue o di una ferita o dal fatto di dover ricevere un’iniezione o altre procedure mediche invasive come un’esplorazione rettale, un prelievo di sangue, un’anestesia dal dentista, la dilatazione della cervice uterina, i punti di sutura. In qualcuno questo genere di fobia può anche comparire alla vista di un film con scene violente e sanguinolente.

Una reazione diversa

A differenza di tutte le altre, questa fobia ha una peculiarità: comporta una risposta organica diversa. La fobia di sangue, ferite e aghi, dopo un temporaneo incremento della frequenza cardiaca e dei valori della pressione arteriosa (le reazioni che si verificano anche negli altri casi), induce una crisi a livello della circolazione sanguigna che provoca il rallentamento del ritmo del cuore e l’abbassamento della pressione fino allo svenimento nel 70-80 per cento dei casi. Mentre nelle altre fobie si verifica in genere anche l’aumento dell’ormone adrenalina (che circola in maggiore quantità di fronte a una situazione di pericolo), qui si verifica un processo opposto e in particolare negli uomini è stata osservata anche la presenza di asistolia, cioè assenza di battito cardiaco per qualche istante.

Questione di sensibilità ma anche di geni

L’origine della fobia per il sangue e le ferite è oggetto di discussioni. Secondo alcuni va attribuita solo al disagio-ribrezzo in persone particolarmente sensibili, secondo altri dipende da un meccanismo di evoluzione dell’uomo finalizzato al normale istinto di sopravvivenza e causato dal calo dei valori della pressione arteriosa. È come se, a livello inconscio, si temesse, alla vista del sangue altrui, di perderne del proprio e, attraverso il meccanismo fisiologico della riduzione della pressione che accompagna tale paura, si riducesse anche la probabilità di un’emorragia. C’è invece un generale accordo sulla registrazione di un’altissima connotazione familiare-ereditaria. Il 70 per cento circa delle persone che soffre della fobia del sangue, degli aghi e delle ferite ha infatti un familiare con la stessa paura, il che ha fatto pensare che la componente ereditaria sia più rilevante che in altri casi.

Comincia da bambini

C’è una maggiore frequenza nelle donne (55-70 per cento). Anche questa fobia però non risulta molto invalidante e raramente si va in psicoterapia per curarla, a meno che non si scelga di svolgere una professione del campo sanitario. Compare da bambini o da adolescenti e più raramente in età adulta.

Paura dei temporali, del buio e dell’altezza

Le fobie attivate da elementi naturali sono la brontofobia (paura dei temporali), la ceraunofobia (paura dei tuoni), l’acrofobia (paura delle altezze), la scotofobia (paura del buio), l’idrofobia (paura dell’acqua).

Questa è una fobia abbastanza limitante: chi ne soffre infatti si agita moltissimo ogni volta che deve affrontare un certo evento naturale. Se, per esempio, sta per scoppiare un temporale o viene meno la luce all’improvviso, la persona prova angoscia e terrore, vorrebbe scappare (anche se non si sente al sicuro da nessuna parte) e ha sempre bisogno di una persona di riferimento che la protegga. Spesso invece è da sola e dunque è ancora più atterrita.

Paure ancestrali , coccole e rassicurazioni

Come per la fobia degli animali, in questa categoria di paure giocano due componenti. Da un lato, i timori ancestrali: gli eventi naturali, soprattutto violenti, hanno sempre inciso sulla sopravvivenza degli esseri umani. Questo retaggio, unito al substrato ambientale (per esempio una tromba d’aria avrà un impatto maggiore in Italia rispetto ai Paesi con clima monsonico) e a un temperamento ansioso, può far scatenare la fobia. Dall’altro, conta anche il ruolo dei genitori: il fatto che la fobia si sviluppi o meno nell’infanzia potrebbe dipendere da come e quanto i genitori sono riusciti a stare vicino ai bambini durante gli eventi naturali temuti. Per esempio, durante i tuoni e i fulmini non basta stare vicino a un bambino spaventato e limitarsi ad abbracciarlo. Questi sono gesti essenziali ovviamente, ma altrettanto necessario è spiegare che si tratta di un fenomeno transitorio. Insomma bisogna proteggere e rassicurare il piccolo, specie se ansioso, altrimenti si trascinerà questa fobia anche da grande.

Anche da adulti

Le paure ambientali possono comparire in età adulta, ma in genere solo in conseguenza a un disturbo post-traumatico da stress, cioè seguono a per esempio a un uragano, un terremoto, che innesca la paura che l’evento possa ripetersi. Anche qui c’è una leggera prevalenza di diffusione al femminile, mentre il ricorso alla psicoterapia è molto più importante, dato il carattere invalidante della fobia stessa.

La paura di volare, degli ascensori o delle gallerie

Queste fobie sono scatenate da situazioni specifiche come i luoghi chiusi o stretti come i tunnel, le gallerie e gli ascensori (claustrofobia) o il guidare (amaxofobia) o il volo (aviofobia).

Una questione di controllo

All’interno di questo gruppo ci sono fobie più razionali, come quella di volare, evento contrario alla natura umana e altre meno comprensibili che riguardano i mezzi di trasporto su terra o l’attraversamento di ponti o gallerie, più congeniali agli uomini. Queste fobie sono legate al timore di perdere il controllo, il proprio o quello altrui. Per esempio, nel caso dell’aereo, ci si deve affidare ad altri (il pilota) e a un mezzo (l’aereo) di cui non si conosce bene il funzionamento. Se invece si ha paura di guidare, allora prevale il terrore di perdere il controllo dell’auto e di provocare un incidente. La paura dei luoghi chiusi (ascensori, tunnel, gallerie) è legata all’impossibilità di scappare e all’essere confinati in uno spazio limitato. Ci sono alcuni che non riescono ad andare al cinema, in metropolitana perché avvertono un senso di soffocamento: questo può essere anche il riflesso di una situazione da cui ci si sente oppressi.

Il ruolo delle esperienze passate

Le fobie situazionali sono dovute a esperienze reali o simboliche che hanno fortemente condizionato la vita. Nel caso della claustrofobia, per esempio, la persona può essere stata rinchiusa in uno spazio ristretto e può aver sperimentato sensazioni di soffocamento oppure può aver percepito una sensazione simbolica di intrappolamento, per esempio in una relazione interpersonale difficile.

Discorso simile per la paura dell’acqua, del fondo, del nuoto. Uno studio ha indagato su questa fobia, somministrando un questionario ai familiari di 50 bambini. Il 56 per cento del campione ha affermato che la fobia era comparsa al primo contatto dei figli con l’acqua; il 26 per cento riconosceva nel condizionamento indiretto (cioè nell’aver visto altri bambini paurosi) la causa della fobia e solo il 2 per cento a seguito di un episodio condizionante classico. Il restante 16 per cento non trovava alcuna spiegazione se non il fatto che i figli avessero avuto da sempre la fobia dell’acqua. Per quanto concerne la paura del volo, molti fobici la fanno risalire alle notizie di aerei precipitati, altri alle turbolenze vissute e altri ancora all’aver visto altre persone spaventarsi durante il volo. In genere insomma la paura di volare risale a esperienze pregresse o riportate, tranne per coloro che soffrono già di panico o per gli agorafobici*. Questi infatti evitano di volare per paura di essere colpiti da un attacco di panico, mentre i fobici veri e propri per timore che l’aereo cada. A differenza delle altre fobie appartenenti a questa categoria, a prevalenza femminile, l’aviofobia sembra riguardare allo stesso modo donne e uomini.

 

Come riconoscere la paura dalla fobia

Il Dsm-IV stabilisce criteri precisi per distinguere una paura normale da una fobia, e cioè che l’ansia e l’evitamento di certe situazioni non devono essere legate a disturbi mentali di altro tipo o a sostanze o farmaci che possano alterare lo stato mentale; che l’ansia, il panico e l’evitamento non dipendano da altri disagi psicologici come il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo post-traumatico da stress o il disturbo d’ansia di separazione. Inoltre Il Dsm-IV stabilisce che deve essere analizzato il modo in cui viene vissuta l’esposizione alla situazione o la semplice attesa di quella – sottolinea lo psicologo – e se questa comporta una paura leggera o marcata. Se per esempio il solo fatto di sapere di dovere andare da un amico che ha l’animale che si teme comporta un’irragionevole ansia e timore, allora potrebbe trattarsi di una fobia . Infine va anche osservato l’atteggiamento di evitamento. Se l’ansia si placa solo quando l’evento è superato – ribadisce Cavaliere – o, peggio ancora, solo quando si rinuncia all’evento (non si va in campagna per evitare incontri ravvicinati con gli insetti o non si prende l’aereo perdendo un’occasione importante), la persona da sola si renderà conto che la sua paura ha un aspetto patologico e che bisogna intervenire .

La psicoterapia comportamentale

Il trattamento elettivo in caso di fobia è quello comportamentale che segue un’idea del tipo “fare amicizia con le proprie paure”. Dice il dottore: Si mette in atto un processo di desensibilizzazione mediante un’esposizione programmata e graduale all’oggetto fobico. La persona viene avvicinata in modo lento e progressivo agli stimoli che innescano la paura, partendo da quelli più lontani dall’oggetto, per esempio l’osservazione di immagini di cani o l’immagine di una siringa nuova, per mettere in campo una tecnica all’inizio solo immaginativa. Man mano, poi, si passa al contatto reale: per esempio, nel caso della paura di volare ci sono corsi, organizzati anche dalle compagnie aeree, che propongono spiegazioni tecniche e voli simulati . Il contatto con tali stimoli viene mantenuto finché non subentra l’ abitudine e questi non generano più un’ansia forte. A questo punto si procede all’esposizione a uno stimolo leggermente più ansiogeno, in una scala ben congegnata. Nel giro di qualche mese, in genere, si riesce a risalire fino a esposizioni più forti , ripetendo ogni esercizio finché lo stimolo fobico non diventa neutro. Tale psicoterapia può spaventare molto, poiché il fobico deve affrontare la situazione temuta , ma se effettuata da psicoterapeuti esperti, garantisce un’ottima percentuale di successo. S e non ci sono altri disagi psicologici la psicoterapia comportamentale dura 6 mesi o un anno al massimo e le sedute sono settimanali.

Il trattamento cognitivo

A quella comportamentale si può aggiungere una terapia cognitiva che punta a ristrutturare schemi mentali sbagliati o idee disfunzionali assunte nel tempo. Per esempio, nel caso dell’aereo, se uno ha paura che l’aereo cada e teme di morire, il trattamento consisterà nel conoscere tutte le indagini effettuate, secondo cui l’aereo è il mezzo più sicuro e quello che registra meno incidenti. Si effettua insomma – conferma il dottore – una ristrutturazione mentale che tuttavia va affiancata sempre a quella comportamentale perché, senza l’esposizione agli stimoli temuti, si proverà ansia e terrore quando ci si ritroverà poi, prima o poi, di fronte all’oggetto della paura . La durata della psicoterapia cognitiva in genere coincide con quella comportamentale, infatti quasi sempre si fanno insieme .

La psicanalisi

L’indirizzo psicoanalitico parte dal presupposto che la fobia sia il riflesso di qualcos’altro, di un impulso proibito rimosso che si riflette sull’oggetto della paura. Quindi secondo gli psicanalisti bisogna andare all’origine della paura irrazionale, indagare il passato e scavare tra i ricordi per capire da dove viene e quindi risolverla. Quando avviene questo, si prende coscienza del significato sostitutivo che ha la fobia e l’oggetto perde (o dovrebbe perdere) così la sua valenza fobica. È un percorso di cura che necessita di tempi piuttosto lunghi, addirittura anni e le sedute possono essere anche tre alla settimana.

I farmaci nei casi più seri

Nel caso di fobie gravi e invalidanti possono lo specialista in psichiatria può prescrive farmaci ansiolitici, che aiutano a gestire l’ansia quando si devono affrontare necessariamente certe situazioni temute per esempio prima di prendere l’aereo. Tale strategia consente senz’altro di sopravvivere all’evento, ma – sottolinea Cavaliere – tende a rafforzare la fobia perché la persona apprenderà che solo con l’aiuto del farmaco è in grado di superare il terrore .

Ines Siano

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

NUOVE FOBIE

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ANUPTAFOBIA È il terrore di restare «single», da «nupta» sposa in latino con «a» privativo.

BIOFOBIA È il timore di catastrofi ecologiche e di nuove epidemie. Terrori «classici»: la Bse (Encefalopatia spongiforme bovina); l’influenza aviaria; il timore di alimentarsi con gli Ogm; la paura di eventi come lo «tsunami» o di uragani come «Katrina» e delle conseguenze del buco dell’ozono.

CYBERFOBIA Paura di tutto ciò che ha a che fare con i computer.

EUROFOBIA È nata dopo l’euforia per l’unificazione europea. È caratterizzata dal senso di perdita e dalla sensazione di dover condividere qualcosa con Paesi di cui in precedenza si era solo sentito parlare.

ISLAMFOBIA Nasce dal timore che l’Islam si appresti a conquistare il mondo sconvolgendo il nostro stile di vita.

PAUPEROFOBIA È la paura di sembrare poveri e non è assolutamente in relazione con il conto in banca. Obbliga a confrontare continuamente ciò che si ha e ciò che hanno gli altri. Vizia le regole sociali e famigliari. Costringe spesso a comprare prodotti che non ci si possono permettere. Il termine viene da «pauper» , povero in latino.

PROSOFOBIA È il timore del progresso sociale. Viene dal greco: «proso», che significa: io vado avanti.

QUASIMODOFOBIA È la preoccupazione eccessiva per il proprio aspetto, alla base di certi eccessi della chirurgia estetica. Il termine deriva dal Quasimodo, il campanaro gobbo, di Notre-Dame de Paris di Victor Hugo.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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FOBIE

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Il DSM-IV (1994) definisce la fobia specifica come la “paura marcata e persistente, eccessiva o irragionevole, provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o situazione specifici (per es. volare, altezza, animali, ricevere un’iniezione, vedere il sangue, ecc.)”.
La persona che soffre di fobia specifica , reagisce quasi sempre con una risposta ansiosa di fronte allo stimolo fobico. Questa risposta ansiosa a volte può prendere forma di attacco di panico sensibile a quella particolare situazione.
Generalmente l’adulto con questo tipo di disturbo si rende conto che la sua paura è eccessiva o irragionevole, mentre nei bambini questa caratteristica può essere assente. Sempre nei bambini l’ansia potrebbe manifestarsi in pianto, scoppi di ira, irrigidimento o nell’aggrapparsi a qualcuno.
Nella maggior parte dei casi la situazione (o più situazioni) fobigena viene sistematicamente evitata e in alcuni casi viene sopportata con intensa ansia o disagio.
Un dei criteri adottati nel DSM-IV è che l’evitamento attivo, l’ansia anticipatoria o il disagio nella situazione fobica, interferiscano significativamente con la normale routine dell’individuo, con il funzionamento lavorativo o scolastico oppure con le attività o le relazioni sociali, o ancora sia presente disagio marcato per il fatto stesso di avere la fobia.
Nelle persone con un’età inferiore ai diciotto anni la durata del disturbo dovrebbe essere di almeno sei mesi.
Naturalmente per questo tipo di valutazione diagnostica dovrebbe essere esclusa una diagnosi alternativa in grado di giustificare la presenza dell’ansia, degli attacchi di panico o l’evitamento fobico associati con l’oggetto o le situazioni specifiche.

Sempre il DSM-IV specifica alcuni tipi fondamentali di fobia così descritti:

tipo animali. Se la paura è provocata da animali o insetti. E’ un sottotipo che esordisce in genere durante l’infanzia.

tipo ambiente naturale. Se la paura è attivata da elementi dell’ambiente naturale, come temporali, altezze, acqua. Come il precedente è un sottotipo che esordisce nell’infanzia.

tipo sangue-iniezioni-ferite. E’ specificato se la paura viene provocata dalla vista di sangue o di una ferita, o dal ricevere un’iniezione o altre procedure mediche invasive. E’ un sottotipo con un’alta familiarità, ed è di frequente caratterizzato da un’imponente risposta vasovagale.

tipo situazionale. Questo sottotipo dovrebbe essere specificato nei casi in cui la paura fosse provocata da una situazione specifica, come trasporti pubblici, tunnel, ponti, ascensori, volare, guidare, oppure luoghi chiusi. E’ un sottotipo con una distribuzione dell’età di esordio bimodale, con un picco nell’infanzia ed un altro picco verso i 25 anni di età. E’ un sottotipo che sembra simile al disturbo di panico con agorafobia da diversi punti di vista: distribuzione tra i sessi, concentrazione familiare, età di esordio.

altro tipo. Sottotipo da specificare nel caso la paura fosse scatenata da altri stimoli come: la paura o l’evitamento di situazioni che potrebbero portare a soffocare, vomitare o contrarre una malattia; la fobia dello “spazio” (cioè il timore di cadere giù se si è lontani dai muri o altri mezzi di supporto fisico); e il timore nei bambini dei rumori forti o dei personaggi in maschera.

I disturbi d’ansia sembrano essere i più diffusi rispetto agli altri principali dist urbi mentali. Nel grande gruppo dei disturbi d’ansia le fobie sono probabilmente le più comuni (agorafobia, claustrofobia, fobia specifica, fobia sociale). Una persona con fobia specifica spesso teme solo secondariamente la situazione o l’oggetto fobico, mentre la paura principale sembra essere relativa all’attacco d’ansia o di panico che potrebbe attivarsi in quella situazione, cioè una paura di perdere il controllo di sé che potrebbe essere estesa alla paura della perdita in generale, probabilmente legata a situazioni traumatiche infantili. Dal punto di vista cognitivo si può pensare che l’immagine che il fobico si creare anticipatamente rispetto alla situazione alla quale va incontro faccia scattare l’evitamento o la risposta ansiosa. Modificare la rappresentazione fino al raggiungimento di un modello neutro potrebbe aiutare a vincere l’ansia anticipatoria.

Generalmente questo tipo di sintomatologia può essere efficacemente risolto con un intervento anche di breve durata. Le psicoterapie di elezione sembrano essere: la terapia di esposizione e la terapia cognitiva combinata con esposizione. Per la fobia tipo sangue-iniezioni-ferite si sono ottenuti buoni risultati con la tensione applicata ed esposizione (Fonagy, P., Roth, A., 1996).

Fra i vari studiosi che hanno trattato le fobie interessante è il contributo di Marks che distingue i seguenti elementi semiologici:

1) È sproporzionata allo stimolo.Ciò significa che la maggior parte delle persone reagirebbe con indifferenza o bassi livelli di ansia agli stessi stimoli. (es.: il claustrofobico non riesce a fare una cosa per noi molto facile: prendere l’ascensore).

2) Non può essere controllata con un’analisi razionale. Spiegare la genesi del disturbo, i meccanismi di mantenimento, la non pericolosità delle situazioni temute e l’assurdità della paura non riduce in alcun modo il problema.

3) Sfugge al controllo volontario. Vani sono gli appelli all’autocontrollo. Il fobico reagisce ai segnali di pericolo con risposte apprese che hanno carattere di automatismo. Egli non è in grado di controllare le alterazioni del sistema nervoso autonomo quali il battito cardiaco, respirazione, pressione sanguigna, sudorazione, temperatura, tensione muscolare, scariche di adrenalina, ecc. Tutte queste risposte fisiologiche elicitate dallo stimolo fobico sono il risultato di un apprendimento (condizionamento classico). Il loro effetto congiunto è talmente potente e rapido da far stare male il fobico e indurlo alla fuga.

4) Produce l’evitamento della situazione temuta. La fuga è una strategia di emergenza. Generalmente il fobico prevede in modo accurato tutte le situazioni che lo possono mettere in ansia e le evita sistematicamente. La sua vita può subire forti limitazioni in funzione di questa strategia. L’agorafobico che non esce di casa perde il lavoro, gli amici, gli abituali svaghi. Il bambino con la fobia della scuola è danneggiato nell’apprendimento.

Teorie eziologiche

TEORIA COMPORTAMENTALE.
In questa ottica si ritiene che le fobie si possono spiegare ricorrendo ai noti paradigmi dell’apprendimento: 1) apprendimento classico pavloniano; 2) apprendimento operante skinneriano; 3) apprendimento per imitazione sociale (Miller-Dollard).


TEORIA PSICANALITICA.
La fobia è considerata un sintomo nevrotico (isteria d’angoscia) il cui significato è inconscio (desideri sessuali e aggressivi). Poiché tali desideri, che provengono da pulsioni istintuali, sono inaccettabili dalla censura, il soggetto se ne libera proiettando parte della carica psichica legata a tali pulsioni su «oggetti» esterni (meccanismo di difesa). L’«oggetto» fobico è temuto sia perché simboleggia il desiderio illecito, sia per le conseguenze punitive che esso evoca (castrazione e perdita di amore).
Variabili che facilitano l’acquisizione delle fobie
Dagli studi di Eysenck emerge che variabili personologiche facilitano l’acquisizione dell’ansia; gli introversi la acquisiscono più facilmente degli estroversi essendo più condizionabili. Anche il sesso è un fattore predisponente che vede la donna al primo posto. Il 95% delle fobie per animali, il 75% delle agorafobie e il 60% delle fobie sociali sono appannaggio delle donne.
Nell’infanzia le paure aumentano e diminuiscono alle varie età sotto l’influenza di fattori socio-culturali, maturazionali, di apprendimento (Jersild, Holmes). Per quanto riguarda l’età, emerge che le fobie per gli animali insorgono nell’infanzia, l’agorafobia e le fobie sociali dopo la pubertà, quelle monosintomatiche a qualsiasi età. Sempre nei bambini, secondo Kennedy, hanno peso fattori quali la razza, il ceto sociale, lo stato di salute il rapporto con i genitori.
Alcune fobie hanno effetti gravemente invalidanti di natura psicosomatica, sociale, psicologica Il loro trattamento ha carattere di urgenza. Le tecniche di terapia comportamentale sono quelle che hanno ottenuto i risultati più brillanti con una percentuale di successo dell’80% in trattamenti della durata media di 30 sedute (Wolpe).

TEORIA COGNITIVA

Secondo questo approcio l’ansia e’ causata da pensieri irrazionali o disfunzionali sulla realta’. Questi pensieri sarebbero come dei “filtri” in grado di distorcere l’analisi obiettiva di quanto accade alla persona e indurrebbero ad interpretare gli eventi in termini minacciosi. Cosi’, ad esempio, una persona fortemente dipendente dal giudizio degli altri, che ritenga di non essere abbastanza intelligente o brava ad esporre il proprio pensiero, tormentata dal timore di essere giudicata negativamente e perdere la loro stima o la loro benevolenza se le idee da esporre sono diverse da quelle professate dagli altri(nonche’ altri innumerevoli pensieri negativi che vi lascio immaginare), sara’ presa dal panico all’idea di dover esporre il proprio pensiero; manifestera’ sintomi psicosomatici, se parlera’ lo fara’ in modo inadeguato ma potra’ anche non riuscirci affatto. La fobia degli esami e di parlare in pubblico ne sono un esempio. Alcuni esponenti di questa teoria sono A. ELLIS, A.T.BECK, COOK, NEWMARK, FRERKING.

TEORIA UMANISTICO-ESISTENZIALE

Secondo gli umanisti ogni persona deve crescere in un ambiente che lo rassicuri con affetto e giudizi positivi.Bambini ipercriticati da genitori e educatori saranno da adulti ipercritici verso se stessi.Sono perennemente scontenti di cio’ che fanno avendo adottato standards autovalutativi molto severi. Poiche’ gli insuccessi rispetto a questi standards sono vissuti come fallimenti della loro vita sviluppano fobie come meccanismo di difesa verso cio’ che puo’ rappresentare una minaccia per il proprio concetto del se’.
Gli esistenzialisti, inoltre, enfatizzano nell’analisi eziologica la discrepanza esistente tra comportamenti che non rispondono alle autentiche aspirazioni della persona e questo bisogno di autenticita’. Ansia, panico e fobie si manifesterebbero nelle persone che diventano consapevoli che le loro azioni non sono in armonia con i desideri del se’ autentico( Rogers,Maslow).

TEORIA BIOLOGICA

Si tratta di un approcio molto debole; non vi sono prove della ereditarieta’ delle paure e fobie.Tuttavia e’ interessante l’emergere di prove che mettono in evidenza il ruolo della gracilita’ costituzionale (Lacey) o dello stress cronico (Seligman) come fattori che facilitano l’acquisizione delle fobie.

Intervista al dott.Roberto Cavaliere sul tema delle FOBIE pubblicato sul numero di settembre 2008 della rivista mensile “COME STAI”

Intervista su “Le paure: cosa sono, da che sono, generate, come si possono sconfiggere” su 7Magazine del 19.02.2007

Di seguito propongo un’Elenco delle principali fobie, di cui molte, fortunatamente sono molto rare ed altre sono “curiose”:

Ablutofobia: Paura di lavarsi o fare il bagno.
Acarofobia: Paura di avere prurito o degli insetti che causano prurito.
Achluofobia: Paura del buio.
Acousticofobia: Paura dei rumori.
Acrofobia: Paura dell’altezza.
Acrofobia: paura dei luoghi alti
Aeroacrofobia: Paura di posti alti e aperti.
Aerofobia: Paura delle correnti d’aria, di inghiottire aria o respirare aria contaminata.
Aerofobia: paura di volare
Aeronausifobia: Paura di vomitare a causa del mar d’aria.
Agliofobia: Paura del dolore.
Agorafobia: Paura degli spazi aperti o di trovarsi in posti pubblici affollati.
Agorafobia: paura degli spazi aperti
Agrafobia: Paura degli abusi sessuali.
Agrizoofobia: Paura degli animali selvatici.
Agyrofobia: Paura delle strade o di attraversare le strade.
Aichmofobia: Paura degli aghi o degli oggetti appuntiti.
Aicmofobia: paura degli oggetti acuminati e taglienti
Ailurofobia: Paura dei gatti.
Ailurofobia: paura dei gatti
Algofobia: Paura ossessiva di soffrire.
Allodoxafobia: Paura delle opinioni.
Altofobia: Paura dell’altitudine.
Amartofobia: paura di sbagliare o peccare
Amatofobia: paura e fastidio per la polvere
Amaxofobia: Paura di leggere in macchina.
Ambulofobia: Paura di camminare.
Amnesifobia: Paura delle amnesie.
Amychofobia: Paura dei graffi o di essere graffiato.
Anablefobia: Paura di guardare in alto.
Ancraofobia o Anemofobia: Paura del vento.
Androfobia: Paura degli uomini.
Androfobia: paura degli uomini
Anemofobia: Paura delle correnti d’aria o del vento.
Anginofobia: Paura dell’angina, di soffocare.
Angrofobia: Paura di avere fame.
Ankylofobia: Paura dell’immobilità di un’articolazione.
Anthrofobia o Anthofobia: Paura dei fiori.
Anthropofobia: Paura della gente o della società.
Antlofobia: Paura delle inondazioni.
Antropofobia: paura della gente e dei contatti sociali
Anuptafobia: Paura di rimanere single.
Apeirofobia: Paura dell’infinito.
Aphenphosmfobia: Paura di essere toccati.
Apifobia: Paura delle api.
Arachnefobia o Arachnofobia: Paura dei ragni.
Aracnofobia: paura dei ragni
Arithmofobia: Paura dei numeri.
Arsonfobia: Paura del fuoco.
Asthenofobia: Paura di svenire o di sentirsi deboli.
Astrafobia o Astrapofobia o Brontofobia : Paura di tuoni e fulmini.
Astrofobia: Paura delle stelle e dello spazio celeste.
Asymmetrifobia: Paura delle cose asimmetriche.
Ataxiofobia: Paura dell’atassia (mancato coordinamento muscolare)
Ataxofobia: Paura del disordine.
Atefobia: Paura delle rovine.
Atelofobia: Paura dell’imperfezione.
Athazagorafobia: Paura di essere dimenticati o ignorati.
Atomosofobia: Paura delle esplosioni atomiche.
Atychifobia: Paura di fallire.
Aulofobia: Paura dei flauti.
Aurofobia: Paura dell’oro.
Aurorafobia: Paura dell’aurora.
Autodysomofobia: Paura di chi puzza.
Autofobia: Paura di essere soli o di se stessi.
Automatonofobia: Paura di tutto ciò che falsamente rappresenta un essere senziente. (burattini, ventriloqui, statue di cera… )
Automysofobia: Paura di essere sporchi.
Aviofobia o Aviatofobia: Paura di volare.
Bacillofobia: Paura dei microbi.
Bacteriofobia: Paura dei batteri.
Ballistofobia: Paura dei missili o delle pallottole.
Barofobia: Paura della gravità.
Basofobia o Basifobia: Incapacità di stare in piedi. Paura di camminare o cadere.
Bathofobia: Paura della profondità.
Batofobia: Paura dell’altezza o di essere vicini a alti edifici.
Batofobia: paura della profondità e delle altezze
Batonofobia: Paura delle piante.
Batrachofobia: Paura degli anfibi, come rane, tritoni, salamandre, etc.
Belonefobia: Paura di spilli e aghi (Aichmofobia).
Bibliofobia: Paura dei libri.
Blennofobia: Paura del viscido.
Bogyfobia: Paura dei folletti o degli spauracchi.
Bolshefobia: Paura dei bolscevichi.
Bromidrosifobia o Bromidrofobia: Paura degli odori corporei.
Bromidrosifobia: fastidio eccessivo per i cattivi odori
Brontofobia: paura delle tempeste, dei tuoni, dei cicloni, degli uragani, dei tornado
Bufonofobia: Paura dei rospi.
Cacofonia: Paura della bruttezza.
Cainofobia o Cainotofobia: Paura delle innovazioni, novità.
Caligynefobia: Paura delle donne belle.
Cancerofobia: Paura del cancro.
Carcinofobia: Paura del carcinoma.
Cardiofobia: Paura del cuore.
Cardiofobia: paura delle malattie del cuore
Carnofobia: Paura della carne.
Catagelofobia: Paura di essere ridicolizzati.
Catapedafobia: Paura di saltare da posti alti e bassi.
Cathisofobia: Paura di sedersi.
Catoptrofobia: Paura degli specchi.
Cenofobia o Centofobia: Paura di cose nuove o di idee.
Ceraunofobia: Paura dei tuoni.
Chaetofobia: Paura dei capelli.
Cheimafobia o Cheimatofobia: Paura del freddo.
Chemofobia: Paura delle sostanze chimiche o di lavorare a contatto con esse.
Cherofobia: Paura della felicità.
Chionofobia: Paura della neve.
Chiraptofobia: Paura di essere toccati.
Cholerofobia: Paura della rabbia o di provare collera.
Chorofobia: Paura di ballare.
Chrometofobia o Chrematofobia: Paura dei soldi.
Chromofobia o Chromatofobia: Paura dei colori.
Chronofobia: Paura del tempo.
Chronomentrofobia: Paura degli orologi.
Cibofobia o Sitofobia o Sitiofobia: Paura del cibo.
Cinofobia: paura dei cani o di essere morsi da questi
Claustrofobia: Paura di spazi chiusi.
Claustrofobia: paura di luoghi chiusi e/o affollati
Cleithrofobia o Cleisiofobia: Paura di essere rinchiusi in posto chiuso.
Cleptofobia: Paura di rubare.
Climacofobia: Paura delle scale, scalare o cadere di sotto.
Clinofobia: Paura di andare a letto.
Clithrofobia o Cleithrofobia: Paura di essere rinchiusi.
Cnidofobia: Paura degli spaghi.
Coimetrofobia: Paura dei cimiteri.
Coitofobia: Paura del coito.
Cometofobia: Paura delle comete.
Contreltofobia: Paura dell’abuso sessuale.
Coprastasofobia: Paura della costipazione.
Coprofobia: Paura delle feci.
Coprofobia: paura delle feci, ritenute fonti di contagio (sin. scatofobia)
Coulrofobia: Paura dei clown.
Counterfobia: Il piacere di un fobico nel ricercare situazioni che lo spaventano.
Cremnofobia: Paura dei precipizi.
Cromatofobia: fastidio e paura per i colori
Cryofobia: Paura del freddo estremo, ghiaccio o brina.
Crystallofobia: Paura dei cristalli o del vetro.
Cyberfobia: Paura dei computer o di lavorare al computer.
Cyclofobia: Paura delle biciclette.
Cymofobia: Paura delle onde o di movimenti ondeggianti.
Cynofobia: Paura dei cani o della rabbia.
Cypridofobia o Cyprifobia o Cyprianofobia o Cyprinofobia: Paura delle prostitute o delle malattie veneree.
Decidofobia: Paura di prendere decisioni.
Defecaloesiofobia: Paura di una defecazione dolorosa.
Deipnofobia: Paura di cenare o di conversare a cena.
Dementofobia: Paura della follia.
Demofobia: Paura della folla (Agorafobia).
Demofobia: paura della folla (sin. oclofobia)
Demonofobia o Daemonofobia: Paura dei demoni.
Dendrofobia: Paura degli alberi.
Dentofobia: Paura dei dentisti.
Dermatofobia: Paura delle lesioni cutanee.
Dermatosiofobia o Dermatofobia o Dermatopathofobia: Paura delle malattie cutanee.
Dextrofobia: Paura degli oggetti alla destra del corpo.
Diabetofobia: Paura del diabete.
Didaskaleinofobia: Paura di andare a scuola.
Dikefobia: Paura della giustizia.
Dinofobia: Paura delle vertigini o dei vortici.
Diplofobia: Paura di vedere doppio.
Dipsofobia: Paura di bere.
Dishabiliofobia: Paura di spogliarsi di fronte a qualcuno.
Dismorfofobia: paura di essere brutti, deformi, impresentabili
Domatofobia o Oikofobia: Paura delle case o di essere in una casa.
Dorafobia: Paura del pelo o della pelle degli animali.
Dromofobia: Paura di attraversare le strade.
Dromofobia: paura di camminare e viaggiare (sin. odofobia)
Dutchfobia: Paura dei tedeschi.
Dysmorphofobia: Paura della deformità.
Dystychifobia: Paura degli incidenti.
Ecclesiofobia: Paura delle chiese.
Ecofobia: Paura di restare soli in casa.
Eisoptrofobia: Paura degli specchi o di vedersi allo specchio.
Electrofobia: Paura dell’elettricità.
Eleutherofobia: Paura della libertà.
Elurofobia: Paura dei gatti.
Emetofobia: Paura di vomitare.
Emofobia: paura del sangue (sin. ematofobia)
Enetofobia: Paura degli spilli.
Enochlofobia: Paura della folla.
Enosiofobia o Enissofobia: Paura di aver commesso un peccato imperdonabile o del criticismo.
Entomofobia: Paura degli insetti.
Eosofobia: Paura dell’alba.
Ephebifobia: Paura dei teenagers.
Epistaxiofobia: Paura del sangue dal naso.
Epistemofobia: Paura della conoscenza.
Equinofobia: Paura dei cavalli.
Eremofobia: Paura di essere se stessi o della solitudine.
Ereuthrofobia: Paura di arrossire.
Ereutofobia: paura di arrossire (sin. eritrofobia)
Ergasiofobia: 1) Paura di lavorare. 2) Paura dei chirurghi ad operare.
Ergasiofobia: timore di agire e provocare esiti disastrosi
Ergofobia: Paura di lavorare.
Erotofobia: Paura dell’amore sessuale o delle questioni sessuali.
Erythrofobia o Erytofobia o Ereuthofobia: 1) Paura delle luci rosse. 2) Di arrossire. 3) Del rosso.
Eufobia: Paura di sentire buone notizie.
Eurotofobia: Paura dei genitali femminili.
Fagofobia: fastidio alla assunzione del cibo
Fasmofobia: paura dei fantasmi
Febrifobia o Fibrifobia o Fibriofobia: Paura della febbre.
Felinofobia: Paura dei gatti (Ailurofobia, Elurofobia, Galeofobia, Gatofobia).
Fonofobia: paura dei suoni
Fotofobia: paura e fastidio per la luce
Francofobia: Paura della Francia, della cultura francese Gallofobia, Galiofobia).
Frigofobia: Paura del freddo, delle cose fredde.
Galeofobia o Gatofobia: Paura dei gatti.
Gallofobia o Galiofobia: Paura dei francesi, della cultura francese (Francofobia).
Gamofobia: Paura del matrimonio.
Geliofobia: Paura della risata.
Geniofobia: Paura dei menti.
Genofobia: Paura del sesso.
Genufobia: Paura delle ginocchia.
Gephyrofobia o Gephydrofobia o Gephysrofobia: Paura di attraversare i ponti.
Gerascofobia: Paura di invecchiare.
Gerontofobia: Paura dei vecchi e di invecchiare.
Geumafobia o Geumofobia: Paura di assaggiare.
Ginofobia: paura delle donne
Glossofobia: Paura di parlare in pubblico o di provare a parlare.
Gnosiofobia: Paura di conoscere.
Graphofobia: Paura di scrivere o scrivere a mano.
Gymnofobia: Paura della nudità.
Gynefobia o Gynofobia: Paura delle donne.
Hadefobia: Paura delle campane.
Hagiofobia: Paura dei santi o delle cose sacre.
Hamartofobia: Paura di peccare.
Haphefobia o Haptefobia: Paura di essere toccati.
Harpaxofobia: Paura di essere derubati.
Hedonofobia: Paura di provare piacere.
Heliofobia: Paura del sole.
Hellenologofobia: Paura dei termini greci o delle complesse terminologie scientifiche.
Helminthofobia: Paura di essere infestati dai vermi.
Hemofobia o Hemafobia o Hematofobia: Paura del sangue.
Herpetofobia: Paura dei rettili, delle cose striscianti.
Heterofobia: Paura del sesso opposto (Sexofobia).
Hierofobia: Paura dei preti e di cose sacre.
Hippofobia: Paura dei cavalli.
Hobofobia: Paura degli accattoni, vagabondi.
Hodofobia: Paura di viaggiare su strada.
Homichlofobia: Paura della nebbia.
Homilofobia: Paura dei sermoni.
Hominofobia: Paura degli uomini.
Homofobia: Paura dell’uguaglianza, monotonia o dell’omosessualità o di diventare omosessuale.
Hoplofobia: Paura delle armi da fuoco.
Hormefobia: Paura degli shock.
Hydrofobia: Paura dell’acqua o della rabbia.
Hydrophobofobia: Paura della rabbia.
Hyelofobia o Hyalofobia: Paura del vetro.
Hygrofobia: Paura dei liquidi, umidità.
Hylefobia: Paura del materialismo o la paura dell’epilessia.
Hylofobia: Paura dei boschi.
Hypengyofobia o Hypegiafobia: Paura delle responsabilità.
Hypnofobia: Paura di dormire o di essere ipnotizzati.
Hypsifobia: Paura dell’altezza.
Iatrofobia: Paura di andare dal dottore o dei dottori.
Ichthyofobia: Paura del pesce.
Ideofobia: Paura delle idee.
idrofobia: paura dell’acqua
Illyngofobia: Paura delle vertigini o di sentire girare la testa guardando verso il basso.
Insectofobia: Paura degli insetti.
Iofobia: Paura del veleno.
Isolofobia: Paura della solitudine, essere soli.
Isopterofobia: Paura delle termiti, degli insetti che mangiano il legno.
Ithyphallofobia: Paura di vedere, pensare a o avere un pene in erezione.
Japanofobia: Paura dei giapponesi.
Judeofobia: Paura degli ebrei.
Kainofobia: Paura di qualsiasi cosa nuova.
Kainolofobia: Paura di novità.
Kakorrhaphiofobia: Paura di fallire o di essere sconfitti.
Katagelofobia: Paura del ridicolo.
Kathisofobia: Paura di stare seduti.
Kenofobia: Paura del vuoto e degli spazi vuoti.
Keraunofobia: Paura di tuoni e fulmini.
Kinetofobia o Kinesofobia: Paura del movimento.
Kleptofobia: Paura di rubare.
Koinonifobia: Paura delle stanze.
Kolpofobia: Paura dei genitali, particolarmente femminili.
Koniofobia: Paura della polvere (Amathofobia).
Kopofobia: Paura della fatica.
Kosmikofobia: Paura dei fenomeni cosmici.
Kymofobia: Paura delle onde.
Kynofobia: Paura della rabbia.
Kyphofobia: Paura di abbassarsi.
Lachanofobia: Paura delle verdure.
Laliofobia o Lalofobia: Paura di parlare.
Leprofobia o Leprafobia: Paura della lebbra.
Leukofobia: Paura del colore bianco.
Levofobia: Paura di cose alla sinistra del corpo.
Ligyrofobia: Paura di rumori forti.
Lilapsofobia: Paura di tornado e uragani.
Limnofobia: Paura dei laghi.
Linonofobia: Paura degli spaghi.
Liticafobia: Paura dei processi.
Lockiofobia: Paura del parto.
Logizomechanofobia: Paura dei computer.
Logofobia: Paura delle parole.
Luifobia: Paura della sifilide.
Lutrafobia: Paura delle lontre.
Lygofobia: Paura dell’oscurità.
Lyssofobia: Paura della rabbia o di arrabbiarsi.
Macrofobia: Paura di aspettare a lungo.
Mageirocofobia: Paura di cucinare.
Maieusiofobia: Paura di partorire.
Malaxofobia: Paura del gioco amoroso (Sarmassofobia).
Maniafobia: Paura della follia.
Mastigofobia: Paura della punizione.
Mechanofobia: Paura dei macchinari.
Medomalacufobia: Paura di perdere un’erezione.
Medorthofobia: Paura di un pene eretto.
Megalofobia: Paura di cose grandi.
Melanofobia: Paura del colore nero.
Melissofobia: Paura delle api.
Melofobia: Paura della musica.
Meningitofobia: Paura delle malattie al cervello.
Menofobia: Paura delle mestruazioni.
Merinthofobia: Paura di essere costretti o vincolato.
Metallofobia: Paura del metallo.
Metathesiofobia: Paura dei cambiamenti.
Meteorofobia: Paura dei meteoriti.
Methyfobia: Paura dell’alcool.
Metrofobia: Paura o odio della poesia.
Microbiofobia: Paura dei microbi (Bacillofobia).
Microfobia: Paura di cose piccole.
Misofobia: Paura di essere contaminati da germi.
Misofobia: paura dello sporco e dell’infetto con timore di essere contaminati
Mnemofobia: Paura dei ricordi.
Molysmofobia o Molysomofobia: Paura dello sporco e della contaminazione.
Monofobia: Paura della solitudine.
Monopathofobia: Paura di una determinata malattia.
Motorfobia: Paura delle automobili.
Mottefobia: Paura delle falene.
Musofobia o Murofobia: Paura dei topi.
Mycofobia: Paura o avversione ai funghi.
Mycrofobia: Paura di cose piccole.
Myctofobia: Paura dell’oscurità.
Myrmecofobia: Paura delle formiche.
Mysofobia: Paura dei germi, contaminazione o sporcizia.
Mythofobia: Paura dei miti, delle storie o dei false affermazioni.
Myxofobia: Paura del fango (Blennofobia).
Nebulafobia: Paura della nebbia (Homichlofobia).
Necrofobia: Paura della morte o di cose morte.
Necrofobia: paura per la morte in tutte le sue manifestazioni
Nelofobia: Paura del vetro.
Neofobia: Paura di quello che è nuovo.
Neopharmafobia: Paura delle nuove droghe.
Nephofobia: Paura delle nuvole.
Nictofobia: paura della notte o, in generale, del buio
Noctifobia: Paura della notte.
Nomatofobia: Paura dei nomi.
Nosocomefobia: Paura degli ospedali.
Nosofobia o Nosemafobia: Paura di ammalarsi.
Nostofobia: Paura di tornare a casa.
Novercafobia: Paura della matrigna.
Nucleomitufobia: Paura delle armi nucleari.
Nudofobia: Paura della nudità.
Numerofobia: Paura dei numeri.
Nyctofobia: Paura del buio o della notte.
Nyctohylofobia: Paura di aree del bosco scure o di boschi di notte.
Obesofobia: Paura di ingrassare (Pocrescofobia).
Ochlofobia: Paura delle folle e delle calche.
Ochofobia: Paura dei veicoli.
Odontofobia: Paura dei denti o di interventi dentistici.
Oenofobia: Paura dei vini.
Ofidiofobia: paura dei serpenti
Oikofobia: Paura dei luoghi vicino casa, di casa.
Olfactofobia: Paura degli odori.
Ombrofobia: Paura della pioggia o di esserne bagnati.
Ommetafobia o Ommatofobia: Paura degli occhi.
Omofobia: paura verso gli Omosessualità|omosessuali
Oneirofobia: Paura dei sogni.
Oneirogmofobia: Paura di sogni sul bagnato.
Onomatofobia: Paura di sentire una certa parola o un certo nome.
Ophidiofobia: Paura dei serpenti (Snakefobia).
Ophthalmofobia: Paura di essere guardati.
Opiofobia: Paura che i medici provano nel prescrivere medicinali contro il dolore ai pazienti.
Optofobia: Paura di aprire un occhio.
Ornithofobia: Paura degli uccelli.
Ornitofobia: paura degli uccelli
Orthofobia: Paura della proprietà.
Osmofobia o Osphresiofobia: Paura degli odori.
Ostraconofobia: Paura dei crostacei.
Ouranofobia: Paura del paradiso.
Panofobia o Patofobia: Paura di tutto.
Panthofobia: Paura della sofferenza e della malattia.
Papafobia: Paura del Papa.
Papyrofobia: Paura della carta.
Parafobia: Paura delle perversioni sessuali.
Paralipofobia: Paura di negare la responsabilità.
Parasitofobia: Paura dei parassiti.
Parthenofobia: Paura delle vergini o di ragazze giovani.
Parturifobia: Paura del parto.
Pathofobia: Paura della malattia.
Patofobia: Paura del ghiaccio o della brina.
Patroiofobia: Paura dell’ereditarietà.
Peccatofobia: Paura di peccare.
Pediculofobia: Paura dei pidocchi.
Pediofobia: Paura delle bambole.
Pedofobia: Paura dei bambini.
Peladofobia: Paura dei pelati.
Pellagrofobia: Paura della pellagra.
Peniafobia: Paura della povertà.
Pentherafobia: Paura della suocera (Novercafobia).
Phagofobia: Paura di deglutire, mangiare o essere mangiati.
Phalacrofobia: Paura di diventare calvi.
Phallofobia: Paura del pene, specialmente in erezione.
Pharmacofobia: Paura delle droghe.
Pharmacofobia: Paura di prendere medicinali.
Phasmofobia: Paura dei fantasmi.
Phengofobia: Paura dell’alba.
Philemafobia o Philematofobia: Paura di baciare.
Philofobia: Paura di innamorarsi o essere innamorati.
Philosofobia: Paura della filosofia.
Phobofobia: Paura delle fobie.
Phonofobia: Paura di rumori o voci o della propria voce, dei telefoni.
Photoaugliafobia: Paura delle luci accecanti.
Photofobia: Paura della luce.
Phronemofobia: Paura di pensare.
Phthiriofobia: Paura dei pidocchi (Pediculofobia).
Phthisiofobia: Paura della tubercolosi.
Placofobia: Paura delle tombe, delle lapidi.
Plutofobia: Paura della ricchezza.
Pluviofobia: Paura della pioggia o che piova addosso.
Pneumatifobia: Paura degli spiriti.
Pnigofobia o Pnigerofobia: Paura di soffocare o essere soffocato.
Pocrescofobia: Paura di ingrassare (Obesofobia).
Pogonofobia: Paura delle barbe.
Poinefobia: Paura della punizione.
Poliosofobia: Paura di contrarre la poliomelite.
Politicofobia: Paura o anormale disgusto per i politici.
Polyfobia: Paura di molte cose.
Ponofobia: Paura di lavorare troppo o del dolore.
Potamofobia: Paura dei fiumi o dell’acqua corrente.
Potofobia: Paura dell’alcool.
Proctofobia: Paura dell’intestino retto.
Prosofobia: Paura del progresso.
Psellismofobia: Paura di balbettare.
Psychofobia: Paura di darsi pensiero.
Psychrofobia: Paura del freddo.
Pteromerhanofobia: Paura di volare.
Pteronofobia: Paura di essere solleticati da una piuma.
Pupafobia: Paura dei burattini o paura della febbre (Pyrexiofobia).
Pyrofobia: Paura del fuoco.
Radiofonia: Paura delle radiazioni, dei raggi X.
Ranidafobia: Paura delle rane.
Rectofobia: Paura dell’intestino retto o di una sua malattia.
Rhabdofobia: Paura di essere severamente puniti o presi a bacchettate o di essere severamente criticati. Anche paura della magia (bacchetta magica).
Rhypofobia: Paura di defecare.
Rhytifobia: Paura di avere le rughe.
Rupofobia: Paura dello sporco.
Rupofobia: paura per lo sporco dalla quale spesso deriva l’ossessione a pulire
Russofobia: Paura dei russi.
Samhainofobia: Paura di Halloween.
Sarmassofobia: Paura del gioco amoroso (Malaxofobia).
Satanofobia: Paura di Satana.
Scabiofobia: Paura della scabbia.
Scatofobia: Paura di cose che hanno a che fare con le feci.
Scelerophibia: Paura di uomini cattivi, scassinatori.
Sciofobia o Sciafobia: Paura delle ombre.
Scolecifobia: Paura dei vermi.
Scolionofobia: Paura della scuola.
Scopofobia o Scoptofobia: Paura di essere visto o guardato.
Scopofobia: paura di essere guardati e osservati
Scotofobia: Paura dell’oscurità (Achluofobia).
Scotomafobia: Paura della cecità.
Scriptofobia: Paura di scrivere in pubblico.
Selafobia: Paura dei lampi di luce.
Selenofobia: Paura della luna.
Seplofobia: Paura di che ha a che fare con la decomposizione.
Sesquipedalofobia: Paura delle parole lunghe.
Sessuofobia: paura del sesso e della sessualità
Sexofobia: Paura del sesso opposto (Heterofobia).
Sfecsofobia: paura delle vespe e delle loro punture
Siderodromofobia: Paura dei treni, binari, viaggi in treno.
Siderofobia: Paura delle stelle.
Sinistrofobia: Paura delle cose a sinistra, dei mancini.
Sinofobia: Paura dei cinesi, della cultura cinese.
Sitofobia o Sitofobia: Paura del cibo o di mangiare (Cibofobia).
Snakefobia: Paura dei serpenti (Ophidiofobia).
Socerafobia: Paura dei suoceri.
Socialfobia: Paura di essere valutati negativamente in situazioni sociali.
Sociofobia: Paura della società o della gente in generale.
Somnifobia: Paura di dormire.
Sophofobia: Paura di imparare.
Soteriofobia: Paura di dipendere da altri.
Spacefobia: Paura dello spazio.
Spectrofobia: Paura di spettri o fantasmi.
Spermatofobia o Spermofobia: Paura dei germi.
Spettrofobia: paura degli specchi e di vedersi allo specchio
Spheksofobia: Paura delle vespe.
Stasibasifobia o Stasifobia: Paura di stare in piedi o camminare (Ambulofobia).
Staurofobia: Paura delle croci o dei crocefissi.
Stenofobia: Paura di cose o posti stretti.
Stygiofobia o Stigiofobia: Paura dell’inferno.
Surifobia: Paura dei topi.
Symbolofobia: Paura del simbolismo.
Symmetrofobia: Paura della simmetria.
Syngenesofobia: Paura dei parenti.
Syphilofobia: Paura della sifilide.
Tachofobia: Paura della velocità.
Taeniofobia o Teniofobia: Paura del verme solitario.
Tafofobia: paura di essere sepolti vivi
Talassofobia: paura del mare o dell’annegamento in mare
Taphefobia o Taphofobia: Paura di essere sotterrato vivo o paura dei cimiteri.
Tapinofobia: Paura di essere contagiato.
Taurofobia: Paura dei tori.
Technofobia: Paura della tecnologia.
Teleofobia: 1) Paura di certe piante. 2) Delle cerimonie religiose.
Telephonofobia: Paura dei telefoni.
Teratofobia: Paura di dare alla luce un bimbo deforme o paura dei mostri e delle persone deformi.
Testofobia: Paura di fare i test.
Tetanofobia: Paura del tetano.
Teutofobia: Paura dei germanici o delle cose dalla Germania.
Textofobia: Paura di certe stoffe.
Thaasofobia: Paura di sedere.
Thalassofobia: Paura del mare.
Thanatofobia o Thantofobia: Paura della morte o di morire.
Theatrofobia: Paura dei teatri.
Theofobia: Paura degli dei o delle religioni.
Theologicofobia: Paura della teologia.
Thermofobia: Paura del calore.
Tocofobia: Paura della gravidanza o del parto.
Tomofobia: Paura di operazioni chirurgiche.
Tonitrofobia: Paura dei tuoni.
Topofobia: Paura di certi posti o situazioni, come la paura di presentare un lavoro.
Toxifobia o Toxofobia o Toxicofobia: Paura del veleno o di essere accidentalmente avvelenati.
Traumatofobia: Paura di ferirsi.
Tremofobia: Paura di tremare.
Trichinofobia: Paura di trichinosis (Chaetofobia).
Trichopathofobia o Trichofobia o Hypertrichofobia: Paura dei capelli.
Tropofobia: Paura di muoversi o fare cambiamenti.
Trypanofobia: Paura delle iniezioni.
Tuberculofobia: Paura della tubercolosi.
Tyrannofobia: Paura dei tiranni.
Uranofobia: Paura del paradiso.
Urofobia: Paura dell’urina o di urinare.
Vaccinofobia: Paura delle vaccinazioni.
Venustrafobia: Paura delle belle donne.
Verbofobia: Paura delle parole.
Verminofobia: Paura dei germi.
Vestifobia: Paura dei vestiti.
Virginitifobia: Paura dello stupro.
Vitricofobia: Paura del patrigno.
Wiccafobia: Paura delle streghe e delle stregonerie.
Xenofobia: Paura di sconosciuti o stranieri.
Xenofobia: paura verso gli stranieri o verso cose di altre nazioni (sin. senofobia)
Xerofobia: Paura della siccità.
Xylofobia: 1) Paura degli oggetti di legno. 2) Boschi.
Zelofobia: Paura della gelosia.
Zeusofobia: Paura di Dio o degli dei.
Zoofobia: Paura degli animali.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

SORRISI… TERAPEUTICI

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Di seguito riporto una serie di barzellette sulla malattia mentale, sui psicologi, psichiatri e psicanalisti. Ridere e sorridere, è provato scientificamente, fa bene alla propria salute fisica e mentale. Sopratutto se si ironizza su se stessi.

 

Se tutti fossero pazzi, non ci sarebbero piu’ pazzi al mondo.

Paziente: “Perche’ risponde sempre alle mie domande con una domanda?”. Psicoanalista: “Perche’ mi fa questa domanda?”. (Carlo Landini)

La follia e’ spesso causa di divorzio, ma piu’ spesso e’ causa di matrimonio. (Wilson Mizner)

Non credo che l’analisi mi possa aiutare. Mi ci vorrebbe una lobotomia. (Woody Allen in “Stardust Memories”)

“Ma perche’…perche’ devi sempre incasellare le mie voglie animalesche dentro categorie psicanaliste?” egli disse, togliendole il reggiseno. (Woody Allen)

Uno psichiatra e’ un uomo che va alle Folies Bergeres e guarda il pubblico. (Marvin Stockwood)

Due psichiatri si incontrano. Dice il primo: “Sono stato a casa per Pasqua e ho avuto un terribile lapsus freudiano: invece di dire a mia madre: “Per favore, mamma, passami il sale” le ho detto: “Puttana, mi hai rovinato la vita!”. (Tony Randall)

Una bambina passa davanti alla camera dei genitori e guarda dal buco della serratura: “E dire che vogliono farmi vedere dallo psicologo perche’ mi succhio il pollice!”.

Uno psicologo e’ un tizio che vi fa un sacco di domande costose che vostra moglie vi fa gratis.

Gli psicologi dicono che 1 persona su 4 e’ malata di mente. Esamina tre amici. Se sono tutti OK, allora il malato di mente sei tu!

Nevrastenico: colui che costruisce castelli in aria. Psicopatico: colui che vi abita. Psichiatra: colui che riscuote l’affitto. (Jerome Lawrence)

Fui buttato fuori dall’Universita’ il primo anno. Mi scoprirono mentre copiavo allo scritto di metafisica. Sbirciavo nell’anima del mio vicino. (Woody Allen)

In questo paese, due persone su una sono schizofreniche.

Aprirsi fa bene, ma squartarsi e’ un po’ eccessivo.

Non sarai mai solo con la schizofrenia. (Woody Allen)

Nevrotico: 2+2=5. Nevrastenico: 2+2=4 (ma gli da’ molto fastidio).

Zelig: “Devo andare, non posso trattenermi”. “Che devi fare?”. Zelig: (che crede di essere un psicoanalista) “Ho un caso interessantissimo: 2 gemelli siamesi che soffrono di doppia personalita’”. “E allora?”. Zelig: “Sono pagato da 8 persone”. (Woody Allen)

Psicologi: professionisti che si fanno pagare (tanto) per dirti che tu sei tu.

Una bella ragazza va dallo psichiatra e appena questi la vede le ordina di spogliarsi. La ragazza e’ un po’ sorpresa, arrossisce, ma alla fine comincia a togliersi lentamente i suoi vestiti. Lo psichiatra si impazientisce: “Forza, ragazza, veloce a spogliarsi, non vorrai che passiamo tutta la notte qui?”. La ragazza esita a togliersi il reggiseno e gli slip, ma lo psichiatra insiste e dice di fare in fretta. Quando la ragazza e’ completamente nuda, lo psichiatra si spoglia anche lui e la violenta. Dopo aver fatto all’amore, si riveste, si siede dietro la sua scrivania e dice alla donna: “Bene, signorina, ora che il mio problema e’ risolto, passiamo al vostro”.

Un giovane, molto timido, una sera si reca ad un bar dove vede una bella ragazza sola in un angolo che beve la sua aranciata. Dopo aver raccolto tutto il coraggio il ragazzo si avvicina alla giovane e le dice: “Posso sedermi qui’ a chiacchierare un po’ con te?”. Al che la ragazza, immediatamente e con un tono di voce altissimo, urla verso il giovane: “No, non voglio venire a letto con te, lasciami in pace!”. Tutti i presenti si voltano per osservare bene la coppia. Naturalmente il giovane, fortemente imbarazzato, abbandona il posto e torna sconsolato al suo tavolino. Dopo qualche minuto la ragazza si avvicina al tavolo del giovane e gli sussurra in tono accomodante: “Scusa per la chiassata di poco fa’. Io sono una studentessa di psicologia e sto osservando le reazioni delle persone ad una situazione fortemente imbarazzante” .Il giovane senza perdere tempo e a piena voce allora le grida: “Cosa? 100.000 lire? Meglio dormire da solo che con te!”.

Mio figlio ha 40 anni ed ha pagato 50 euro all’ora ogni settimana ad uno psicologo per due anni e mezzo. Deve essere pazzo !!!

Sirena dallo psicanalista: “Dottore, non mi sento ne’ carne ne’ pesce…”.

La psicanalisi e’ un mito tenuto in vita dall’industria dei divani. (Woody Allen)

Un uomo che va dallo psicologo dovrebbe farsi curare il cervello.

Qual e’ la differenza fra uno psichiatra e un pazzo? La laurea.

Studio del dr. Freud a Vienna. Si presenta una signora con il figlio: “Dottore, non so piu’ che fare, mio figlio e’ terribile, sadico, cattivo. Da’ calci ai vecchietti, maltratta gli animali, strappa le ali alle farfalle ridendo … non so piu’ che fare”. “Quanti anni ha?”. “4 anni”. “Allora non c’e’ da preoccuparsi; crescendo divenera’ piu’ gentile”. “Grazie molte, dottore, mi avete tranquillizata”. “Di niente, arrivederla signora Hitler”. (Gino Bramieri)

Se parli con Dio stai pregando. Se Dio parla con te, sei uno schizofrenico. (Thomas Szasz) (Lily Tomlin)

Ho flirtato con la psicoanalisi e la psicoterapia fin da giovanissimo. Ogni tanto mi ci riavvicino, con risultati a volte buoni, a volte meno buoni. Ma non ho mai pensato di diventare dottore. Mi contento di fare il paziente. (Woody Allen)

Assioma di Platone: l’amore e’ una grave malattia mentale.

Io non soffro di pazzia, ne godo ogni minuto.
La Terra e’ il manicomio dell’universo.
Sono fuori di testa. Torno tra cinque minuti.


Un uomo va dallo psichiatra: “Dottore, mi deve aiutare…e’ un periodo che sono sotto stress e perdo facilmente la pazienza con la gente…”. “Mi parli del suo problema…”. “Ma te l’ho gia’ detto… brutto stronzo… testa di cazzo!”

La vita e’ tutto un equilibrio sopra la follia. (Vasco Rossi)

La paranoia e’ semplicemente un’ottimistica prospettiva sulla vita.

Se hai molte idee sei un pazzo, se hai una sola idea, e solo quella, sei un pazzo, se non hai nessuna idea sei scemo.

A tutto c’e’ un limite tranne che alla pazzia.

In California tutti o vanno da un terapista o sono terapisti, oppure sono terapisti che vanno da un terapista. (Truman Capote)

Quanti psichiatri (o psicologi) servono per cambiare una lampadina? Uno solo, pero’ la lampadina deve veramente volere di essere cambiata. (Ann Eve Ricks)

In questo mondo devi essere matto. Se no impazzisci. (Leopold Fechtner)

Chi vive senza follia non e’ saggio quanto crede. (Francois de La Rochefoucauld)

Dopo un anno di terapia il mio psicologo mi disse: “Forse la vita non e’ da tutti”.

C’e’ sempre un grano di pazzia nell’amore, cosi’ come c’e’ sempre un grano di logica nella follia. (Friedrich Nietzsche)

Lo psicologo della marina stava visitando un potenziale futuro marinaio. Chiese alla giovane recluta: “Cosa faresti se ora, affacciandoti alla finestra, vedessi una nave da guerra che si avvicina lungo la strada?”. “Sparerei un siluro e la affonderei!”. “E dove andresti a prendere il siluro?” “Nello stesso posto in cui lei e’ andato a prendere la nave!”

Il mio complesso di inferiorita’ e’ migliore del tuo!!!


Anche i paranoici sono persone. Anche loro hanno i loro problemi. E’ facile criticare, ma se tutti ti odiassero anche tu saresti paranoico. (D. J. Hicks)

Per smettere di bere ho provato con la psicanalisi. Ora bevo sdraiato su un divano. (Boris Makaresko)

“Salve! Benvenuti alla Linea Diretta Psichiatrica. Se siete Compulsivi Ossessivi, premete ripetutamente 1. Se siete Co-dipendenti, per favore chiedete a qualcuno di premere 2. Se avete Problemi di Personalita” Multipla, per favore premete 3, 4, 5 e 6. Se siete Paranoico-Disillusi, sappiamo chi siete e cosa volete; rimanete in linea sinche” non riusciamo a rintracciare la vostra chiamata. Se siete Schizofrenici, ascoltate attentamente e una piccola voce vi dira’ quale numero premere”.

Uno psicologo sta sottoponendo una paziente ad alcuni test: schizza dei disegni e la ragazza deve dire che cosa ci vede. Il medico disegna due linee diritte e chiede: “Che cosa rappresentano?”. La ragazza risponde: “Un uomo che fa all’amore con la sua donna”. Il dottore disegna due linee curve e chiede: “E queste?”. La paziente risponde:” Un uomo che fa all’amore con la sua ragazza”. La terza volta lo psichiatra disegna un cerchio e chiede: “E questo?”. Senza esitare la ragazza risponde: Un uomo che fa all’amore con la sua fidanzata”. Il medico si sofferma un po’ a pensare e poi dice alla paziente: “Lei sembra ossessionata dal sesso”. La ragazza ribatte: “Io? E’ lei che sta facendo i disegni osceni, mica io!”.

Se una persona che soffre di sdoppiamento di personalita’ minaccia il suicidio, quella persona e’ considerata un ostaggio?

Volete fare impazzire qualcuno? Mandategli un telegramma con su scritto: ‘Ignora il primo telegramma’. (Henny Youngman)

Esiste una linea veramente sottile fra un hobby e una malattia mentale.

Tutti pensano che io sia psicotico, tranne i miei amici nel profondo della terra.


Lo stress e’ quando vi svegliate urlando e capite che ancora non vi siete addormentati. (Stress is when you wake up screaming & you realize you haven’t fallen asleep yet).

Tutti nasciamo pazzi; alcuni lo rimangono. (Samuel Beckett in ‘Aspettando Godot’)

Pazzi ed intelligenti sono ugualmente innocui. I mezzi matti e i mezzi saggi, quelli sono i piu’ pericolosi. (Johann Wolfgang von Goethe)

L’amore e’ una forma di pazzia temporanea curabile solo con il matrimonio.

Un tizio si reca da un terapista con aria molto depressa e gli dice: “Dottore, mi aiuti. Ho 35 anni e non ho la minima fortuna con le donne. Per quanto ci provi ripetutamente i risultati sono disastrosi”. Il dottore lo incoraggia: “Caro amico, questo non e’ un problema grave. Bisogna avere fiducia in se stessi. La aiutero’ a guardare dentro di se’ e vedra’ che i risultati saranno in breve eccezionali. Pero’ la cosa piu’ importante e’ che lei ogni mattina si deve guardare allo specchio e con forte convinzione si deve dire: ‘Io sono una persona eccezionale, divertente, intelligente e attraente’. Vedra’ che nel giro di un mese i suoi problemi saranno risolti e un sacco di donne le ronzeranno attorno”. L’uomo, contento dei consigli del terapista, lascia lo studio del medico. Passa un mese e il tizio ritorna con una faccia funebre dal dottore che gli chiede: “Allora? I miei consigli non hanno funzionato?”. E il tizio: “Oh, no. Hanno funzionato, eccome! Sono circondato giorno e notte da donne favolose e sensuali”. “E allora dov’e’ il problema” gli fa il dottore. E il tizio: “Io non ho problemi. E’ mia moglie che ne ha”.

“Dottor Freud, ho sognato un enorme pene che entrava ripetutamente in una grandissima vagina, cosa significa?”. “Che vuole comprarsi un ombrello”.

Tutti mi odiano perche’ sono paranoico.

Lo stupido parla del passato, il saggio del presente, il folle del futuro. (Napoleone Bonaparte)

Solo chi e’ sano di mente può impazzire.

Lo Schizofrenico: Autobiografia Non Autorizzata.

Ho conosciuto uno che la mattina appena sveglio, oltre alle mani alzava anche le gambe per non farle sentire arti inferiori.

Baciami due volte… sono schizofrenica.


Una meta’ di me non sopporta l’altra. E cerca alleati! (Gesualdo Bufalino)

Perche’ la psicoanalisi e’ molto piu’ veloce negli uomini? Perche’ quando devono tornare alla loro infanzia… gia’ ci sono!

Una donna soffre di continui mal di testa e non riesce a risolvere il suo problema fino a quando un’amica non le dice: “Carissima, il tuo e’ un problema psicologico, ti consiglo di rivolgerti al mio analista, vedrai che lui trovera’ una soluzione”. La donna prende un appuntamento e lo psicologo le prescrive una cura particolare che consiste nel concentrarsi a fondo per cacciare il mal di testa dal cervello. Occorre mettersi le mani sulle tempie e ripetere in continuazione a bassa voce: “Non ho mal di testa. Non ho mal di testa. Non ho mal di testa…”. Contro ogni previsione la cura ha un grande successo e la donna in pochi giorni risolve il suo problema. Il marito, stupito, decide di rivolgersi allo stesso dottore per ritrovare la virilita’ di un tempo nei rapporti con la moglie. Dopo pochi giorni il marito si chiude qualche minuto in bagno, dopodiche’ sfodera a letto una eccellente prestazione. La moglie e’ molto contenta, ma anche incuriosita e dopo una settimana di prestazioni da ventenni, decide di spiare la sua seduta in bagno. Allora lo vede seduto sul wc, con le mani sulle tempie, che ripete: “Non e’ mia moglie. Non e’ mia moglie. Non e’ mia moglie…”

Pazzia: La convinzione che gli altri siano pazzi. (Ambrose Bierce)

Il vero psicanalista delle donne e’ il loro parrucchiere. (Ennio Flaiano)

Un ramo di pazzia abbellisce l’albero della saggezza. (Alessandro Morandotti)

Lo psicanalista e’ un uomo che per risolvere i propri problemi si finge capace di risolvere quelli altrui. (Alessandro Morandotti)

Narcosi: ferite senza dolori. Nevrastenia: dolori senza ferite. (Karl Kraus)

I pazzi sono definitivamente riconosciuti tali dagli psichiatri per il fatto che dopo l’internamento mostrano un comportamento agitato. (Karl Kraus)

Una certa psicanalisi e’ il mestiere di lascivi razionalisti che riconducono a cause sessuali tutto cio’ che esiste al mondo, eccetto il loro mestiere. (Karl Kraus)

La psicanalisi e’ quella malattia mentale di cui ritiene di essere la terapia. (Karl Kraus)

Il primo passo verso la follia e’ credersi saggio. (Fernando da Rojas)

I pazzi aprono le vie che percorrono i savi. (Carlo Dossi)

Il nevrotico crede di poter star bene una volta guarito. In cio’ consiste la sua nevrosi. (Carlo Gragnani)

Maniaco: un mortale privilegiato che ha una sola follia. (Adrien Decaurcelle)

La psichiatria ci permette di correggere le nostre colpe confessando quelle dei nostri genitori. (Laurence J. Peter)

Ho una nevrosi classica e cio’ da’ molta sicurezza al mio analista. (Mirco Stefanon)

Raptus: Cos’ e’ il raptus se non un lapsus della ragione? (Mirko Amadeo)

Non ci fu mai grande ingegno senza un po’ di pazzia. (Seneca)

Lui: “Cara, ti devo confessare una cosa. Da quando ci conosciamo io vedo segretamente uno psicanalista”. Lei: “Anch’io, caro, ti devo confessare una cosa. Da quando ci conosciamo io vedo in segreto un medico, un avvocato e un idraulico”.

Vittima del complesso di Edipo, ha trovato questo compromesso: fa indossare alla moglie le mutande della propria madre. (Mirko Amadeo)

Meglio dallo psicanalista che dal confessore. Per questo è sempre colpa tua, per quello è sempre colpa degli altri. (Marcello Marchesi)

Alcune madri sono sedute in salotto davanti ad una tazza di the, parlando del piu’ e del meno, ma inevitabilmente l’argomento finisce sui propri figli. Dice la prima: “Mio figlio mi vuole cosi’ bene che per il mio compleanno mi ha regalato una crociera”. Dice la seconda: “Anche il mio mi vuole cosi’ bene che mi ha regalato un diamante”. E cosi’ tutte le altre. L’ultima allora dice: “Mio figlio mi vuole cosi’ bene che, pensate, va dallo psicanalista tre volte alla settimana e per tutto il tempo non fa che parlare di me!”

Tutto al mondo è follia, ma non l’allegria. (Friedrich der Grosse)

Dottore, soffro di personalità multipla… vi prego, aiutateci!

Devo portare il mio pesce dallo psicanalista: è depresso perché è nato il primo aprile ma non ci crede nessuno.

Il genio è una varietà della pazzia. (Carlo Dossi)

Di tanto in tanto è bello anche far pazzie. (Seneca)

La più grande lezione nella vita è sapere che anche i pazzi alle volte hanno ragione. (Winston Churchill)

Tutti gli uomini sono pazzi, e chi non vuole vedere dei pazzi deve restare in camera sua e rompere lo specchio. (Alphonse De Sade)

L’uomo e’ certamente pazzo: non sa fare un verme, ma fa dei a dozzine.

Invece di andare all’analista, raccontargli i cavoli miei e pagarlo, potevo andare in giro, raccontare i cavoli miei alla gente ed essere pagato io. (Dario Vergassola)

Dopo un furto non andate né dalla polizia, che non se ne interessa. Né dall’analista, a cui la cosa interessa solo in quanto sei tu che in realtà hai rubato qualcosa.

Io ed il mio psichiatra abbiamo deciso che non appena saro’ pronto prendero’ la mia macchina e mi gettero’ dal ponte di Verrazzano. (Neil Simon)

Follia: Quel dono e facolta’ divina la cui creativa e sovrana energia ispira la mente dell’uomo, guida le sue azioni e adorna la sua vita. (Ambrose Bierce)

Dal dottore: “Mi dica, soffre di doppia personalità?”. Paziente: “Si’. Ma solo nei momenti di solitudine…”

Ha spezzato la propria vita! E ora ne ha due distinte, molto piacevoli. (Stanislaw Lec)

L’ansia è come una sedia a dondolo: sei sempre in movimento, ma non avanzi di un passo.

Lo schizzofrenico e’ un orgasmo interrotto ? (Zap)

Ciò che si dice e si scrive dei paranoici giustifica appieno il loro atteggiamento (G.P. Lepore)

La ragione è la follia del più forte. La ragione del meno forte è follia. (Eugene Ionesco)

Ho visto il mio psichiatra e gli ho detto: “Doc, continuo a pensare di essere un cane”. Lui mi ha risposto di uscire dalla sua cuccia. (Rodney Dangerfield)

Ho abbandonato la terapia perche’ il mio analista cercava di aiutarmi alle mie spalle. (Richard Lewis)

Ho chiesto alla mia psichiatra se le sembravo pazzo, lei ha risposto:’No!’, così l’ho lasciata andare. (Anonimo)

C’e’ del metodo in questa pazzia. (William Shakespeare) (in “Amleto”, atto II)

L’uomo si crede savio quando la sua pazzia sonnecchia. (Denis Diderot)

Mi hanno detto che per vivere meglio dovrei pensare al futuro in rosa. Poi ho visto la Jervolino e mi e’ aumentata la depressione. (Mauroemme)

Il vero pazzo è il savio convinto di essere savio. (Guru)

Uno dei motivi per cui vado dall’analista: ci sono giorni in cui il mondo sembra che ce l’abbia con me. L’altra sera sono andato al ristorante cinese. Nel mio biscotto della fortuna c’era scritto: “CREPA!”.

I vecchi folli sono più folli dei giovani. (Francois de la Rochefoucauld)

Un depresso va per l’ennesima volta dal medico e dice: “Dottore, ho il morale a terra; sono tentato persino di suicidarmi”. “Lei non ci pensi – dice il dottore – lasci fare a me!”. (da Il Calendario di Frate Indovino)

Senza matti non ci sarebbe saggezza.

Ho un complesso di inferiorità, ma non così accentuato come il vostro.

L’individuo equilibrato è un pazzo. (Charles Bukowski)

Nessuno grande genio è mai esistito senza un tocco di pazzia (No great genius has ever existed without some touch of madness). (Aristotele, Problemata)

Una bella signora si presenta tutta agitata dallo psicanalista e senza tanti preamboli lo assale: “Dottore, la scongiuro, mi aiuti, soffro di sdoppiamento della personalita’”. E il medico: “Stia calma, signora, e soprattutto non parlate tutte e due contemporaneamente!”.

Una bella signora si presenta tutta agitata dallo psichiatra: “Dottore, sono angosciata, ho scoperto mio figlio che giocava al dottore con la bambinetta dei vicini!”. E lo psichiatra: “Su, signora, non si preoccupi. Sono esperienze comuni, assai diffuse!”. E la signora: “Ma, vede, dottore, io sono anzi relativamente tranquilla. Ma e ‘ la moglie di mio figlio che l’ha presa molto male!”.

Due amici discutono sulla validita’ delle terapie psichiatriche. Dice il primo: “Non servono a niente. Per me gli psichiatri servono solo ad arricchirsi coi soldi di noi pazienti”. Ma il secondo non e’ d’accordo: “Ma no, non e’ vero. Sono molto brave a curare la mente umana. Io ad esempio l’anno scorso ero affetto da una terribile mania: non volevo assolutamente andare a rispondere al telefono. Ne avevo una paura folle”. Al che il primo chiede: “E allora? Ora sei guarito?”. “Certo, ora vado sempre a rispondere al telefono.. sia che squilli oppure no!”

Non sono paranoico! Quale dei miei nemici ti ha detto questo?

La psicologia e’ una scoperta meravigliosa: fa sentire complicate anche le persone piu’ semplici. (Samuel Nathaniel Behrman)

Nel passato, gli uomini creavano le streghe, ora creano malati mentali. (Thomas Szasz)

Se i morti ti parlano, sei uno spiritista; se Dio ti parla, sei uno schizofrenico. (Thomas Szasz)

Ci sono piu’ pazzi che persone a questo mondo. (There are more fools in the world than there are people). (Heinrich Heine)

Sono pazzi non solo tutti coloro che sembrano pazzi, ma anche la metà di quelli che non lo sembrano affatto. (Baltasar Gracián)

PSICOLOGO: e’ colui che guarda tutti gli altri quando una bella donna entra nella stanza.

In un’epoca di pazzia, credersi immuni dalla pazzia è una forma di pazzia. (Saul Bellow)

Un paranoico e’ uno che conosce un pochettino di cio’ che sta succedendo. (A paranoid is someone who knows a little of what’s going on). (William S. Burroughs)

Quale persona sana potrebbe vivere in questo mondo e non essere pazza? (Ursula K. LeGuin)

Mostrami un uomo sano ed io te lo curero’ per te. (Carl Gustav Jung)

Psicanalisti: Il nostro equilibrio va con gli alti e bassi dei pazienti. (Fulvio Fiori)

L’altro giorno ero talmente depresso che un cieco s’è offerto d’aiutarmi ad attraversare la strada.

Ho un amico che fa lo psichiatra a tempo perso, ma il suo vero lavoro è il maniaco sessuale, al quale si dedica spalmandosi creme depilatorie che estrapolano il pelo dalla cavità toracica e tramite training autogeno lo convincono a non ripresentarsi in zona per almeno sei-otto ore. Be’, questo strizzacervelli dice che probabilmente da piccolo ho avuto problemi coll’Ego. Forse è vero: io ci giocavo tutto il giorno col Lego, ma non sono mai riuscito a incastrare quei maledetti mattoncini. (Francesco Salvi)

Ho detto al mio psicanalista che tutti mi odiano. Mi ha detto di non essere ridicolo: non tutti mi hanno già incontrato. (Rodney Dangerfield)

Morì pazzo, ma era nato cretino. (Jorge Luis Borges)

Ero molto depresso, in quel periodo. Intendevo uccidermi ma, come ho già detto, ero in analisi, e i freudiani sono molto severi al riguardo, ti fanno pagare le sedute che perdi. (Woody Allen in “Monologo”)

Matto: affetto da accentuatissima indipendenza intellettuale. (Ambrose Bierce)

Un individuo che dichiara spesso che non è pazzo, solitamente nutre dei sospetti su ciò. (Wilson Mizner)

Tutti al mondo sono pazzi, tranne te e me, e anche tu sei un po’ svitato. (Robert Owen)

Lo psichiatra: “Mister Williams, come mai ha prenotato una seduta di soli tre minuti? Non mi dira’ che lo ha fatto per risparmiare…”. Il paziente: “No… ho un complesso di inferiorita’ !”. (Andrea Franzante e Fulvio Giacomone)

Quando un pazzo sembra perfettamente ragionevole è gran tempo, credetemi, di mettergli la camicia di forza. (Edgar Allan Poe)

Ma credete veramente di essere pazzi? Davvero? Invece no, voi non siete più pazzi della media dei coglioni che vanno in giro per la strada, ve lo dico io! (Jack Nicholson “istruisce” gli altri ricoverati nella clinica psichiatrica in “Qualcuno volò sul nido del cuculo”)

L’ospedale ha assunto un nuovo psichiatra. Finito il suo primo mese di lavoro si trova con i suoi colleghi alla mensa dell’ospedale e mangiando fa due chiacchiere con loro. Siccome ha l’aria affranta e abbattuta, gli altri gli domandano cosa lo preoccupa. E lui: “Francamente, io non so come voi ve la passiate. Io ho appena iniziato e ho meno pazienti di voi e pur tuttavia voi siete allegri e frizzanti, mentre io sono abbattutissimo… Ma come fate per non impazzire o per non avere il morale a terra a forza di ascoltare tutti i loro guai?”. E i colleghi gli rispondono: “Ah, beh, certo, se li ascolti…”

L’ego non è il padrone a casa tua. (Sigmund Freud)

Nella psicanalisi nulla è vero tranne le esagerazioni. (Theodor Wiesengrund Adorno)

La pazzia negli individui e’ qualcosa di raro, ma nei gruppi, nelle nazioni e nelle epoche e’ la regola. (Friedrich Nietzsche)

Una personalità complessa e’ quella di colui che si scrive lettere anonime per guidare la propria coscienza. (Leo Longanesi)

Lo studio dello psichiatra ha il tutto esaurito.

TERAPIA. Uno dei motivi per cui vado dall’analista: ci sono giorni che il mondo sembra che ce l’abbia con me. L’altra sera sono andato al ristorante giapponese, e nel mio biscotto della fortuna c’era scritto “Muori!”. (Daniele Luttazzi) (in Tabloid)

I malati di mente vanno pazzi per certe caramelle.

Dicono che la depressione impedisca di vedere le cose con lucidità, di prendere le giuste decisioni, sprofondando l’individuo verso una confusa condizione di stasi e inazione. E’ vero! Infatti sono proprio le ricorrenti crisi depressive a impedirmi il suicidio.

Lo so che non sembro uno psicologo… se e’ per questo neanche la mia ex ragazza sembrava una zoccola. (Renato Trinca)

Il mio psichiatra mi disse che stavo diventando matto. Io gli dissi che desideravo una seconda opinione. “D’accordo – mi disse – lei è anche brutto!!”.

E’ afflitto da un complesso di parità, non si sente inferiore a nessuno. (Ennio Flaiano)

L’attore Jim Carrey ha ricevuto due nominations per la sua interpretazione dello schizofrenico in “Io, me e Irene” . (Lopezzone)

Tutto è follia in questo mondo fuorché il folleggiare. Tutto è degno di riso fuorché il ridersi di tutto. Tutto è vanità fuorché le belle illusioni e le dilettevoli frivolezze. (dallo ‘Zibaldone’) (Giacomo Leopardi)

La psicanalisi, cara signora, è una pseudo-scienza inventata da un ebreo per convincere i protestanti a comportarsi come cattolici. (Ennio Flaiano)

La pazzia e’ ereditaria, si eredita dai figli.

In una strada molto affollata un distinto signore è intento a fare un prelievo al bancomat quando, improvvisamente, viene aggredito da uno sconosciuto che per rapinarlo gli rifila una coltellata nell’addome. L’uomo stramazza a terra sanguinante invocando aiuto. Per primo interviene un avvocato che gli dice: “Questa è senza dubbio una rapina a mano armata con lesioni volontarie! Se mi lascia un acconto potrei difenderla!”. Allora si avvicina un medico che, guardando in malo modo l’avvocato dice allo sventurato: “Questa è certamente una ferita da taglio! Inoltre quel sangue che esce a zampilli indica un’emorragia arteriosa… la aiuterei… ma non ho nemmeno i guanti e sa… con l’AIDS in giro…”. Nel frattempo è accorso un sociologo che incomincia a inveire contro i bancomat e il sistema bancario finchè arriva uno psicologo che apostrofa tutti: “Ma siete tutti degli insensibili!!! Non vi rendete conto che bisogna immediatamente aiutare CHI HA FATTO QUESTO!!!”

L’ansieta’ e’ il modo della natura di tirarti fuori dal letto in tempo. (Anxiety is nature’s way of getting you out of bed on time)

PAZZIA. Il palazzo dell’ospedale psichiatrico è stato eretto in un mese. Un’erezione pazzesca! (Stellario Panarello)

Apritevi pure, ma senza squartarvi. (Nanni Moretti)

Le sole persone normali sono quelle che tu non conosci molto bene. (Joe Ancis)

Pazzo: Genitale incapace di intendere e di volere.

Da piccola faceva le sedute alla Barbie: non capiva perché Ken portasse le mutande anche quando era nudo.

Il mio psichiatra per 15.000 franchi mi ha tolto cio’ che avevo: 15.000 franchi!

La mia insicurezza la devo ad un trauma infantile: un giorno mia zia mi strappo’ il ciuccio e lo getto’ dalla finestra. Una violenza inaudita su un bambino di soli 12 anni. (Renato Trinca)

Le nevrosi sono, per così dire, il negativo delle perversioni. (Sigmund Freud)

Noi deriviamo la nostra vitalità dal magazzino della pazzia. (Émile M. Cioran)

Se a volte vi sentite depressi senza sapere bene perche’ e tutte le domande che vi ponete restano senza risposta, avete mai pensato seriamente che puo’ darsi siate soltanto idioti? (Fabio KoRyu Calabro’)

La pazzia e’ ereditaria: puoi prenderla dai tuoi bambini. (Sam Levinson)

Paziente: “Dotto’, è grave?!”. Psichiatra: “No, Lei ha soltanto un’ernia dell’Io!”

Dallo psicanalista: “Dottore, vivo in un incubo. Parlo da solo tutto il giorno, senza sosta, non riesco a smettere…”. “Ma mi scusi, perché deve essere un incubo? Una quantità di persone parlano da sole, non è il caso di disperarsi”. “Dottore, non ha capito: il problema non è che parlo da solo, il problema è che sono tremendamente noioso!!!”.

“Sono stato un incosciente” come disse Freud scoprendo l’inconscio.

Appena stesi sul lettino dello psichiatra ammettete subito di essere degli imbecilli. Gli faciliterete molto il lavoro. (Coco)

La differenza tra me e un pazzo e’ che io non sono pazzo. (Salvador Dali’)

I pazzi si precipitano la’ dove gli angeli non oserebbero posare piede. (Alexander Pope)

Risposta automatica telefonica di un famoso Istituto Psichiatrico: “Grazie per aver chiamato l’Istituto Psichiatrico di Salute Mentale:
Se lei è ossesso-convulsivo, prema ripetutamente fino allo spasmo il tasto 1.
Se lei è affetto di personalità multipla, prema i tasti 2, 3, 4, 5 e 6.
Se lei è paranoico, sappiamo già chi è lei, cosa fa nella vita e sappiamo cosa vuole, quindi rimanga in linea, finchè non rintracciamo la sua chiamata.
Se lei soffre di allucinazioni, prema il tasto 7 nel telefono rosa gigante che lei (e solo lei) vede alla sua destra.
Se lei è schizofrenico, chieda al suo amico immaginario di premere il tasto 8 per lei.
Se lei soffre di depressione, non importa quale numero prema, tanto non c’è niente da fare, il suo caso è disperato e non ha cura.
Se lei soffre di amnesia, prema 9 e ripeta a voce alta il suo nome, cognome, numero di telefono di casa e del cellulare, indirizzo e-mail, numero di conto corrente, codice bancomat, data di nascita, luogo di nascita, stato civile e cognome da nubile di sua madre.
Se lei soffre di indecisione, lasci il messaggio dopo il bip …oppure prima del bip … o durante il bip, insomma scelga lei.
Se lei soffre di amnesie temporanee di breve durata, prema 0.
Se lei soffre di amnesie temporanee di breve durata, prema 0.
Se lei soffre di amnesie temporanee di breve durata, prema 0.
Se lei soffre di avarizia ossessiva, attenzione, riattacchi subito, questa telefonata è a pagamento a 500 euro al secondo.
Se lei soffre di autostima bassa, per favore riagganci, poichè tutti i nostri operatori sono impegnati a parlare con persone molto più importanti di lei.
Se lei è uno degli italiani che votò Berlusconi alle ultime elezioni, riagganci, si fotta e aspetti il 2005. Qui curiamo “pazzi” e non “coglioni”.
“Grazie per aver chiamato” !!!

Nel momento in cui ci si chiede il significato ed il valore della vita, si è malati. (Sigmund Freud)

Cessando di essere pazzo, diventò stupido. (Marcel Proust)

Nella follia c’è un piacere che solo i pazzi conoscono. (John Dryden)

Mai la psicologia potrà dire sulla follia la verità, perché è la follia che detiene la verità della psicologia. (Michel Foucault)

Non c’è adulto che, esaminato bene, non sia nevrotico. (Jorge Luis Borges)

Una società tarata ha inventato la psichiatria per difendersi dalle investigazioni di certe lucide menti superiori, le cui facoltà divinatorie la infastidivano. (Antonin Artaud)

Professore, sogno spesso cose insignificanti. Significa qualcosa? (Umberto Domina)

Depressione : Particolare condizione di spirito provocata da una barzelletta, uno spettacolo comico o la contemplazione del successo altrui. (Ambrose Bierce)

“Tutti gli psicopatici tengono dei trofei delle loro vittime”. “Io no”. “Lei se le mangiava, dottore!” (da “Il silenzio degli innocenti”)

La psicologia non da’ risposte, solo avvertimenti. (Il piacere) (A. Lowen)

Nuovi sviluppi del complesso di Edipo: “Soffro perche’ mia moglie va a letto con mio figlio”. (Fulvio Fiori)

Solo perche’ sei paranoico, non vuol dire che non ce l’abbiano con te. (Kurt Cobain)

Sono una specie di paranoico alla rovescia. Sospetto sempre che la gente faccia di tutto per rendermi felice. (J.D. Salinger)

La pazzia, signore, se ne va a passeggio per il mondo, e non v’è luogo in cui non risplenda. (William Shakespeare)

La follia e’ comportarsi nello stesso modo e aspettarsi un risultato differente. (Albert Einstein)

La depressione è la rabbia senza entusiasmo. (Anonimo)

Le persone come te sono il motivo per cui persone come me prendono queste medicine! (Sharon Odell)

Uno psichiatra sta conducendo una terapia di gruppo con alcune giovani madri e inizia a fare le sue osservazioni. Ad una madre dice: “Cara Mary, tu sei ossessionata dal cibo. Infatti hai chiamato tua figlia Candy”. Poi si rivolge a una seconda mamma: “E tu sei ossessionata dal denaro, come denota il nome di tua figlia, Penny”. Poi dice ad una terza mamma: “La tua ossessione e’ l’alcool, visto che il nome di tuo figlio e’ Brandy”. Al che la quarta madre si alza, prende per mano suo figlio e gli sussurra: “Andiamocene di qui, Dick”

Sembra che la nevrosi sia un privilegio degli esseri umani. (Sigmund Freud)

APATIA, s.f. : sperare che piova per avere una buona scusa per stare in casa il sabato sera.

NEVROTICO, s.m.: persona che cerca le scorciatoie andando a passeggio.

Non preoccuparti se sei un cleptomaniaco. Puoi sempre prendere qualcosa per curarti.

Esistono due tipi di donne: quelle che vanno in analisi e quelle che ti ci mandano.

“Dottore, vedo elefanti azzurri da tutte le parti!”. “Uhm… ha gia’ visto uno psicologo?”. “No, le ho detto che vedo solo elefanti azzurri”. (Mauroemme)

Talvolta un pensiero mi annebbia l’Io: sono pazzi gli altri, o sono pazzo io? (Albert Einstein)

Dicono che la depressione impedisca di vedere le cose con lucidità, di prendere le giuste decisioni, sprofondando l’individuo verso una confusa condizione di stasi e inazione. E’ vero! Infatti sono proprio le ricorrenti crisi depressive a impedirmi il suicidio. (philotto)

Il mio complesso di superiorita’ e’ indiscutibilmente migliore del tuo complesso di superiorita’! (Marco Bernardini)

Gli uomini sono così necessariamente pazzi, che il non essere pazzo equivarrebbe ad essere soggetto a un altro genere di pazzia. (Blaise Pascal)

“Oh, sei in analisi”. Si’ da 15 anni”. “15 anni? “. “Si’, adesso gli do un altro anno di tempo e poi vado a Lourdes”. (Woody Allen in “Io e Annie”)

“Sei mai andato dallo psicanalista?”. “E’ lui che è venuto da me”. (Franco Oppini)

Alla domanda se avesse un esaurimento nervoso rispose: “No, però ne sono portatore sano”. (Fred Friendly)

Il peggior pazzo è un santo diventato pazzo. (Alexander Pope)

I pazzi che leggono diventano insoddisfatti. Cominciano a desiderare di vivere in modi diversi, il che non è…mai possibile! (da “Fahrenheit 451”)

Lo psicanalista al paziente: “Innanzitutto mi dica perche’ odia cosi’ tanto suo fratello”. Il paziente: “Ma io non ho fratelli”. Lo psicanalista, seccato: “Senta, se non collabora, e’ proprio inutile continuare…”.

Lo psicanalista al paziente: “Il solo fatto che lei sia cosi’ perfettamente normale e’ anormale!”

Se sei depresso, è d’aiuto appoggiare la testa al braccio e fissare il vuoto. Se sei insolitamente depresso, forse dovrai cambiare braccio. (Charlie Brown) (Charles M. Schulz)

Mentre ancora lo puoi, alla saggezza mescola una breve follia; al giusto tempo è dolce uscir di senno. (Orazio Flacco)

L’ansia è l’interesse che si paga su un guaio prima che esso arrivi. (William Ralph Inge)

Lo psichiatra si rivolge al suo nuovo paziente, appena sdraiatosi sul lettino per iniziare la terapia: “Io non conosco i suoi problemi. Mi dica lei tutto dall’inizio”. “Bene” risponde il paziente “In principio, creai il cielo e la terra…”

Ho abbandonato la terapia perche’ il mio analista cercava di aiutarmi dietro le mie spalle. (Richard Lewis)

La bibliotecaria ad un lettore: “Libri sulla claustrofobia? Sono in quella stanzetta in fondo al corridoio”. (Bob Thaves)

In Italia si prendono provvedimenti curiosi. Per sopprimere la pazzia, hanno soppresso i manicomi. (Gianni Brera)

Gli unici modi per fuggire dalla vita sono la pazzia e l’ironia. (Luigi Pirandello)

Notizie giornalistiche: Tribune esaurite sono state portate dallo psichiatra.

Uno psichiatra al suo paziente: “Sono tre anni che la vedo tre volte alla settimana, ascolto i suoi sogni, le sue associazioni di parole e pensieri, le emanazioni del suo subconscio, ed infine oggi ho delle buone notizie per lei!”. “Grazie mille, dottore. Le sono molto riconoscente per quanto ha fatto! Mi dica, allora sono guarito dal mio complesso di inferiorità?”. “Assolutamente! Il problema infatti non è un complesso, bensì il fatto che lei è proprio inferiore!”

Oggi in un momento di depressione ho detto: “Mi sento una merda!!!”. Uno studente vicino a me mi ha risposto: “Professore, usi la carta igenica”.

Il mio psichiatra mi ha detto che ho dei problemi, e viene da credergli a giudicare da come bacia la mia ragazza. (Maurizio Avanzi)

Adamo e’ stato il primo paranoico: era terrorizzato dalle corna. (Paco Genovese)

Io non attraverso mai periodi di depressione. Mi ci fermo dentro. (Roberto Serafini)

La psicanalisi mi annoia. L’ultima volta l’analista si e’ arrabbiato solo perche’, dopo essermi sdraiato sul lettino, ho puntato la sveglia. (Diego Parassole)

La follia e’ ereditaria: te la passano i tuoi figli. (Erma Bombeck)

Lo Psicologo.
E’ uno studioso
Che al night ha come fine
Non guardar le ballerine
Ma la gente che ci va.
(Brunello)

Due psicologi si incontrano: “Scusa, sai che ora è?”. “No, ma possiamo parlarne…”. (Amerigo Apetti)

Si passa tutta la vita a cercare di fare qualcosa per cui la gente viene messa in manicomio. (Jane Fonda)

Il mio medico pensa che io sia paranoico. Non è che me l’abbia proprio detto, ma sono sicuro che lo pensi. (Lopezzone)

Mantenetevi folli, e comportatevi come persone normali. (Paulo Coelho)

Il mio psicanalista mi ha raccomandato tanto di evitare il piu’ possibile gli stress, e cosi’ ho smesso di pagare le sue parcelle.

Alcune madri sono sedute in salotto davanti ad una tazza di the, parlando del più e del meno, ma inevitabilmente l’argomento finisce sui propri figli. Dice la prima: “Mio figlio mi vuole così bene che per il mio compleanno mi ha regalato una crociera”. Dice la seconda: “Anche il mio mi vuole così bene che mi ha regalato un diamante”. E così tutte le altre. L’ultima allora dice: “Mio figlio mi vuole così bene che, pensate, va dallo psicanalista tre volte alla settimana e per tutto il tempo non fa che parlare di me!”

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

 

PROVERBI… TERAPEUTICI

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Ci sono soltanto due uomini perfetti: uno e’ morto e l’altro non e’ mai nato.

Due son le razze degli uomini: i divorati e i divoratori.

Il cuore dell’uomo e’ come un cavallo che corre in discesa: e’ facile spronarlo, ma molto difficile farlo fermare.

La vita dell’uomo non dura piu’ di cent’anni, ma le sue tribolazioni sono sufficienti per mille.

L’ambizione dell’uomo e’ come il serpente che, visto un elefante, se lo vorrebbe ingoiare: qualunque meta raggiunga non riesce mai a essere soddisfatta.

L’ambizione dell’uomo si protende verso l’alto dei cieli, ma l’acqua, che comprende l’ordine delle cose, scorre verso valle.

L’uomo e’ il suo abito.

L’uomo è l’anima della casa.

L’uomo fa il luogo e il luogo fa l’uomo.

L’uomo fu creato per lavorare e gli uccelli per volare.

L’uomo ha grandi ali che non sa di possedere.

L’uomo propone e Dio dispone.

L’uomo tanto vale, quanto si fa valere.

Nel corso della sua vita l’uomo non conosce il proprio spirito; dopo morto, dimentica il proprio corpo.

Nell’animo di ogni uomo, gli dèi hanno creato cielo e terra in miniatura.

Nessuno è più che uomo.

Per costruire un impero l’uomo impiega cent’anni; per distruggerlo gli basta un giorno.

Spesso sotto abito vile s’asconde uom gentile.

Terribile quell’uomo che non ha nulla da perdere.

Tutti gli uomini sono fratelli.

Un albero rimane sempre un albero: sia esso alto o basso…un uomo rimane sempre un uomo, servo o padrone che sia.

Un uomo trascina il risciò; un altro viene trasportato… eppure la loro natura e’ la stessa.

Uomo amante, uomo zelante.

Accade in un momento quel che non è accaduto in anni.

Bisogna servire il tempo e dal tempo farsi servire.

C’è più tempo che vita.

C’e’ un tempo per pescare e un tempo per asciugare le reti.

Chi fa tutto a tempo debito, di un giorno ne fa tre.

Chi ha tempo non aspetti tempo.

Chi ha tempo, ha vita.

Chi risparmia i minuti guadagna le ore.

Chi tempo e tempo aspetta, tempo perde.

Col tempo una foglia di gelso diventa di seta.

I tempi buoni fanno gli uomini cattivi.

Il momento sfuggito più non torna.

Il tempo consuma ogni cosa.

Il tempo dà e toglie tutto.

Il tempo è denaro.

Il tempo è galantuomo.

Il tempo è il ladro della gioventù e dell’amore.

Il tempo è un gran maestro.

Il tempo è un gran medico.

Il tempo fa le pietre e poi le divora.

Il tempo ferisce e sana.

Il tempo matura i frutti acerbi e guasta i maturi.

Il tempo matura il grano, ma non ara il campo.

Il tempo non ha un momento di tempo.

Il tempo passa e porta via ogni cosa.

Il tempo ti saluta, ma non aspetta che tu lo ringrazi.

Il tempo viene per tutti.

Minore il tempo, maggiore la fretta.

Misura il tempo e farai maggior guadagno.

Molte cose il tempo cura che la ragione non sana.

Nel giardino del tempo cresce il fiore della consolazione.

Nessuno può fermare la ruota del tempo.

Non vi sono frutti così duri che il tempo non maturi.

Nulla è più prezioso del tempo e nulla c’è che più si sprechi.

Amici invan cerchiam che sian perfetti, io sopporto i tuoi, tu sopporta i miei difetti.

Amicizia riconciliata è una piaga mai saldata.

Amico di ventura niente vale e poco dura.

Chi fa da sé fa per tre.

Chi vuole conservare un amico, l’onori in presenza, Io lodi in assenza, l’aiuti nel bisogno.

Cuor sincero, amico vero.

I falsi amici corrono con le lepri e cacciano con i cani.

L’amico certo si conosce nell’incerto.

L’amico non è conosciuto finchè non è perduto.

Meglio soli che mal accompagnati.

Nel volerti giovar, Io stolto amico ti nuoce piú d’ogni crudel nemico.

Non è amico in verità chi ti visita nelle nozze e non nelle infermità .

Patti chiari, amicizia lunga.

Ricco, nobile e dotto come sei, io non ti voglio fra gli amici miei .

Se trovi un amico nuovo non obliar l’antico.

Se vuoi che l’amicizia si mantenga fai che un paniere vada e l’altro venga.

Si può vivere senza fratelli ma non senza amici.

Si sta piu’ amici a stare un po’ lontani.

Val piú un amico che cento parenti.

Anche i fanciulli ben nati vogliono essere educati.

Chi educa governa.

Chi parla sempre di galateo, non Io ha mai letto.

É meglio educare i bambini con le parole che con la verga.

Educare è amare.

I ragazzi son come la cera, quel che vi si imprime resta.

II ramo si piega quand’è giovane.

L’educazione è la miglior dote.

L’educazione forma l’uomo.

L’educazione perfeziona le nature buone e corregge le cattive.

Non essere incivile per troppa civiltá.

Puoi essere colto, ricco, illustre e chiaro, se non hai civiltá sei un somaro.

Quando il piccolo parla, il grande ha giá parlato.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

 

RACCONTI… TERAPEUTICI

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Leggete i racconti, qui di seguito, e ….riflettete…

Potete trovare un ampia selezione di racconti… terapeutici in questo Blog

L’OTTIMISTA Leandro è il tipo di persona che ti fa piacere odiare perché è sempre di buon umore ed ha sempre qualcosa di positivo da dire. Quando qualcuno gli chiede come và, lui risponde:
“Se andasse meglio di così, sarei due persone!” E’ un’ottimista

Se un suo amico ha un giorno nero, Leandro riesce sempre a fargli vedere il lato positivo della situazione.
Vederlo mi incuriosiva e così un giorno gli chiesi:
“io non capisco, non è possibile essere ottimista ogni giorno, come fai?”
Mi rispose. “ogni giorno mi sveglio e mi dico, oggi avrò due possibilità. Posso scegliere di essere di buon umore o posso scegliere di essere di cattivo umore. E scelgo di essere di buon umore. Quando qualcosa di brutto mi accade, io posso scegliere di essere una vittima o d’imparare da ciò. Ed io scelgo d’imparare.
Ogni volta che qualcuno viene da me a lamentarsi per qualcosa, io posso scegliere di accettare le lamentele, o posso scegliere di aiutarlo a vedere il lato positivo della vita.Ed io scelgo il lato positivo della vita.”

“Ma non è sempre cos’ facile” gli dissi. “Si lo è” disse Leandro “La vita è tutta una questione di scelte. Quando tagli via tutto ciò che non conta, e tutta una questione di scelte. Sta a te scegliere come reagire alle situazioni, sta a te decidere come lasciare che gli altri influenzino il tuo umore. Tu scegli se essere di buon umore o di cattivo umore. Alla fine sei tu a decidere come vivere la tua vita”

Dopo quella conversazione ci perdemmo di vista, ma spesso mi ritrovai a pensare alle sue parole, quando dovevo fare una scelta nella mia vita, invece di reagire negativamente agli eventi.

In seguito venni a sapere che Leandro aveva avuto un brutto incidente, era caduto da 18 metri di altezza, e dopo 12 ore di sala operatoria fù rilasciato dall’ospedale con una piastra d’acciaio nella schiena. Sono andato a trovarlo e gli ho chiesto come si sentisse:
“Se stessi meglio sarei due persone” rispose “vuoi vedere le mie cicatrici?”
“Ma come fai?” gli chiesi “ad essere così positivo dopo quello che ti è successo?”

“Mentre stavo cadendo, la prima cosa a cui ho pensato sono stati i miei figli. Poi mentre giacevo per terra, mi sono detto che potevo scegliere di vivere o di morire. Ed ho scelto di vivere”

“Ma non hai mai avuto paura?”

“Sì quando mi hanno portato in ospedale ed ho visto l’espressione sul viso dei medici, ho avuto paura, perchè era come se guardassero ad un uomo morto. Poi l’infermiera mi ha chiesto se avessi allergie, ed io risposi…Sì. Tutti mi guardarono ed io urlai: sono allergico alla… gravità!. Tutti scoppiarono a ridere, ed io dissi: ed ora operatemi da uomo vivo, non come se fossi già morto”

Leandro mi ha insegnato che ogni giorno abbiamo la possibilità di scegliere di vivere la vita.. Quindi è inutile preoccuparsi sempre per il domani, perchè ogni giorno ha i suoi problemi su cui scegliere di vivere, e domani penseremo ai problemi di domani. Dopo tutto oggi è il domani ti cui ti preoccupavi ieri.

FELICITA’ E DOLORE Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d’ospedale. A uno dei due era permesso mettersi seduto sul letto per un’ora, ogni pomeriggio, per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo ed il suo letto era vicino all’unica finestra della stanza. L’altro uomo doveva restare sempre sdraiato. Infine i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore. Parlarono delle loro mogli e delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto.

Ogni pomeriggio l’uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando all’altro tutte le cose che poteva vedere fuori dalla finestra. L’uomo nell’altro letto cominciò a vivere per quelle singole ore nelle quali il suo mondo era reso più bello e più vivo da tutte le cose e i colori del mondo esterno. La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto.

Le anatre e i cigni giocavano nell ‘acqua mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo. Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c’era una bella vista della città in lontananza. Mentre l’uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l’uomo dall ‘altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immagginava la scena.

In un caldo pomeriggio l’uomo della finestra descrisse una parata che stava passando. Sebbene l’altro uomo non potesse sentire la banda, poteva vederla con gli occhi della sua mente, così come l’uomo dalla finestra gliela descriveva. Passarono i giorni e le settimane.

Una mattina, l’infermiera di turno portò loro l’acqua e trovò il corpo senza vita dell’uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno. L’infermierà diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo.

Non appena gli sembrò opportuno, l’altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra. L’infermiera acconsenti ben volentieri, e dopo il cambio di letto ed essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo. Lentamente, dolorosamente, l’uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno. Si sforzò e si voltò lentamente per guardare fuori dalla finestra vicina al letto.

Essa si affacciava su un muro bianco

L’uomo chiese all’infermiera che cosa poteva avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori di quella finestra. L’infermiera rispose che il suo amico morto era cieco e non poteva nemmeno vedere il muro. “Forse, voleva farle coraggio.” disse.

Vi è una tremenda felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della nostra situazione. Un dolore diviso è dimezzato, ma la felicità divisa è raddoppiata.

DILLO OGGI... C’era una volta un ragazzo nato con una grave malattia…Una malattia di cui non si conosceva la cura… Aveva 17 anni, ma poteva morire in qualsiasi momento… Visse sempre in casa sua, con l’assistenza di sua madre… Stanco di stare in casa, decise di uscire almeno una volta… Chiese il permesso a sua madre. Lei accettò. Camminando nel suo quartiere vide diversi negozi. Passando per un negozio di musica, guardando dalla vetrina, notò la presenza di una tenera ragazza della sua età.Fu amore a prima vista. Aprì la porta ed entrò guardando nient’altro che la ragazza. Avvicinandosi poco a poco, arrivò al bancone dove c’era la
ragazza. Lei lo guardò e gli disse sorridente: “Posso aiutarti?” Nel frattempo egli pensava che era il sorriso più bello che avesse mai visto nella sua vita. Nello stesso istante sentì il desiderio di baciarla.
Balbettando le disse: “Si, eeehhhmmm, uuuhhh…mi piacerebbe comprare un CD”. Senza pensarci, prese il primo che vide e le diede i soldi. “Vuoi che te lo impacchetti?” – Chiese la ragazza sorridendo di nuovo. Egli rispose di si annuendo; lei andò nel magazzino, tornò con ilpacchetto e glielo consegnò. Lui lo prese ed uscì dal negozio.

Tornò a casa e da quel giorno in poi andò al negozio ogni giorno per comprare un cd.
Faceva fare il pacchetto sempre alla ragazza e poi tornava a casa per riporlo nell’armadio. Egli era molto
timido per invitarla ad uscire e nonostante provasse non ci riusciva. Sua madre si interessò alla situazione e lo spronò a tentare, così egli il giorno seguente si armò di coraggio e si diresse al negozio. Come tutti i giorni comprò un altro cd e come sempre lei gli fece una confezione. Lui prese il cd e, in un momento in cui la ragazza era distratta, posò rapidamente un foglietto con il suo numero di telefono sul bancone; dopodichè uscì di corsa dal negozio.

Driiiiin !!! Sua madre rispose al telefono: “Pronto?”, era la ragazza che chiedeva di suo figlio; la madre afflitta cominciò a piangere mentre diceva: “Non lo sai?…è morto ieri”. Ci fu un silenzio prolungato interrotto dai lamenti della madre. Più tardi la madre entrò nella stanza del figlio per ricordarlo. Decise di iniziare dal guardare tra la sua roba. Aprì l’armadio. Con sorpresa si trovò di fronte ad una montagna di cd impacchettati. Non ce ne era nemmeno uno aperto. Le procurò una curiosità vederne tanti che non resistette: ne prese uno e si sedette sul letto per guardarlo;facendo ciò, un biglietto uscì dal pacchettino di plastica.. La madre lo raccolse per leggerlo, diceva: “Ciao!!! Sei carino ! Ti andrebbe di uscire con me?? TVB…Sofia.” La madre emozionata ne aprì altri e trovò altri bigliettini: tutti dicevano la stessa cosa.

Questa è la vita, non aspettare troppo per dire a qualcuno di speciale quello che senti. Dillo oggi stesso. Domani potrebbe essere troppo tardi.

Favola d’amore di herman hesse (estratto) “Pictor divenne albero. Penetrò con le radici nella terra, si allungò verso l’alto, foglie e rami germogliarono dalle sue membra. Era molto contento. Con fibre assetate succhiò nelle fresche profondità della terra e con le sue foglie sventolò alto nell’azzurro. Insetti abitavano nella sua scorza, ai suoi piedi abitavano il porcospino e il coniglio, tra i suoi rami gli uccelli.

L’albero Pictor era felice e non contava gli anni che passavano. Passarono molti anni prima che si accorgesse che la sua felicità non era perfetta. Solo lentamente imparò a guardare con occhi d’albero. Finalmente poté vedere, e divenne triste.

Vide infatti che intorno a lui nel paradiso gran parte degli esseri si trasformava assai spesso, che tutto anzi scorreva in un flusso incantato di perenni trasformazioni. Vide fiori diventare pietre preziose o volarsene via come folgoranti colibrì. Vide accanto a sé più d’un albero scomparire all’improvviso: uno si era sciolto in fonte, un altro era diventato coccodrillo, un altro ancora nuotava fresco e contento, con grande godimento, come pesce allegro guizzando, nuovi giochi in nuove forme inventando. Elefanti prendevano la veste di rocce, giraffe la forma di fiori.

Lui invece, l’albero Pictor, rimaneva sempre lo stesso, non poteva più trasformarsi. Dal momento in cui capì questo, la sua felicità se ne svanì: cominciò ad invecchiare e assunse sempre più quell’aspetto stanco, serio e afflitto, che si può osservare in molti vecchi alberi. Lo si può vedere tutti i giorni anche nei cavalli, negli uccelli, negli uomini e in tutti gli esseri: quando non possiedono il dono della trasformazione, col tempo sprofondano nella tristezza e nell’abbattimento, e perdono ogni bellezza.”

IL VALORE Marco, con la faccia triste e abbattuta, si ritrovò con la sua amica Francesca in un bar per prendere un caffè. Depresso, scaricò su di lei tutte le sue preoccupazioni sul lavoro, sui soldi, sui suoi rapporti sentimenatli e via dicendo.

Tutto sembrava andar male nella sua vita.Francesca introdusse la mano nella borsa, prese un biglietto da 100 EURO e gli disse: Vuoi questo biglietto? Marco, un po’ confuso, all’inizio le rispose: Certo Francesca… sono 100 EURO, chi non li vorrebbe?

Allora Francesca prese il biglietto in una mano, lo strinse forte fino a farlo diventare una piccola pallina. Mostrando la pallina accartocciata a Marco, gli chiese un’altra volta: E adesso, lo vuoi ancora? Francesca, non so cosa intendi con questo, però continuano ad essere 100 EURO. Certo che lo prenderò anche così, se me lo dai.

Francesca spiegò il biglietto, lo gettò al suolo e lo stropicciò ulteriormente con il piede , riprendendolo quindi sporco e segnato. Continui a volerlo?
Ascolta Francesca, continuo a non capire dove vuoi arrivare, rimane comunque un biglietto da 100 EURO, e finchè non lo rompi,conserva il suo valore….

Marco, devi sapere che anche se a volte qualcosa non esce come vuoi, anche se la vita ti piega o accartoccia, continui a essere tanto importante come lo sei stato sempre…

Quello che devi chiederti è quanto vali in realtà, e non quanto puoi essere demoralizzato in un particolare momento.

Marco si bloccò guardando Francesca senza dire una parola, mentre l’impatto del messaggio entrava profondamente nella sua testa. Francesca mise il biglietto spiegazzato di fianco a lui, sul tavolo, e con un sorriso complice disse: Prendilo, ritiralo perchè ti ricordi di questo momento quando ti senti
male… però mi devi un biglietto nuovo da 100 EURO per poterlo usare con il prossimo amico che ne abbia bisogno.

Gli diede un bacio sulla guancia e si allontanò verso la porta. Marco tornò a guardare il biglietto, sorrise, lo guardò e con una nuova energia chiamò il cameriere per pagare il conto…
Quante volte dubitiamo del nostro valore, di cosa meritiamo veramente e che possiamo conseguirlo se ce lo promettiamo? Certo che non basta con il solo proposito… Si richiede azione ed esistono molte strade da seguire.

Ora rifletti bene. Cerca di rispondere a queste domande:

1 – Nomina le 10 persone più ricche del mondo. 2 – Nomina le 3 ultime vincitrici del concorso Miss Universo. 3 – Nomina 10 vincitori del premio Nobel. 4 – Nomina i 5 ultimivincitori del premio Oscar come miglior attore o attrice. Come va? Male? Non preoccuparti. Nessuno di noi ricorda i migliori di ieri. E gli applausi se ne vanno! E i trofei si impolverano! I vincitori si dimenticano! Adesso rispondi a queste altre:

1 – Nomina 3 professori che ti hanno aiutato nella tua formazione. 2 – Nomina 3 amici che ti hanno aiutato in tempi difficili.
3 – Pensa ad alcune persone che ti hanno fatto sentire speciale. 4 – Nomina 5 persone con cui passi il tuo tempo. Come va? Meglio? Le persone che
segnano la differenza nella tua vita non sono quelle con le migliori credenziali, con molti soldi, o i migliori premi… Sono quelle che si
preoccupano per te, che si prendono cura di te, quelle che ad ogni modo stanno con te. Rifletti un momento. La vita è molto corta! Tu, in che lista
sei? Non lo sai?… Permettimi di darti un aiuto… Non sei tra i famosi, però sei tra quelli che sono importanti per tante persone a te vicine, senza che tu te ne renda conto.

Qualche anno fa, alle Paraolimpiadi di Seattle, nove atleti, tutti mentalmente o fisicamente disabili erano pronti sulla linea di partenza dei100 metri. Allo sparo della pistola, iniziarono la gara, non tutti correndo,ma con la voglia di arrivare e vincere. Mentre correvano, un piccolo ragazzino cadde sull’asfalto, fece un paio di capriole e cominciò a piangere. Gli altri otto sentirono il ragazzino piangere. Rallentarono e guardarono indietro. Si fermarono e tornarono indietro…..ciascuno di loro. Una ragazza con la sindrome di Down si sedette accanto a lui e cominciò a baciarlo e a dire:”Adesso stai meglio?” Allora, tutti e nove si abbracciarono e camminarono verso la linea del traguardo. Tutti nello stadio si alzarono, e gli applausi andarono avanti per parecchi minuti.

Persone che erano presenti raccontano ancora la storia. Perché? Perché dentro di noi sappiamo che: La cosa importante nella vita va oltre il vincere per se stessi. La cosa importante in questa vita è aiutare gli altri vincere, anche se comporta rallentare e cambiare la nostra corsa.

LE COSE NON SEMPRE SONO COME SEMBRANO Due angeli in viaggio fecero una sosta, per passare la notte, nella casa di una famiglia benestante. Questa famiglia si dimostrò scortese e rifiutò di accogliere gli angeli nella camera degli ospiti della casa padronale. Fù loro accordato, invece, un piccolo posticino nel freddo della cantina. Quando fecero per sdraiarsi sul duro pavimento, l’angelo più anziano vide un buco nella parete e lo riparò. Quando l’angelo più giovane chiese il perchè quello più anziano rispose “Le cose non sempre sono come sembrano”

La notte successiva, i due angeli trovarono ospitalità nella casa di un contadino e di sua moglie, poveri ma molto ospitali. Dopo aver condiviso con i due angeli il poco cibo che avevano, il contadino e sua moglie fecero dormire i due angeli nel loro letto, dove dormirono beatamente.

Il mattino dopo, con il sorgere di un sole radioso, i due angeli trovarono il contadino e sua moglie in lacrime. La loro unica mucca, il cui latte era il loro unico sostentamento, era stesa morta sul prato. L’angelo più giovane s’arrabbiò e chiese a quello più anziano perchè egli aveva lasciato accadere tutto ciò? “La prima famiglia aveva tutto e ciò nonostante l’hai aiutata” disse in tono accusatorio “La seconda famiglia aveva ben poco e tu gli hai lasciato morire la mucca”. “Le cose non sempre sono come sembrano” disse l’angelo più anziano.

“Quando noi riposavamo nella fredda cantina della casa padronale, mi accorsi che c’era dell’oro nel buco della parete. Poichè il proprietario era così ingordo ed avaro e non voleva condividere la sua buona sorte, ho sigillato la parete affinchè egli non potesse più trovarlo.

Quando noi dormivamo la notte scorsa nel letto del contadino, vidi l’angelo della morte venire a prendere sua moglie. Al suo posto gli ho dato la mucca.

“Le cose non sempre sono come sembrano” Talvolta è proprio quello che succede se le cose non evolvono come dovrebbero. Se tu hai fiducia devi semplicemente prendere atto del fatto che ogni avvenimento è per te positivo. Potresti non rendertene conto prima che sia passato un pò di tempo.

I DUE VASI Un’anziana donna cinese aveva due grandi vasi, ciascuno sospeso all’estremità di un palo che lei portava sulle spalle. Uno dei vasi aveva una crepa, mentre l’altro era perfetto, ed era sempre pieno d’acqua alla fine della lunga camminata dal ruscello a casa, mentre quello crepato arrivava mezzo vuoto.

Per due anni interi andò avanti così, con la donna che portava a casa solo un vaso e mezzo d’acqua.
Naturalmente, il vaso perfetto era orgoglioso dei propri risultati.
Ma il povero vaso crepato si vergognava del proprio difetto, ed era avvilito di saper fare solo la metà di ciò per cui era stato fatto.
Dopo due anni che si rendeva conto del proprio amaro fallimento, un giorno parlò alla donna lungo il cammino:
Mi vergogno di me stesso, perché questa crepa nel mio fianco fa sì che l’acqua fuoriesca lungo tutta la strada verso la vostra casa.
La vecchia sorrise:
Ti sei accorto che ci sono dei fiori dalla tua parte del sentiero, ma non dalla parte dell’altro vaso?
È perché io ho sempre saputo del tuo difetto, perciò ho piantato semi di fiori dal tuo lato del sentiero ed ogni giorno, mentre tornavamo, tu li innaffiavi.
Per due anni ho potuto raccogliere quei bei fiori per decorare la tavola.
Se tu non fossi stato come sei, non avrei avuto quelle bellezze per ingentilire la casa.

Ognuno di noi ha il proprio specifico difetto. Ma sono la crepa e il difetto che ognuno ha a far sì che la nostra convivenza sia interessante e gratificante.
Bisogna prendere ciascuno per quello che è e vedere ciò che c’è di buono in lui.

L’AMICIZIA Un giorno, ero un ragazzino delle superiori, vidi un ragazzo della mia classe che stava tornando a casa da scuola. Il suo nome era Tom e sembrava stesse portando tutti i suoi libri. Dissi tra me e me:”perché mai uno dovrebbe portarsi a casa tutti i libri di venerdì? deve essere un ragazzo strano.”
Ho scrollato le spalle e mi sono incamminato. Mentre stavo camminando vidi un gruppo di ragazzini che correvano incontro a Tom . Gli corsero addosso facendo cadere tutti i suoi libri e lo spinsero facendolo cadere nel fango ed isuoi occhiali volarono via, e li vidi cadere nell’erba un paio di metri più in la. Lui guardò in su’ e vidi una terribile tristezza nei suoi occhi. Mi rapì il cuore! Così mi incamminai verso di lui mentre lui stava cercando i suoi occhiali e vidi una lacrima nei suoi occhi. Raccolsi gli occhiali e glieli diedi dicendogli: quei ragazzi sono proprio dei selvaggi, dovrebbero imparare a vivere. Tom mi guardò e disse:grazie! C’era un grosso sorriso sul suo viso, era uno di quei sorrisi che mostrano vera gratitudine.Lo aiutai a raccogliere i libri e gli chiesi dove viveva. Scoprii che viveva vicino a me così gli chiesi come mai non lo avessi mai visto prima, lui mi spiegò che prima andava in una scuola privata. Prima di allora non sarei mai andato in giro con un ragazzo che frequentava le scuole private.Parlammo per tutta la strada e io lo aiutai a portare alcuni libri. Mi sembrò un ragazzo molto carino ed educato così gli chiesi se gli andava di giocare a football con i miei amici e lui disse di si. Andammo in giro tutto il week end e più lo conoscevo più Tom mi piaceva così come piaceva ai miei amici. Arrivò il lunedì mattina ed ecco Tom con tutta la pila dei libri ancora. Lo fermai e gli dissi: ragazzo finirà che ti costruirai dei muscoli incredibili con questa pila di libri ogni giorno! Egli rise e mi passo la metà dei libri.

Nei successivi quattro anni io e Tom diventammo amici per la pelle. Una volta adolescenti cominciammo a
pensare al college, Tom decise per Columbia Universitye io per Georgetown. Sapevo che saremmo sempre stati amici e che la distanza non sarebbe stata un problema per noi. Tom sarebbe diventato un dottore mentre io mi sarei occupato di scuole di football. Tom era il primo della nostra classe e io l’ho sempre preso in giro per essere un secchione.Tom doveva preparare un discorso per il diploma. Io fui
molto felice di non essere al suo posto sul podio a parlare. Il giorno dei diplomi vidi Tom, aveva un’ottimo aspetto. Lui era uno di quei ragazzi che aveva veramente trovato se stesso durante le
scuole superiori. Si era un po’ riempito nell’aspetto e stava molto bene con gli occhiali. Aveva qualcosa in più e tutte le ragazze lo amavano. Ragazzi, qualche volta ero un pò geloso! Oggi era uno di
quei giorni, vidi che era un po’ nervoso per il discorso che doveva fare, così gli diedi una pacca sulla spalla e gli dissi: “hei, ragazzo te la caverai alla grande!” Mi guardò con uno di quegli sguardi (quelli pieni di gratitudine) e sorrise mentre mi disse: “grazie”.

Iniziò il suo discorso schiarendosi la voce: “nel giorno del diploma si usa ringraziare coloro che ci hanno aiutato a farcela in questi anni duri. I genitori, gli insegnanti, gli allenatori ma più di tutti i tuoi amici. Sono qui per dire a tutti voi che essere amico di qualcuno è il più bel regalo che voi potete fare. Voglio raccontarvi una storia”. Guardai il mio amico Tomincredulo non appena cominciò a raccontare il giorno del nostro incontro. Lui aveva pianificato di suicidarsi durante il week end. Egli raccontò di come aveva pulito il suo armadietto a scuola,così che la madre non avesse dovuto farlo dopo, e di come si stava
portando a casa tutte le sue cose. Tom mi guardò intensamente e fece un piccolo sorriso. “ringraziando il cielo fui salvato, il mio amico mi salvò dal fare quel terribile gesto”. Udii un brusio tra la gente a
queste rivelazioni. Il ragazzo più popolare ci aveva appena raccontato il suo momento più debole. Vidi sua madre e suo padre che mi guardavano e mi sorridevano, lo stesso sorriso pieno di gratitudine. Non avevo mai realizzato la profondità di quel sorriso fino a quel momento.Non sottovalutate mai il potere delle vostre azioni. Con un piccolo gesto potete cambiare la vita di una persona, in meglio o in peggio.

COSE CHE NON SI RECUPERANO! Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d’attesa di ungrande aeroporto. Siccome avrebbe dovuto aspettare per molto tempo, decisedi comprare un libro per ammazzare il tempo. Comprò anche un pacchetto di biscotti. Si sedette nella sala VIP per stare più tranquilla. Accanto a lei c’era la sedia con i biscotti e dall’altro lato un signore che stava leggendo il giornale. Quando lei cominciò a prendere il primo biscotto, anche l’uomo ne prese uno, lei si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro Tra lei e lei pensò “ma tu guarda se soloavessi un po’ più di coraggio gli avrei già dato un pugno…” Così ogni volta che lei prendeva un biscotto, l’uomo accanto a lei, senza fare un minimo cenno ne prendeva una anche lui. Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la donna pensò “ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice quando saranno finiti tutti!!” L’uomo prima che lei prendesse l’ultimo biscotto lo divise a metà! “Ah, questo è troppo” penso e cominciò a sbuffare e indignata si prese le sue cose, il libro e lasua borsa e si incamminò verso l’uscita della sala d’attesa.

Quando si sentì un po’meglio e la rabbia era passata, si sedette in una sedia lungo il corridoio per non
attirare troppo l’attenzione ed evitare altri dispiaceri. Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro quando…. nell’aprire la borsa vide che il pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno.
Sentì tanta vergogna e capì solo allora che il pacchetto di biscottiuguale al suo era di quell’ uomo seduto accanto a lei che però aveva diviso i suoi biscotti con lei senza sentirsi indignato, nervoso o
superiore al contrario di lei che aveva sbuffato e addirittura si sentiva feritanell’orgoglio.

Prima di arrivare ad una conclusione affrettata e prima di pensare male delle persone, guarda attentamente le cose, molto spesso nonsono come sembrano!!!!
Esistono 5 cose nella vita che non si RECUPERANO:
Una pietra dopo averla lanciata;
Una parola dopo averla detta;
Un’opportunità dopo averla persa;
Il tempo dopo esser passato;
L’amore per chi non lotta.

…FERITE… C’era una volta un ragazzo con un pessimo carattere. Suo padre gli dette un sacchetto pieno di chiodi e gli disse di piantare nella palizzata in giardino un chiodo per ogni volta che si fosse arrabiato con qualcuno o gli avesse recato offesa.

Il ragazzo obbedì al padre ed arrivò a piantare in pochi giorni 100 chiodi nella palizzata in giardino. Stufo di piantare chiodi andò dal padre e gli promise di non arrabbiarsi più con alcuno o di recarne offesa.

Il padre accettò la promessa del figlio a patto che per ogno giorno che non si fosse arrabiato o avesse offeso, doveva togliere 10 chiodi dalla palizzata. Il ragazzo riuscì a essere fermo nella sua promessa e nell’arco di 10 giorni riuscì a levare tutti i chiodi dalla palizzata.

Soddisfatto del suo comportamento andò a riferire al padre che era riuscito a togliere tutti i chiodi dalla palizzata. Ma il padre lo portò in giardino e gli fece notare tutti i buchi che erano rimasti nella palizzata, in maniera irreparabile.

Disse al figlio: “vedi, come i buchi lasciati dai chiodi in questa palizzata, ogni qualvolta tutto aggredisci o offendi qualcuno, anche se poi ti scusi, rischi di lasciare una profonda ferita in lui”. Infatti le parole, a volte, possono essere la peggiore delle armi e lasciare ferite che non sanano più. Sta ad ognuno di noi fare un giusto uso della rabbia verbale.

DISGRAZIE Un contadino aveva un vecchio asino, che un giorno cadde in un pozzo ormai secco. L’asino piangeva a dirotto mentre il contadino cercava di tirarlo fuori dal pozzo.

Ma, il contadino, non riuscendoci, decise di abbreviare le sofferenze dell’asino coprendolo di terra. Chiese aiuto ad altri contadini e tutti insieme cominciarono a riempire il pozzo. Il povero asino, vedendo piovere zolle di terra scoppiò in un pianto irrefrenabile.

Poi il pianto cessò e quando il contadino trovò il coraggio di guardare in fondo al pozzo…… con grande sorpresa vide che l’asino era ancora vivo e, scrollandosi di dosso ogni palata di terra, la pressava e la utilizzava come un gradino. A ogni zolla di terra, saliva e si avvicinava al bordo del pozzo, dal quale alla fine riuscì a uscire con un’ultimo balzo.

I contadini, allibiti, restarono a guardarlo mentre riprendeva a trottare felice.

Come l’asino, quando la vita ci butta in pozzi neri sta a noi cercarne di uscirne fuori utilizzando le stesse disgrazie capitateci. Ricordiamo la massima di Nietzsche: “Tutto ciò che non mi uccide mi giova”

IL BURRONE Un monaco si lamentò con il suo maestro perché non riusciva a raggiungere il versante opposto di una montagna.
“La colpa è tua” gli rispose il maestro.
“In che cosa sbaglio? Che cosa mi manca?” domandò l’allievo.
“Vieni con me, e te lo mostrerò.”
Il maestro chiamò un altro discepolo, che era cieco, e tutt’e tre si recarono sulla montagna, in un punto in cui uno stretto tronco era stato gettato su un burrone.
“Attraversa!” disse il maestro al primo monaco.
Il poveretto guardò il fondo del burrone, il debole tronco e rispose: “Non posso: ho paura”.
Allora il maestro si rivolse al discepolo cieco e gli diede lo stesso ordine.
Il monaco attraversò senza esitare il burrone.
“Hai capito?” domandò il maestro al primo monaco.

È sempre la paura il sentimento che si oppone al nostro risveglio: la paura di essere autonomi, la paura dell’ignoto, la paura di perdere il proprio io, la paura della responsabilità. Eppure, per colmare il divario, per raggiungere l’altra riva, è necessario affrontare l’abisso; e questo non può essere fatto se non si eliminano i mille timori che ci accompagnano nell’attraversamento.

AH SI’! Il maestro Zen Hakuin era decantato dai vicini per la purezza della sua vita. Accanto a lui abitava una bella ragazza giapponese, i cui genitori avevano un negozio di alimentari.
Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, i genitori scoprirono che era incinta. La cosa mando’ i genitori su tutte le furie.
La ragazza non voleva confessare chi fosse l’uomo, ma quando non ne pote’ piu’ di tutte quelle insistenze, fini col dire che era stato Hakuin.
I genitori furibondi andarono dal maestro, lo insultarono e gli imposero di mantenere la ragazza e il bambimo.
“Ah si?” disse lui come tutta risposta.
Quando il bambino nacque, lo portarono da Hakuin. Ormai si era preso la reputazione, cosa che lo lasciava indifferente, ma si occupo’ del bambino e della giovane con grande sollecitudine. Si procurava dai vicini il latte e tutto quello che occorreva al piccolo. Si mise inoltre a intrecciare un maggior numero di stuoie per poter mantenere i due nuovi venuti.
Dopo un anno la giovane – annoiata di vivere con Hakuin – non resitette piu’, si pentì e disse ai genitori la verita’: il vero padre del bambino era un giovanotto che lavorava al mercato del pesce.
La madre e il padre della ragazza, cosi come anche i vicini, andarono subito da Hakuin a chiedergli perdono, a fargli tutte le loro scuse e a riprendersi il bambino e la giovane.
Hakuin non fece obiezioni.
Nel cedere il bambino, tutto quello che disse fu: “Ah si?”.

In realtà Hakuin non si sentiva offeso da nessuno. Quella ragazza, i suoi genitori e i vicini erano solo parte del mondo vociante, passionale e confuso che costituisce la società “normale” di tutti i tempi e di tutti i paesi. Sempre instabili, alla prima occasione colpiscono e alla prima occasione si pentono… e poi ricominciano tutto da capo. Se non si prende coscienza dei propri condizionamenti – e se non se ne prendono le distanze -, si ripeteranno sempre gli stessi comportamenti.

IL DESTINO Un grande guerriero giapponese che si chiamava Nobunaga decise di attaccare il nemico sebbene il suo esercito fosse numericamente soltanto un decimo di quello avversario. Lui sapeva che avrebbe vinto, ma i suoi soldati erano dubbiosi.
Durante la marcia si fermò a fin tempio shintoista e disse ai suoi uomini: ” Dopo aver visitato il tempio butterò una moneta. Se viene testa vinceremo, se viene croce perderemo. Siamo nelle mani del destino”.
Nobunaga entrò nel tempio e pregò in silenzio. Uscì e gettò una moneta. Venne testa. I suoi soldati erano così impazienti di battersi che vinsero la battaglia senza difficoltà.
” Nessuno può cambiare il destino” disse a Nobunaga il suo aiutante dopo la battaglia.
” No davvero ” disse Nobunaga, mostrandogli una moneta che aveva testa su tutt’e due le facce.

Non possiamo cambiare certi aspetti del destino, ma, per quanto riguarda le nostre scelte e il nostro impegno, tutto dipende da noi. È vero che i condizionamenti ci sono stati per lo più instillati dagli altri, ma è anche vero che, da un certo punto in avanti, da quando cioé ne diventiamo consapevoli, saremo noi a decidere come affrontarli, se accettarli o liberarcene.

UNA TAZZA DI THE Un filosofo si recò un giorno da un maestro zen e gli dichiarò:
“Sono venuto a informarmi sullo Zen, su quali siano i suoi principi ed i suoi scopi”.
“Posso offrirti una tazza di tè?” gli domandò il maestro. E incominciò a versare il tè da una teiera.
Quando la tazza fu colma, il maestro continuò a versare il liquido, che traboccò.
“Ma che cosa fai?” sbottò il filosofo. “Non vedi che la tazza é piena?”
“Come questa tazza” disse il maestro “anche la tua mente è troppo piena di opinioni e di congetture perché le si possa versare dentro qualco’altro..
Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?”

La mente non può che fare riferimento al passato e al noto: tutto ciò che riceve, lo interpreta alla luce delle precedenti esperienze ed opinioni. In tal modo impedisce un approccio diretto e fresco della realtà.
Se non la si svuota, non c’è modo di apprendere nulla di veramente nuovo.

CARPE DIEM Un uomo stava camminando nella foresta quando s’imbatté in una tigre. Fatto dietro-front precipitosamente, si mise a correre inseguito dalla belva. Giunse sull’orlo di un precipizio, ma per fortuna trovò da aggrapparsi al ramo sporgente di un albero.
Guardò in basso, e stava per lasciarsi cadere, quando vide sotto di sé un’altra tigre. Come se non bastasse, arrivarono due grossi topi, l’uno bianco e l’altro nero, che incominciarono a rodere il ramo.
Ancora poco e il ramo sarebbe precipitato.
Fu allora che l’uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola. Tenendosi con una sola mano, con l’altra staccò la fragola e la mangiò.
Com’era dolce!

Questo aneddoto illustra la capacità di vivere qui ed ora, di cogliere l’attimo fuggente.
Tra le opposte esigenze, tra l’essere e il nulla, tra la vita e la morte, rifiutando tanto lo sconforto quanto l’esaltazione, bisogna gustare la dolcezza di un semplice frutto, di un semplice istante, lasciando perdere sia i ricordi sia le preoccupazioni per il futuro. Anche se ci troviamo sull’orlo di un precipizio, questo momento è tutto il nostro tempo. Solo la nostra mente, con le sue previsioni e le sue anticipazioni, ce lo può distruggere.

IL SEGRETO DELLA VITA Un’antica leggenda racconta che un uomo ch’era salito sulle vette dell’Himalaya, in cerca di un grande savio ch’egli credeva conoscesse il segreto della vita. Dopo moltè difficoltà, finalmente il viaggiatore si trovò faccia a faccia con il savio, che viveva in una grotta celata fra cime altissime. Da molti anni quel santone viveva in completo isolamento, il corpo seminudo coperto da pochi stracci. Il capo e il volto erano un groviglio candido di peli. Gli occhi apparivano vitrei e arrossati dall’insonnia. il viagiatore sedette ansioso accanto al savio. “Ditemi maestro,” prese a dire in tono supplichevole “qual è il segreto della vita?” “è semplice,” rispose il savio ” la vita è come una ciotola colma di ciliegie.” “una ciotola colma di ciliegie?” esclamò il viaggiatore, stupefatto. Il vecchio meditò alquanto, poi domandò al viaggiatore:”Secondo te, non lo è?”. La vita è ciò che accade mentre noi perdiamo del tempo prezioso domandandoci quale sia il senso della vita.

IL BRUCO Il bruco stava faticando per uscire dal suo bozzolo. Un uomo osservò la scena e gli parve che tale ultima trasformazione risultasse alquanto dolorosa per l’insetto.

Decise quindi di aiutare la farfalla affrettando il processo. Cominciò così ad alitarle dolcemente sopra.

Il processo effettivamente fù accelerato, ma le piccole ali della farfalla rimasero per sempre atrofizzate.

ILLUMINAZIONE. Un giovane andò da un maestro e gli chiese: “Quanto tempo potrò impiegare per raggiungere l’illuminazione?” Rispose il maestro: “Dieci anni”. Il giovane era sbalordito. “Così tanto?” domandò incredulo. Replicò l’altro: “No, mi sono sbagliato, ci vorranno venti anni”. Il giovane chiese: ” Perché hai raddoppiato la cifra?” Allora il maestro spiegò: “Adesso che ci penso, nel tuo caso ce ne vorranno probabilmente trenta”.

IL NEMICOTi sei svegliato prima dell’alba, ma il tuo nemico non l’hai trovato. Quando il sole era basso hai attraversato tutta la pianura, ma il tuo nemico non l’hai trovato. Mentre il sole era alto nel cielo hai cercato tra le piante di tutta la foresta, ma il tuo nemico non l’hai trovato. Il sole era rosso nel cielo mentre tu cercavi sulla cima di tutte le colline, ma il tuo nemico non l’hai trovato. Ora sei stanco e ti riposi sulla riva di un ruscello, guardi nell’acqua ed ecco il tuo nemico: l’hai trovato.

GIOIELLI. Un uomo perse il suo anello più prezioso; cercò ovunque per ritrovarlo, ma nonostante la sua fatica non ci riuscì. Si sedette su una pietra, disperato, cercando inutilmente di sopprimere la sua disperazione. Come al solito il suo cane gli si avvicinò cercando le carezze del padrone. Il vicino di casa lo salutò come ogni sera. Gli amici gli fecero vedere i pesci che avevano pescato e gliene regalarono alcuni. La moglie e i figli lo accolsero con affetto al suo arrivo a casa esattamente come accadeva sempre. La giornata si concluse nella pace familiare. Purtroppo il tormento per la perdita dell’anello perseguitava ancora l’uomo, il quale però pensò: “nessuno si è accorto che ho perso l’anello, tutti si sono comportati con me come sempre, perché proprio io devo comportarmi in modo diverso con me stesso?”. Fu così che si addormentò sereno.

PADRE.Uhm… una volta conoscevo un ragazzino in Inghilterra che chiese a suo padre: I padri sanno sempre più cose dei figli? » e il padre rispose: « Sì ». Poi il ragazzino chiese: « Papà, chi ha inventato la macchina a vapore? e il padre: « James Watt ». E allora il figlio gli ribatté: « Ma perché non l’ha inventata il padre di James Watt? ».

LA MORTE Un giorno il Califfo manda il suo Visir a sentire cosa dice la gente al bazar. Quello va e nella folla nota una donna magra e alta, avvolta in una gran mantello nero, che lo guarda fisso. Terrorizzato il Visir scappa via. Corre dal Califfo e lo implora: “Sire, aiutami! Al bazar ho visto la Morte. È venuta per me. Lasciami partire, ti prego. Dammi il tuo migliore cavallo. Con quello, a tappe forzate, stasera sarò in salvo a Samarcanda.” Il Califfo acconsente e fa portare il suo cavallo più veloce. Il Visir balza in sella e galoppa via a spron battuto. Incuriosito, il Califfo va lui stesso al mercato. Nella folla vede la donna dal gran mantello nero e l’avvicina. “Perché hai fatto paura al mio Visir?” le chiede. “Non gli ho neppure parlato”, risponde la Morte. “Ero solo sorpresa di vederlo qui, perché il nostro appuntamento è stasera a Samarcanda”

AMICI Un uomo camminava per una strada con il suo cane. Si godeva il paesaggio, quando ad un tratto si rese conto di essere morto. Si ricordò di quando stava morendo e che il cane che gli camminava al fianco era morto da anni. Si chiese dove li portava quella strada. Dopo un po’ giunsero ad un alto muro bianco che costeggiava la strada e che sembrava di marmo. In cima ad una collina s’interrompeva in un alto arco che brillava alla luce del sole. Quando vi fu davanti, vide che l’arco era chiuso da un cancello che sembrava di madreperla e che la strada che portava al cancello sembrava di oro puro. Con il cane s’incammino verso il cancello, dove a un lato c’era un uomo seduto a una scrivania. Arrivato davanti a lui, gli chiese: – Scusi, dove siamo? – Questo è il Paradiso, signore, – rispose l’uomo. – Wow! E non si potrebbe avere un po’ d’acqua? – Certo, signore. Entri pure, dentro ho dell’acqua ghiacciata. L’uomo fece un gesto e il cancello si aprì. – Non può entrare anche il mio amico? – disse il viaggiatore indicando il suo cane. – Mi spiace, signore, ma gli animali non li accettiamo. L’uomo pensò un istante, poi fece dietro front e tornò in strada con il suo cane. Dopo un’altra lunga camminata, giunse in cima a un’altra collina in una strada sporca che portava all’ingresso di una fattoria, un cancello che sembrava non essere mai stato chiuso. Non c’erano recinzioni di sorta. Avvicinandosi all’ingresso, vide un uomo che leggeva un libro seduto contro un albero. – Mi scusi, – chiese. – Non avrebbe un po’ d’acqua? – Sì, certo. Laggiù c’è una pompa, entri pure. – E il mio amico qui? – disse lui, indicando il cane. – Vicino alla pompa dovrebbe esserci una ciotola.Attraversarono l’ingresso ed effettivamente poco più in là c’era un’antiquata pompa a mano, con a fianco una ciotola.Il viaggiatore riempì la ciotola e diede una lunga sorsata, poi la offrì al cane. Continuarono così finché non furono sazi, poi tornarono dall’uomo seduto all’albero.- Come si chiama questo posto? – chiese il viaggiatore. – Questo è il Paradiso. – Be’, non è chiaro. Laggiù in fondo alla strada uno mi ha detto che era quello, il Paradiso. – Ah, vuol dire quel posto con la strada d’oro e la cancellata di madreperla? No, quello è l’Inferno. – E non vi secca che usino il vostro nome? – No, ci fa comodo che selezionino quelli che per convenienza lasciano perdere i loro migliori amici. (Anonimo)

IL LUPO Un bambino alla nonna… Nonnina mia, ho due Lupi qua proprio nel petto; uno affamato d’amore e l’altro affamato di morte. Dimmi nonnina mia chi vincerà…? Nipotino mio, vincerà il lupo…a cui darai nutrimento. (Anonimo)

Condanna a Morte. Un re dell’antica India condannò a morte un uomo.Questi lo imploro di condonargli la pena e aggiunse: – Se il re sarà cosi misericordioso da risparmiarmi la vita nel giro di un anno insegnerò al suo cavallo a volare-. -Ci sto! -. disse il re. – Ma se alla fine di questo periodo il cavallo non saprà volare sarai giustiziato-.Quando più tardi i suoi familiari gli chiesero come intendeva realizzare il suo piano l’uomo rispose: – Durante quest’anno potrebbe morire il cavallo oppure il re, o chissà, magari il cavallo imparerà davvero a volare!- Anthony de Mello

LE MAGICHE ROSE Il principe ritornando a palazzo sosta presso la casa di un saggio sufi e gli espone il suo tormento e la sua tristezza. Il saggio gli dice: “ Quando vuoi vendicarti di qualcuno lasci solo che quel qualcuno continui a farti del male. Prima di tornare al tuo palazzo devi liberarti dai ricordi che ti tormentano.” e gli narra di un giardino agli antipodi del mondo, dove crescono delle rose magiche il cui profumo ha il potere di dare l’oblio. Il principe parte con i suoi fidi e durante i mesi e poi gli anni capitano avventure insolite, incontri strabilianti, battaglie vinte e perse, paesi e costumi meravigliosi, finché dopo sette anni di viaggio, in cui ha perso la maggior parte della sua scorta, rimanendo solo con pochi amici, giunge al giardino e scorge il cespuglio dove fioriscono le magiche rose. Si avvicina al cespuglio ma, improvvisamente si chiede. “Perché devo sentire il profumo di queste rose?”

IL POZZO MAGICO C’era una volta un uomo che voleva sapere quale significato dare alla sua vita. Si recò allora presso un pozzo magico che dava responsi sull’avvenire e gli pose la domanda. Il pozzo rispose:”A tre leghe verso nord troverai un villaggio dove, nella piazza principale, vedrai tre botteghe. Lì potrai trovare il significato della tua vita”.

L’uomo si mise in cammino e arrivò alla piazza di quel villaggio e vide una bottega che vendeva fili metallici, l’altra placche metalliche e l’ultima oggetti di legno. L’uomo non capì e se ne andò sconsolato.

Anni più tardi, sempre con la stessa domanda interiore insoddisfatta, mentre di notte vagava per una foresta, udì un suono dolcissimo che lo commosse profondamente. Si avvicinò alla fonte del suono e in una radura illuminata da alcune torce scorse un uomo che suonava un sithar. In quel momento si ricordò di quanto aveva detto il pozzo magico e del significato delle tre botteghe che vendevano separatamente i pezzi con cui era costruito un sithar. Allora non era ancora pronto, ma ora capì che la sua vocazione, era quella di divenire un musicista.

FALSO VIAGGIO Il barone aveva ambizioni sconfinate, ma abitava in un piccolo castello ai confini dell’impero. Ormai vedovo, con una figlia bellissima, si tormentava imprecando contro il destino che non gli permetteva di raggiungere i suoi fini.

Si ricordò che poco lontano dalle sue terre viveva un famoso mago. Il castello del mago era su una montagna aspra e scoscesa Intraprese il viaggio e finalmente arrivò al castello del mago. Bussò al portone e una voce gli intimò di entrare da solo. Trovò il mago in una ampia stanza con un grande camino acceso. Il mago gli offrì da bere del vino ma il barone rifiutò e subito fece le sua richiesta: voleva diventare imperatore. Il mago restò impassibile, per un po’ in silenzio, poi disse: “Ti aiuterò a diventare imperatore ma quando lo sarai mi darai in cambio tua figlia. Il barone accettò e promise solennemente di rispettare il patto.

Pochi mesi dopo l’imperatore si trovò a transitare nelle terre del barone. Il mago suscitò una grande tempesta di neve e una valanga ostruì la strada. L’imperatore fu costretto a sostare presso il castello del barone. Il mago istruì il barone sul comportamento da adottare verso l’imperatore e questo nelle lunghe giornate di attesa cominciò ad apprezzare il barone e lo volle portare con se a corte. Il barone a corte, aiutato dal mago riuscì a sventare tutti gli intrighi e le invidie e fu nominato capo dell’esercito e mandato a combattere un vicino regno che minacciava di invadere l’impero.

Il barone, sempre aiutato dal mago, riuscì a sconfiggere il nemico. Al ritorno in patria l’imperatore ormai vecchio e senza figli lo nominò suo erede. Un anno dopo l’imperatore morì e il barone gli succedette.

Allora il mago si presentò a corte e chiese all’imperatore, come pattuito la mano della figlia.

“Come osi, tu, che sei niente al confronto della mia grandezza, chiedere la mano di mia figlia !” lo apostrofò l’imperatore dal suo alto trono. “Ora ho al mio servizio maghi, più potenti di te . Vattene o ti farò rinchiudere nelle segrete.”

Il mago, sospirò, poi battè le mani tre volte e il palazzo, la corte, i dignitari, tutto scomparve e il barone non più imperatore si ritrovò , come la prima volta che aveva incontrato il mago, nella stanza dove ardeva il camino e sul tavolo ancora stava il bicchiere di vino che aveva rifiutato: tutto era stato un sogno.

Il mago allora disse: “Le tue ambizioni, barone, poggiano sul tradimento e la menzogna e ora vattene, ma ricordati, d’ora in avanti non saprai più se la vita che stai conducendo sarà realtà o sogno, perché in qualsiasi momento io potrò apparire, battere tre volte le mani e ti sveglierai sempre qui.

L’ULTIMO VIAGGIO L’uomo era ricco e potente, ma stava morendo. Aveva consultato tutti i più famosi luminari della medicina, ma nessuno lo aveva guarito. Un giorno un vecchio amico gli disse:” So che esiste nell’Egeo un isola dove vive un uomo, chiamato il giardiniere, che veramente ti può guarire, ma solo se risponderai ad una sua domanda, altro non ti posso dire.” L’uomo partì subito, preparandosi a rispondere alla domanda. “Forse” si ripeteva: “sarà un rebus, un indovinello, come quello di Edipo e la sfinge?”. L’isola era piccola e verde ed era abitata da un piccolo villaggio di pescatori poi c’era la casa del guaritore e un’ampia foresteria.

Si presentò subito e vide, in un grande giardino, un uomo che stava potando un cespuglio di rose. Prima ancora che potesse parlare l‘uomo gli disse:”la maggior parte degli uomini non sa quando morirà, alcuni possono sapere quando accadrà e questa può sembrare una disgrazia o una opportunità.” Ma l’uomo, che aspettava solo la domanda per la guarigione , non capì ed anzi si irritò. Il giardiniere che aveva notato il cambiamento, sospirò e disse: ”So perché sei venuto e la mia domanda, per la tua guarigione, è questa- Dammi la tua unica e vera ragione perché tu possa interrompere il tuo destino e continuare a vivere. Per risparmiarti rifiuti non allettarmi con denari, potere, pietà e sesso. Ti posso solo dire che la risposta non è al di fuori di te, ma dentro te. Ora va e medita , quando sarai pronto, ritorna”. L’uomo, scosso da queste parole, si ritirò nella foresteria e cominciò a riflettere sulle parole del giardiniere.

“Non posso tentarlo con soldi, potere e donne” si disse “potrei mostrargli la foto di mia moglie, dei miei figli ma le sue parole sono chiare, anche la pietà non conta.” Si guardò intorno e vide altri uomini che , come lui, erano in cerca di una risposta. Parlò con loro.

Un famoso scienziato l’aveva implorato invano per avere tempo di finire una scoperta che avrebbe salvato molte vite, un noto brigante l’aveva minacciato di morte, ma tutte le blandizie e minaccie non erano servite. Eppure alcuni erano ripartiti dall’isola sereni e con uno sguardo nuovo. Si allontanò dagli altri e alloggiò nel piccolo villaggio di pescatori, lasciando passare in ozio, il bene a lui più prezioso, il tempo.

Osservava la vita semplice dei pescatori e dei bambini e il susseguirsi delle albe, dei tramonti e delle notti. Un giorno vide dei pescatori che dalle reti avevano tratto degli oggetti di plastica. Un vecchio pescatore accanto a lui mormorò sconsolato:” Ormai il fondo del mare è ricoperto da queste porcherie, inutili, dannose che non muoiono mai.” L’uomo ebbe un sussultò e cominciò a riflettere sulle parole del vecchio pescatore che così tanto lo avevano turbato. Dopo pochi giorni si presentò davanti al giardiniere e gli disse: “Non ho una ragione unica e veramente importante per non morire perché sono un uomo come gli altri e seguo come tutti le leggi dell’universo. Inutile andare contro la corrente, Voglio solo prepararmi a questo ultimo viaggio e lasciarmi portare dalla corrente fino a sfociare in quel mare che sento molto vicino” Il giardiniere annui, poi si avvicinò ad un cespuglio di rose, prese una rosa, la più bella, gliela porse e disse: Tu sei come questo fiore reciso ma solo da ora puoi veramente assaporarne la bellezza e il profumo.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

PENSIERI… TERAPEUTICI

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Leggi anche Aforismi… terapeutici

Conosco delle barche che restano nel porto per paura che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire hanno paura del mare a furia di invecchiare e le onde non le hanno mai portate altrove il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate che hanno disimparato come liberarsi.

Conosco delle barche che restano ad ondeggiare per essere veramente sicure di non capovolgersi.

Conosco delle barche che vanno in gruppo ad affrontare il vento forte al di là della paura.

Conosco delle barche che si graffiano un po’ sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.

Conosco delle barche che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora ogni giorno della loro vita e che non hanno paura a volte di lanciarsi fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.

Conosco delle barche che tornano in porto lacerate dappertutto, ma più coraggiose e più forti.

Conosco delle barche straboccanti di sole perché hanno condiviso anni meravigliosi.

Conosco delle barche che tornano sempre quando hanno navigato fino al loro ultimo giorno, e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti perché hanno un cuore a misura di oceano.

(Jacques Brel)

Oh Grande Spirito, la cui voce ascolto nel vento, il cui respiro dà vita a tutte le cose.

Ascoltami; io ho bisogno della tua forza e della tua saggezza,

lasciami camminare nella bellezza,

e fa che i miei occhi sempre guardino il rosso e purpureo tramonto.

Fa che le mie mani rispettino la natura

in ogni sua forma e che le mie orecchie rapidamente ascoltino la tua voce.

Fa che sia saggio e che possa capire le cose che hai pensato per il mio popolo.

Aiutami a rimanere calmo e forte di fronte a tutti quelli che verranno contro di me.

Lasciami imparare le lezioni che hai nascosto in ogni foglia ed in ogni roccia.

Aiutami a trovare azioni e pensieri puri per poter aiutare gli altri.

Aiutami a trovare la compassione senza la opprimente contemplazione di me stesso.

Io cerco la forza, non per essere più grande del mio fratello,

ma per combattere il mio più grande nemico: Me stesso.

Fammi sempre essere pronto a venire da te con mani pulite e sguardo alto.

Così quando la vita appassisce, come appassisce il tramonto,

il mio spirito possa venire a te senza vergogna.

Preghiera per il Grande Spirito, Tatanka Mani (Bisonte che Cammina) (1871 – 1967)

Abbiamo commesso una pazzia: ora lo vedo fin troppo bene. Chi, giunto ad una certa età, vuole realizzare sogni e speranze di gioventù, si inganna sempre, giacché nell’uomo ogni dieci anni cambia il concetto delle felicità, cambiano le speranze e le prospettive. Guai a colui che, dalle circostanze o dall’illusione, viene indotto ad aggrapparsi al futuro o al passato! Abbiamo commesso una pazzia. Dovremmo, per una sorta di scrupolo, rinunciare a ciò che i costumi del nostro tempo non ci vietano? In quante cose l’uomo ritorna sui suoi propositi, sulle sue azioni, e non dovrebbe farlo qui, dov’è in gioco tutto e non un dettaglio, dove si tratta non di questa o di quella condizione di vita, bensì della vita in tutto il suo complesso? W. Gothe, Le affinità elettive

E’inutile compiere lunghi viaggi,andare lontano a vedere le grandi montagne,i grandi fiumi,le grandi città del mondo, se non ci accorgiamo del filo d’erba bagnato di rugiada che cresce davanti alla porta di casa. Tutto il segreto è li, nella volontà di fare della nostra esistenza la più bella e più ricca avventura che c’è dato di vivere, nonostante tutto. Percorriamo soltanto una volta la strada della vita e tutto quello che possiamo fare di bello e di vero non può essere rimandato perchè da queste parti non passeremo mai più. (Battaglia)

Ciò che conta è tutto dentro di noi da fuori nessuno ci può aiutare. Non essere in guerra con sè stessi vivere d’amore e d’accordo con sè stessi allora tutto diventa possibile. Non solo camminare su una fune ma anche volare. (Hesse)

Non si avverte la catena quando si segue spontaneamente colui che ci trascina; ma quando si comincia a resistere e ad allontanarsene, allora sì che si soffre. (“La porta stretta” Andrè Gide)

Affinché le nostre foglie possano arrivare al cielo, le nostre radici devono scendere fino agli inferi.

Ciò che non si vuole sapere di se stessi finisce sempre per giungerci dall’esterno e assumere la forma di destino. C.G.JUNG

Il male che ci tormenta non è nel luogo in cui ci troviamo, ma è in noi stessi. Noi siamo senza forze per sopportare una qualsiasi contrarietà, incapaci di tollerare il dolore, impotenti a gioire delle cose piacevoli, sempre scontenti di noi stessi. Seneca, La tranquillità dell’anima, Laterza

… tutto è aspro, cupo, orrendo: la disperazione trasforma il giorno in notte d’inferno e costringe a nutrirci di lacrime e di dolore con un no so che di una voluttà tanto che a malincuore se ne distoglie. Petrarca, Secretum, Rizzoli

Non è possibile vivere la sera della vita seguendo lo stesso programma del mattino, poiché ciò che sino ad allora aveva grande importanza ne avrà ora ben poca, e la verità del mattino costituisce l’errore della sera. C.G. Jung, Gli stadi della vita

” Ma non è invece giusto il contrario, che un avvenimento è tanto più significativo e privilegiato quanti più casi fortuiti intervengono a determinarlo?

Soltanto il caso può apparirci come un messaggio. Ciò che avviene per necessità, ciò che è atteso, che si ripete ogni giorno, tutto ciò è muto. Soltanto il caso ci parla. Cerchiamo di leggervi dentro come gli zingari leggono le immagini formate dai fondi di caffè in una tazzina.

(…) Non certo la necessità, bensì il caso è pieno di magia. Se l’amore deve essere indimenticabile, fin dal primo istante devono posarsi su di esso le coincidenze, come gli uccelli sulle spalle di Francesco D’Assisi.” (“L’insostenibile leggerezza dell’essere” Milan Kundera)

Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze d’acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto più bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l’affronti con larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male. Tanto varrebbe avere il cervello di un carro armato. La capisci male prima d’incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l’incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro dell’incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poichè la stessa cosa capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente, una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così importante, la storia degli altri, che si rivela priva del significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l’intimo lavorio e gli scopi invisibili degli altri? Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la loro ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite…Beh, siete fortunati. (“Pastorale americana” Philip Roth)

Ciascuno di noi si crede “uno” ma non è vero: è “tanti”, signore, “tanti”, secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: “uno” con questo, “uno” con quello – diversissimi! E con l’illusione, intanto, d’esser sempre “uno per tutti” e sempre “quest’uno” che ci crediamo, in ogni nostro atto. Non è vero! Non è vero!n (“Sei personaggi in cerca d’autore” Luigi Pirandello)

…il silenzio è doloroso. Ma è nel silenzio che le cose prendono forma, e ci sono momenti nelle nostre vite in cui l’unica cosa che dobbiamo fare è attendere. In ciascuno di noi, nel più profondo del nostro essere, c’è una forza che vede e sente quello che non possiamo ancora percepire. Tutto ciò che siamo oggi è nato dal silenzio di ieri. Kahlil Gibran

(…) “Significa che il tempo aiuta” “Aiuta…? In cosa? “In tutto”, e ho cercato di spiegargli come è, arrivare in una stazione non proprio lussuosa ma nel complesso accettabile, pulita e graziosa, dove solo lentamente, col succedersi del tempo, tappa dopo tappa ti si chiarisce tutto quanto. Quando hai superato la prima tappa, quando sai di averla passata, già ti si presenta la prossima. Quando poi sei arrivato a conoscere tutto, allora hai anche compreso tutto. E mentre comprendi tutto, non rimani certo inattivo: già sistemi le cose nuove, vivi, agisci, ti muovi, adempi le continue richieste di ogni tappa successiva. Se però non ci fosse questa successione nel tempo e tutte queste conoscenze si riversassero su di noi in una sola volta, forse la nostra testa non riuscirebbe a sopportarle e nemmeno il nostro cuore.(“Essere senza destino” Imre Kertész)

“Non sono niente. Non sarò mai niente. Non posso desiderare essere niente. A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo. “ Alvaro De Campos

Il rimpianto è un tipo di dolore molto particolare, di fronte ad esso siamo impotenti. E’ come una finestra che si apre di sua iniziativa: la stanza diventa gelida e noi non possiamo fare altro che rabbrividire. Ma ogni volta si apre sempre meno, finche non arriva il giorno in cui ci chiediamo che fine abbia fatto. (“Memorie di una Geisha” Arthur Golden)

Il destino suole appostarsi dietro l’angolo, come un borsaiolo, una prostituta o un venditore di biglietti della lotteria, le sue incarnazioni più frequenti. Ma non fa mai visita a domicilio. Bisogna andare a cercarlo. (“L’ombra del vento”. Carlos Ruiz Zafòn)

“Prigioniero, dimmi, chi è stato
che ti ha avvinto in catene?”

“E’ stato il mio signore”
il prigioniero rispose.
“Credevo di poter superare per ricchezza e potenza chiunque al mondo,
e così ammassai nel mio tesoro
il denaro dovuto al mio re.
Quando il sonno mi vinse, mi stesi
sul letto destinato al mio signore;
e al risveglio mi trovai prigioniero
nel mio stesso tesoro”.

“Prigioniero, dimmi, chi è stato a forgiare questa catena?”

“Io stesso”, rispose, “ho forgiato
questa catena che nulla può spezzare.
Credevo che la mia forza invincibile
avrebbe fatto prigioniero il mondo,
lasciandomi libero e indisturbato.
Notte e giorno lavorai alla catena
con grandi fuochi e colpi crudeli –
e quando il lavoro fu finito,
quando l’ultimo anello fu saldato,
mi accorsi ch’essa mi stringeva
nella stretta morsa che nulla può spezzare”.

Tagore

Selezione a cura di:

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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AFORISMI TERAPEUTICI

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Leggi gli aforismi qui di seguito, scegli quelle che ti piacciono o ti possono aiutare, ed adottali come “slogan” quotidiani da ripetere ed attuare.

LEGGI ANCHE PENSIERI… TERAPEUTICI

CHE MI VENGA CONCESSA LA SERENITA’ DI ACCETTARE LE COSE CHE NON POSSO CAMBIARE, IL CORAGGIO DI CAMBIARE QUELLE CHE POSSO CAMBIARE,
E LA SAGGEZZA DI DISTINGUERE TRA LE DUE.

Tutto ciò che può essere fatto con poco, invano viene fatto con molto (G.da Occam)

Non puoi insegnare niente a un uomo. Puoi solo aiutarlo a scoprire ciò che ha dentro di sé.(G.Galilei)

Non si scoprono nuove terre se non si accetta di perdere di vista per molto tempo la terraferma (A. Gide)

Un uomo che teme di soffrire, soffre già di quello che teme.
(Montaigne)

La rinuncia è un suicidio quotidiano. (Honorè de Balzac)

Il pauroso prima edifica i suoi timori, poi vi ci installa sopra. (E. Cioran)

Porto addosso le ferite di tutte le battaglie che ho evitato. (F.Pessoa)

Voglio smetterla di fantasticare su qualche io immaginario che ho in testa, che potrebbe esistere se succedesse una certa cosa o che vorrebbe esistere posto che ne succedesse un’altra, e invece voglio essere qualcuno adesso. E.E. Schmitti.

Abbiamo bisogno in ogni momento di una certa quantità di dolore o di privazione come una nave ha bisogno della zavorra per mantenere la stabilità. (Schopenauer)

Chi vuol muovere il mondo prima muova se stesso. (Socrate)

Ove c’è molta luce,l’ombra è più cupa. Goethe

Coloro che reprimono il desiderio lo fanno perchè il loro desiderio è abbastanza debole da essere represso.(Blake)

Puoi costruire qualcosa di bello anche con le pietre che trovi sul tuo cammino.(Goethe)

A volte ho la sensazione di essere solo al mondo.

Altre volte lo so di sicuro.(Charles Bukowski)

Colui che conosce gli altri è sapiente; colui che conosce se stesso è illuminato.

Colui che vince un altro è potente; colui che vince se stesso è superiore. (Lao Tzu)

Non smetteremo mai di esplorare, e alla fine di tutto il nostro esplorare ritorneremo al punto da cui siamo partiti e conosceremo quel posto per la prima volta. (T.S. Eliot)

Ciò che ci fa male ci educa

Siamo così abituati a mascherarci dinanzi agli altri che finiamo per mascherarci dinanzi a noi stessi.

Chi vive senza follie non è poi così saggio come crede.

Quando non si trova la pace in se stessi è inutile cercarla altrove.

Agisci sempre in modo da aumentare il numero delle scelte.(H. Von Foerster)

NON TRASFORMARE IN AMICO COLUI CHE HAI VINTO. (ANONIMO)

Non ci è permesso scegliere la cornice del nostro destino. Ma ciò che vi mettiamo dentro è nostro. (Anonimo)

Il vero viaggio di scoperta non è vedere nuovi mondi ma cambiare occhi. (M. Proust)

L’autostima si costruisce non si eredita

Quando non si può tornare indietro, bisogna solo preoccuparsi del modo migliore per avanzare (P. Coelho)

Una volta che accettiamo le nostre debolezze queste cessano di farci del male. (Cioran)

Se cambi il tuo atteggiamento verso le cose, finisci per cambiare le cose. (Cioran)

Il coraggio più difficile, e ai deboli specialmente più necessario, è il coraggio di soffrire (Cioran)

Un’ossessione vissuta alla sazietà si annulla nei suoi stessi eccessi (Cioran)

Il limite di ogni dolore è un dolore più grande (Cioran)

Se te lo concedi puoi rinunciarvi, se non te lo concedi sarà irrinunciabile. (O. Wilde)

L’unico modo per liberarsi da una tentazione è cedervi. (O. Wilde)

Se scrivo ciò che sento è perché così facendo abbasso la febbre di sentire (Pessoa)

La maggioranza dei problemi non deriva dalle risposte che ci diamo ma dalle domande che ci poniamo. (Kant)

Nessuno sceglie un male capendo che è un male, ma ne resta intrappolato se, per sbaglio, lo considera un bene rispetto ad un male maggior (Epicureo)

Se cerchi un buon maestro, insieme alle sue teorie studia la sua vita: se non ti piacciono entrambe, cercane un altro.

Coloro che fanno del vestito una parte principale di sé stessi finiranno, in generale, per non valere più dei loro abiti (W.Hazlitt)

Ciò che non mi distrugge mi rende più forte (F.Nietzsche)

Bisogna avere in sé il caos per partorire una stella che danzi. (F.Nietzsche)

Nella vita le miglior gioie non vengono dal di fuori, ma dalla consapevolezza del nostro valore e da ciò che noi siamo per gli altri. (Franz Victor Bluthgen)

Siamo tutti costretti, per rendere sopportabile la realtà, a coltivare in noi qualche piccola pazzia.

L’unica gioia al mondo è cominciare. E’ bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, a ogni istante (C.Pavese)

Un’uomo può compiere imprese stupefacenti e assimilare una grande quantità di conoscenze, eppure non avere alcuna comprensione di sé. Ma la sofferenza spinge un uomo a guardarsi dentro. Se vi riesce, ecco che là, dentro di lui, comincia il suo apprendimento. (S.Kierkegaard)

Solo i coraggiosi sanno perdonare. Un vigliacco non perdona mai: non è nella sua natura. (L. Stern)

Diventare lo spettatore della propria vita vuol dire sfuggire alla sofferenza della vita

Tutti sono buoni a compatire le sofferenze di un’amico, ma ci vuole un’anima veramente bella per godere dei successi di un’amico

Le peggiori cose sono sempre fatte con le migliori intenzioni

La sola cosa di cui si è certi a proposito della natura umana, è che essa cambia

E’ difficile non essere ingiusti verso ciò che si ama

Siamo tutti nel rigagnolo della vita; ma alcuni di noi fissano le stelle (Oscar Wilde)

L’uomo più forte sulla terra è quello che è più solo. (Henrik Ibsen)

Ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, noi stessi diventiamo qualcosa di nuovo.

Gli uomini comuni guardano le cose nuove con occhio vecchio. L’uomo creativo osserva le cose vecchie con occhio nuovo. (Gian Piero Bona)

Il significato di un uomo non va ricercato in ciò che egli raggiunge, ma in ciò che vorrebbe raggiungere. (K.Gibran)

Un uomo gira tutto il mondo in cerca di quello che gli occorre, poi torna a casa e là lo trova.(G. Moore)

Sappiamo ciò che siamo ma non quello che potremmo essere. (William Shakespeare)

Nelle persone di capacità limitate la modestia è semplice onestà, ma in chi possiede un grande talento è ipocrisia. (Arthur Schopenhauer)

Un uomo non dovrebbe mai vergognarsi di confessare di aver avuto torto; che poi è come dire, in altre parole, che oggi è più saggio di quanto non fosse ieri.(Swift)

La collera dell’uomo eccellente dura un momento, quella del mediocre dura due ore, quella dell’uomo volgare un giorno e una notte, quella del malvagio non cessa mai. (Subhashitarnava)

Gli uomini si fidano delle orecchie più che degli occhi. (Erodoto)

È difficile credere che un uomo dica la verità quando sai bene che al suo posto tu mentiresti.(H.Mencken)

Fino al giorno della sua morte, nessun uomo può essere sicuro del suo coraggio. (Jean Anouilh)

L’essenza di un uomo si trova nei suoi difetti. (Francis Picabia)

Giudica un uomo dalle sue domande piuttosto che dalle sue risposte.(Voltaire)

Quando due persone si incontrano ci sono in realtà sei presone presenti: c’è ogni uomo come egli si vede, ogni uomo come l’altro lo vede, e ogni uomo come egli è in realtà.(William James)

Credetemi, se un uomo parla delle proprie disgrazie, in esse c’è qualcosa che non gli è sgradevole.(Samuel Johnson)

Guardati dalla furia di un uomo tranquillo. (John Dryden)

Un uomo incapace di avere visioni non realizzerà mai una grande speranza né comincerà mai alcuna grande impresa. (Thomas Woodrow Wilson)

Mi piacciono gli uomini che si comportano da uomini, cioè forti e infantili. (Françoise Sagan)

Un pessimista vede la difficoltà in ogni opportunità; un ottimista vede l’opportunità in ogni difficoltà.( Wiston Churchill)

Felicità sta nel conoscere i propri limiti ed amarli. (Romain Rolland)

Felicità non é avere tutto ciò che si desidera, ma desiderare tutto ciò che si ha.

Il ricordo della felicità non è più felicità, il ricordo del dolore è ancora dolore. Einstein

Il segreto per essere infelici è di avere il tempo di chiedersi continuamente se si è felici o no.(B.Shaw)

Se i tuoi princìpi morali ti rendono triste, stai certo che sono sbagliati. (Stevenson)

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BATESON

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Perché i francesi agitano le braccia?
Figlia. Papà, perché i francesi agitano sempre le braccia?
Padre. Come, agitano le braccia?
F. Voglio dire, quando parlano. Perché agitano le braccia e fanno gesti?

P. A te cosa viene in mente quando vedi un francese che agita le braccia?
F. Penso che sembra un po’ sciocco, papà. Ma non credo che un altro francese la pensi così; non possono sembrarsi tutti sciocchi a vicenda. Perché, se fosse così, la smetterebbero; non ti pare?
P. Forse, ma questa non è una domanda semplice. Che cos’altro ti fanno venire in mente?
F. Be’… sembrano tutti eccitati…
P. Bene.., dunque “sciocchi” ed “eccitati”.
F. Ma sono veramente eccitati come sembrano? Se io fossi eccitata a quel modo, avrei voglia di ballare o cantare o dare un pugno sul naso a qualcuno.., loro invece continuano solo ad agitare le braccia. Non possono essere eccitati sul serio.

P. Be’… supponiamo che tu stia parlando con un francese e che lui stia agitando le braccia di qua e di là, e poi nel bel mezzo della conversazione, dopo che tu hai detto qualcosa, lui smetta improvvisamente di gesticolare, e parli soltanto. Che cosa penseresti? Che ha semplicemente smesso di essere sciocco ed eccitato?
F. No… mi spaventerei. Penserei di aver detto qualcosa
che lo ha offeso, e forse potrebbe essersi arrabbiato sul serio.
P. Già… e forse avresti ragione.
F. D’accordo… allora smettono di gesticolare quando cominciano ad arrabbiarsi.
P. Un momento. Dopo tutto il problema è di sapere che cosa un francese dice a un altro francese col suo gesticolare. E abbiamo già un pezzo della soluzione: … gli dice qualcosa su ciò che prova nei confronti dell’altro tizio. Gli dice che non è arrabbiato sul serio.., che vuole e può essere ciò che tu chiami i sciocco ..
F. Ma… no… questo non ha senso. Non può far tutto quel lavoro per poter dopo dire all’altro tizio che è arrabbiato solo tenendo le braccia ferme. Come fa a sapere che dopo si arrabbierà?
P. Non lo sa. Ma per ogni evenienza…
F. No, papà, non ha senso. Io non sorrido per poterti dopo dire che mi sono arrabbiata smettendo di sorridere.
P. E invece, credo che questo sia uno dei motivi per cui si sorride. E ci sono molte persone che sorridono per dirti che non sono arrabbiate

F. Quindi tu sostieni che tutto, nella conversazione, si riduce a dire agli altri che non si è arrabbiati con loro…
P. Ho detto così? No… non tutto nella conversazione, molto però sì. A volte, se i due interlocutori hanno voglia di ascoltare con attenzione, è possibile far qual cosa di più che non scambiarsi saluti e auguri. Si può addirittura far di più che scambiarsi informazioni: i due possono persino scoprire qualcosa che nessuno dei due prima sapeva.

F. Perché la gente non dice semplicemente: « Non ce l’ho con te » e la pianta lì?
P. Ah, ora arriviamo al vero problema. Il punto è che i messaggi che ci scambiamo coi gesti sono in realtà una cosa diversa da qualunque traduzione in parole che possiamo dare di quei gesti.
F. Non capisco.
P. Voglio dire… per quanto si dica a qualcuno, impiegando solo “parole pure e semplici”, che si è o non si è arrabbiati non è la stessa cosa che dirglielo con i gesti o con il tono della voce.
F. Ma, papà, non si possono dire parole senza un qualche tono di voce, no? Anche se uno usasse meno tono possibile, gli altri sentirebbero che lui sta esitando… e questo sarebbe una specie di tono, no?
P. Si, penso di sì. Dopo tutto è quello che ho detto poco fa sui gesti… che il francese può dire qualcosa di particolare smettendo di gesticolare… Il punto è che non esistono parole pure e semplici. Vi sono soltanto parole con gesti o con tono di voce o con qualcosa del genere. … Cioè l’idea che la lingua sia fatta di parole è tutta una balordaggine, e quando ho detto che i gesti non potrebbero esser tradotti in “parole pure e semplici”, ho detto una balordaggine, perché non esistono “parole pure e semplici”
E tutta la sintassi e la grammatica e tutta quella roba lì, è una balordaggine. È tutto basato sull’idea che esistano le parole pure e semplici … e invece non ci sono.
F. Ma, papà…
P. Ti dico… che dobbiamo ricominciare tutto da capo e supporre che una lingua sia prima di tutto un sistema di gesti. Dopo tutto gli animali hanno solo gesti e toni di voce… e le parole furono inventate più tardi. Molto più tardi.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 46
Quante cose sai?
Figlia. Papà, quante cose sai?
Padre. Eh? Uhm, so circa un chilo di cose…
F. Ma tu sai più cose del papà di Johnny? Sai più cose di me?
P. Uhm… una volta conoscevo un ragazzino in Inghilterra che chiese a suo padre: I padri sanno sempre più cose dei figli? » e il padre rispose: « Sì ». Poi il ragazzino chiese: « Papà, chi ha inventato la macchina a vapore? e il padre: « James Watt ». E allora il figlio gli ribatté: « Ma perché non l’ha inventata il padre di James Watt? ».
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 55
I rami del pensiero
F. Una volta ho fatto un esperimento.
P. Quale?
F. Volevo vedere se riuscivo a pensare due pensieri contemporaneamente. Allora pensai ‘È estate’ e pensai ‘È inverno’. E cercai di pensare alle due cose insieme.
P. Allora?
F. Ma mi accorsi che non stavo pensando due pensieri. Pensavo un solo pensiero a proposito di pensarne due.
P. Certo, è proprio così. Non si possono mescolare i pensieri, si possono solo combinare. E alla fin fine ciò significa che non li si può contare. Perché contare è proprio aggiungere semplicemente una cosa all’altra. E per i pensieri questo non lo si può fare assolutamente.
F. Allora veramente abbiamo un solo grande pensiero che ha tanti rami.., tanti e tanti e tanti rami?
P. Sì, penso di sì. Non so. Comunque penso che sia un modo più chiaro per dirlo. Cioè più chiaro che parlare di pezzi di sapere e cercare di contarli.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 61
La scatola nera
F. Papà, che cos’è una scatola nera?
P. Una ‘scatola nera’ è un accordo convenzionale tra gli scienziati perché a un certo punto si smetta di cercar di spiegare le cose. Di solito credo che sia un accordo temporaneo.
F. Ma detto così non ha l’aria di una scatola nera.
P. No… ma così l’hanno chiamata. Spesso le cose non rassomigliano ai loro nomi.
F. È vero.
P. È una parola introdotta dagli ingegneri. Quando disegnano lo schema di una macchina complicata, usano una specie di stenografia: invece di tracciare tutti i particolari, mettono una scatola al posto di un mucchio di parti e battezzano la scatola con un nome che indica ciò che quel mucchio di parti dovrebbe fare.
F. Allora una ‘scatola nera’ è un’etichetta per quello che tutte quelle parti dovrebbero fare…
P. Esatto. Ma non è una spiegazione di come quelle parti funzionano.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 77
Essere oggettivi sul sesso, ma non sull’amore
P. Il pensiero dovrebbe restare una parte del tutto, ma invece si diffonde e interferisce col resto. Affetta tutto e ne fa tanti pezzi.
F. Non ti capisco.
P. Be’, il primo taglio è tra la cosa oggettiva e il resto. E poi dentro la creatura che è costruita sul modello di intelletto, linguaggio e strumenti, è naturale che si sviluppi la finalità. Gli strumenti servono a certi fini, e tutto ciò che blocca la finalità è un impaccio. Il mondo della creatura oggettiva si divide in cose ‘utili’ e in cose nocive –
F. Sì, questo lo capisco.
P. Bene. Poi la creatura applica questa divisione al mondo dell’intera persona e l’ «utile» e il «nocivo» diventano il Bene e il Male, e con ciò il mondo è diviso tra Dio e il serpente. E poi, via via, si susseguono altre divisioni, perché l’intelletto continuamente classifica e ripartisce le cose.
F. Moltiplicando i principi esplicativi oltre il necessario?
P. Esatto.
F. Così è inevitabile che quando la creatura oggettiva guarda gli animali, divida le cose e renda gli animali simili a esseri umani dopo che l’intelletto ne abbia invaso l’anima.
P. Precisamente. È una specie di antropomorfismo inumano.
F. E questo è il motivo per cui le persone oggettive studiano tutti i piccoli folletti invece che le cose grandi?
P. Sì. Si chiama psicologia S-R. È facile essere oggettivi sul sesso, ma non sull’amore.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 89

I valori di un balinese
A Bali l’attività, piuttosto che essere finalizzata, cioè diretta verso qualche scopo futuro, è apprezzata di per sé. L’artista, il danzatore, il musicista e il prete a volte ricevono un compenso pecuniario per la loro attività professionale, ma solo raramente questo compenso è sufficiente a ripagare anche solo il tempo e i materiali impiegati dall’artista. Il compenso è un segno di apprezzamento, è una definizione del contesto in cui recita la compagnia teatrale, ma non è il suo sostegno economico. I guadagni della compagnia sono ad esempio messi da parte per comperare nuovi costumi, ma, al momento dell’acquisto, per mettere insieme la somma necessaria ogni membro deve di solito contribuire notevolmente al fondo comune. Analogamente, per quanto concerne le offerte che vengono portate al tempio in ogni festa non c’è alcun fine in questo enorme dispendio di lavoro artistico e di ricchezze materiali: il dio non concederà alcuna grazia per la bella ghirlanda di fiori e frutti che il fedele ha intrecciato per la ricorrenza annuale nel suo tempio, né si vendicherà delle omissioni. In luogo di uno scopo futuro, vi è una soddisfazione immediata e immanente nel compiere armoniosamente e con grazia, insieme con tutti gli altri, ciò che è giusto compiere in ogni contesto particolare.
In genere è evidente la soddisfazione provata nell’eseguire le cose alacremente e con gran concorso d’altra gente. D’altra parte l’essere espulsi dal gruppo è una tale sventura, che la minaccia di questa espulsione è una delle sanzioni più gravi nell’ambito della cultura.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 148
L’atteggiamento balinese potrebbe essere descritto come una abitudine a sequenze meccaniche ispirate da una costante sensazione di pericolo imminente sia pure indefinito, mentre il nostro potrebbe essere descritto, in termini analoghi, come una abitudine a sequenze meccaniche ispirate da una costante eccitazione per una imminente, sia pure indefinita, ricompensa…
Per quanto riguarda la componente di ricompensa, ritengo che non si tratti di un problema al di fuori della nostra portata. Se il balinese può essere mantenuto occupato e felice da una paura senza nome e senza forma, fuori dello spazio e del tempo, noi potremmo bene essere tenuti all’erta da una speranza di enormi raggiungimenti senza nome, forma e luogo. Perché una tale speranza sia efficace non è certo necessario che il suo oggetto sia chiaramente definito. È solo necessario essere sicuri che ad ogni momento il successo può trovarsi appena svoltato l’angolo e, vero o falso che sia, questo non potrà mai essere deciso. Ci incombe di diventare come quei pochi scienziati e artisti che lavorano sotto la spinta di questa urgenza ispiratrice, l’urgenza che nasce dal sentire che la grande scoperta, la risposta a tutti i nostri problemi, oppure la grande creazione, il sonetto perfetto, sono sempre appena fuori della nostra portata, o come una madre che sente che c’è vera speranza, purché vi si impegni costantemente, che il suo bambino diventi quel fenomeno infinitamente raro: una persona felice e grande.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 214

Stile e significato
Voglio occuparmi di quale importante informazione psichica si trovi nell’oggetto artistico a prescindere da ciò che esso possa ‘rappresentare’. È il fatto di rappresentare che è in sé significativo. I cavalli e i cervi estremamente realistici di Altamira non concernono certo le stesse premesse culturali che i neri contorni assai stilizzati di un periodo successivo. Il codice tramite il quale gli oggetti o le persone (o gli enti soprannaturali) percepiti sono trasformati in legno o in colori, è una sorgente d’informazione sull’artista e la sua cultura.
Sono proprio le regole della trasformazione che m’interessano: non il messaggio, ma il codice.
La mia indagine, dunque, non è sul significato del messaggio, quanto piuttosto sul significato del codice scelto. Ma ancora dev’essere definito questo vocabolo estremamente labile, ‘significato’.
Converrà, per cominciare, definire il significato nel modo più generale possibile.
‘Significato’ può essere considerato come un sinonimo approssimativo di struttura, ridondanza, informazione e ‘restrizione’, entro un paradigma del tipo seguente:
Si dirà che un qualunque aggregato di eventi od oggetti (ad esempio una successione di fonemi, un quadro, o una rana, o una cultura) contiene ‘ridondanza’ o ‘struttura’, se l’aggregato può essere diviso in qualche modo mediante un ‘segno di cesura’ talché un osservatore, il quale veda soltanto ciò che sta da una parte della cesura, possa congetturare, con esito migliore del puro caso, ciò che si trova dall’altra parte. Si può dire che ciò che sta da una parte della cesura contiene informazione o ha significato relativamente a ciò che sta dall’altra parte; ovvero, come dicono gl’ingegneri, che l’aggregato contiene ‘ridondanza’; o, ancora, dal punto di vista di un osservatore cibernetico, che l’informazione contenuta da una banda della cesura restringerà le previsioni errate, cioè ne ridurrà la probabilità.
Esempi:
Da un albero visibile sopra il suolo è possibile pronosticare l’esistenza di radici sotterranee: la cima fornisce informazione sull’estremità opposta.
Da come il capufficio si è comportato ieri, è pronosticabile come si comporterà oggi.
L’essenza e la raison d’étre della comunicazione è la creazione di ridondanza, di significato, di struttura, prevedibilità, informazione e la riduzione della componente casuale mediante ‘restrizioni’.
Ritengo che sia d’importanza fondamentale possedere un sistema concettuale che ci costringa a vedere il ‘messaggio’ (p. es. l’oggetto artistico) sia come in sé internamente strutturato, sia come parte esso stesso di un più vasto universo strutturato: la cultura o qualche sua parte.
Si ritiene che le caratteristiche delle opere d’arte si riferiscano a altre caratteristiche dei sistemi culturali o psicologici, o parzialmente ne derivino, o ne siano determinate. Il nostro problema potrebbe quindi essere rappresentato in modo molto schematico mediante il seguente diagramma:
[Caratteristiche dell’opera d’arte / Caratteristiche del resto della cultura]
ove le parentesi quadre racchiudono l’universo di pertinenza e la barra obliqua rappresenta una cesura attraverso la quale è possibile qualche previsfone, in una o in tutte e due le direzioni. Il problema è allora quello di specificare quali tipi di relazioni, corrispondenze, ecc., attraversano o trascendono questa barra obliqua.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 164

La coscienza deve essere sempre limitata
La coscienza, per ovvie ragioni meccaniche, dev’essere sempre limitata a una frazione piuttosto ridotta del processo mentale. Se è davvero utile, dev’essere perciò lesinata. La non-coscienza associata all’abitudine è un’economia sia di pensiero che di coscienza: e lo stesso vale per l’inaccessibilità del processo di percezione. L’organismo conscio non ha bisogno (ai fini pragmatici) di sapere come percepisce, ma solo di sapere che cosa percepisce.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 170
La relazione mappa-territorio
Un problema collegato a questo nell’evoluzione della comunicazione riguarda l’origine di ciò che Korzybski ha chiamato la relazione mappa-territorio: il fatto che un messaggio, di qualunque genere, non consiste degli oggetti che esso denota («La parola ‘gatto’ non ci può graffiare»). Il linguaggio, piuttosto, sta con gli oggetti che denota in una relazione paragonabile a quella esistente tra la mappa e il territorio. La comunicazione enunciativa, così come si presenta a livello umano, è possibile solo in seguito allo sviluppo di un insieme complesso di regole metalinguistiche (ma non verbalizzate) che governano le relazioni tra parole e proposizioni da una parte e oggetti ed eventi dall’altra.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 220

Le regole durante la psicoterapia
La dipendenza della psicoterapia dai modi in cui sono trattati gli inquadramenti segue dal fatto che la terapia è un tentativo di mutare le abitudini metacomunicative del paziente. Prima della terapia, il paziente pensa e agisce in base a un insieme di regole per la costruzione e la comprensione dei messaggi; dopo una terapia riuscita, il paziente opera in base a un diverso insieme di regole. (In generale, regole di questo tipo non vengono verbalizzate e restano inconscie, sia prima sia dopo). Ne segue che, nello svolgimento della terapia, dev’essersi svolta comunicazione a un livello meta rispetto a queste regole; dev’essersi svolta comunicazione su un cambiamento delle regole.
Ma una siffatta comunicazione relativa al cambiamento non potrebbe in alcun modo verificarsi mediante messaggi del tipo permesso dalle regole metacomunicative del paziente, così com’erano prima o come sono dopo la terapia.
È stata avanzata, sopra, l’ipotesi che i paradossi del gioco siano caratteristici di una fase evolutiva; qui avanziamo l’ipotesi che paradossi simili siano un ingrediente necessario di quel processo di cambiamento che chiamiamo psicoterapia.
In effetti la somiglianza tra il processo terapeutico e il fenomeno del gioco è profonda: ambedue avvengono all’interno di una cornice psicologica limitata, limite spazio-temporale di una classe di messaggi interattivi; tanto nel gioco quanto nella terapia i messaggi stanno in una relazione speciale e peculiare con una realtà più concreta o basilare. Proprio come lo pseudo-combattimento del gioco non è combattimento reale, così lo pseudo-amore e lo pseudo-odio della terapia non sono amore e odio reali. Il « transfert è distinto dall’amore e dall’odio reali da segnali che si richiamano alla cornice psicologica, e in effetti è quest’inquadramento che permette al transfert di raggiungere la sua piena intensità e di essere discusso tra paziente e terapeuta.
Le caratteristiche formali della vicenda terapeutica possono essere illustrate mediante la costruzione di un modello in più fasi. Immaginiamo dapprima due giocatori che iniziano una partita a canasta secondo un normale insieme di regole. Finché queste regole vigono e non sono contestate dai due giocatori, il gioco non muta, cioè non interviene alcun cambiamento terapeutico. (In effetti molti tentativi terapeutici falliscono per questo motivo). Possiamo immaginare, tuttavia, che a un certo punto i due giocatori di canasta smettano di giocare e intavolino una discussione sulle regole. Il loro discorso è ora di un tipo logico diverso da quello del loro gioco; possiamo immaginare che, alla fine della discussione, essi si rimettano a giocare, ma con regole diverse.
Questa successione di eventi, tuttavia, è ancora un modello imperfetto dell’interazione terapeutica, per quanto illustri il nostro convincimento che la terapia implichi di necessità una combinazione di tipi logici di discorso tra loro diversi. I nostri giocatori immaginari hanno evitato il paradosso separando la discussione sulle regole dal gioco; ed è proprio questa separazione che è impossibile in psicoterapia. A nostro modo di vedere, la vicenda psicoterapica è un’interazione incorniciata tra due persone, in cui le regole sono implicite, ma suscettibili di cambiamento. Un tale cambiamento può essere proposto solo da un’azione sperimentale, ma una qualunque azione siffatta, in cui sia implicita una proposta di cambiamento delle regole, è essa stessa parte del gioco che si sta svolgendo. È da questa combinazione di tipi logici all’interno del singolo atto significativo che la terapia assume il carattere non di un gioco rigido com’è la canasta, ma al contrario di un sistema d’interazione che si evolve. Il gioco dei gattini o delle lontre ha questo carattere.
Attraverso il procedimento dell’interpretazione, il nevrotico è condotto a inserire la clausola ‘come se’ nelle produzioni del suo processo primario, produzioni che egli aveva prima riprovato o represso. Il paziente deve imparare che la fantasia contiene verità…
…Riteniamo, viceversa, che i paradossi dell’astrazione debbano intervenire in tutte le comunicazioni più complesse di quelle dei segnali di umore, e che senza questi paradossi l’evoluzione della comunicazione si arresterebbe. La vita sarebbe allora uno scambio senza fine di messaggi stilizzati, un gioco con regole rigide e senza la consolazione del cambiamento o dell’umorismo.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 236

EFFETTI DEL DOPPIO VINCOLO
Nel buddismo Zen si persegue lo scopo di raggiungere l’illuminazione, che il maestro Zen tenta in vari modi di indurre nel suo discepolo. Ad esempio, il maestro alza un bastone sulla testa del discepolo, e gli dice con tono minaccioso: Se tu dici che questo bastone è reale, ti colpisco. Se tu dici che questo bastone non è reale, ti colpisco. Se non dici nulla, ti colpisco ». A noi sembra che lo schizofrenico si trovi continuamente nella stessa situazione del discepolo, ma invece di raggiungere l’illuminazione, egli raggiunge piuttosto qualcosa di simile al disorientamento. Il discepolo Zen potrebbe anche stendere il braccio e strappare il bastone al maestro (il quale potrebbe accettare questa risposta), ma allo schizofrenico questa scelta è preclusa, poiché per lui il rapporto con la madre è importante, e inoltre gli scopi e la consapevolezza della madre non assomigliano a quelli del maestro.
Noi avanziamo l’ipotesi che, ogni volta che un individuo si trova in una situazione di doppio vincolo, la sua capacità di discriminazione fra tipi logici subisca un collasso. Le caratteristiche generali di questa situazione sono le seguenti:
1. L’individuo è coinvolto in un rapporto intenso, cioè un rapporto in cui egli sente che è d’importanza vitale saper distinguere con precisione il genere del messaggio che gli viene comunicato, in modo da poter rispondere in modo appropriato.
2. E, inoltre, l’individuo si trova prigioniero di una situazione in cui l’altra persona che partecipa al rapporto emette allo stesso tempo messaggi di due ordini, uno dei quali nega l’altro.
3. E, infine, l’individuo è incapace di analizzare i messaggi che vengono emessi, al fine di migliorare la sua capacità di discriminare a quale ordine di messaggio debba rispondere; cioè egli non è in grado di produrre un enunciato metacomunicativo.
Abbiamo avanzato l’ipotesi che questo sia il genere di situazione esistente tra il pre-schizofrenico e sua madre; tuttavia è una situazione che si presenta anche nei rapporti normali. Quando una persona resta intrappolata in una situazione di doppio vincolo, avrà reazioni di tipo difensivo, simili a quelle dello schizofrenico. Un individuo prenderà per letterale un’asserzione metaforica, qualora si trovi in una situazione che lo costringe a rispondere, quando si trovi di fronte a messaggi contraddittori e quando non sia in grado di analizzare le contraddizioni. Ad esempio, un giorno un impiegato se ne andò a casa durante l’orario d’ufficio, e a un amico che gli aveva telefonato, chiedendogli in tono scherzoso: “Be’, che stai facendo li?” rispose: “Sto parlando con te”. La risposta fu letterale, perché l’impiegato si trovava di fronte a un messaggio con cui gli si chiedeva che cosa facesse a casa quando si sarebbe dovuto trovare in ufficio, ma che allo stesso tempo negava questa domanda per il modo in cui era formulato (poiché il collega capiva che in fondo non erano affari suoi, aveva parlato metaforicamente). Il rapporto era abbastanza intenso da rendere la vittima incerta sul modo in cui l’informazione sarebbe stata usata, e perciò la risposta fu letterale. Ciò rappresenta una caratteristica di chiunque si senta al centro dell’attenzione, come dimostrano le risposte accuratamente letterali dei testimoni interrogati in tribunale; lo schizofrenico si sente sempre così acutamente esposto all’attenzione altrui, da dare abitualmente risposte letterali, con insistenza difensiva, quando ciò è affatto fuori posto, per esempio quando qualcuno sta scherzando.
Inoltre gli schizofrenici confondono il letterale e il metaforico nei loro stessi messaggi, qualora si sentano presi in un doppio vincolo. Ad esempio, un paziente può desiderare di criticare il medico, che è giunto tardi a un appuntamento, ma allo stesso tempo può avere dei dubbi sul significato di questo ritardo, specialmente se il medico ha prevenuto la reazione del paziente e si è scusato per l’accaduto. Il paziente non può dire: “Perché questo ritardo? Forse perché oggi non voleva vedermi?”, poiché questa sarebbe un’accusa; e quindi ricorre a un enunciato metaforico. Allora, magari, dice: “Conoscevo un tizio che un giorno perse il battello; si chiamava Sam, e il battello quasi affondò…, ecc. “. Così egli elabora un racconto metaforico, in cui il medico può cogliere oppure no un commento sul suo ritardo. La comodità di usare una metafora è che si lascia al medico (o alla madre) la decisione di vedere nell’enunciato un’accusa, oppure di ignorarla.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 253

Doppio vincolo e innovazioni nella tecnica terapeutica
La comprensione del doppio vincolo e dei suoi aspetti comunicativi può condurre a innovazioni nella tecnica terapeutica. È difficile dire in che cosa potrebbero consistere tali innovazioni, ma, sulla base della nostra indagine, riteniamo che situazioni di doppio vincolo si presentino continuamente in psicoterapia. A volte esse sono inavvertite, nel senso che lo psichiatra impone una situazione di doppio vincolo simile a quella già esistente nella storia del paziente, o è il paziente che impone una situazione di doppio vincolo allo psichiatra. In altri casi sembra che i medici creino, deliberatamente o d’intuito, doppi vincoli, che costringono il paziente a reagire in modo diverso che per il passato.
Un episodio che accadde a una valente psichiatra illustra come si possa comprendere intuitivamente una sequenza comunicativa di doppio vincolo. La dottoressa Frieda Fromm-Reichmann curava una ragazza che fin dall’età di sette anni si era costruita una sua religione, pullulante di potenti dèi. Era profondamente schizofrenica e assai riluttante ad abbandonarsi alla terapia; all’inizio della cura la paziente disse: « Il dio R dice che io non devo parlare con lei »; la Fromm-Reichmann replicò: i Senti, mettiamo nero su bianco. Per me il dio R non esiste, anzi, tutto il tuo mondo non esiste. Per te invece esiste, e lungi da me l’idea di potertene allontanare; non me lo sogno nemmeno. Perciò io ti parlerò in termini di quel mondo solo se tu capirai che lo faccio allo scopo di mettere bene in chiaro che per me non esiste. Ora va’ dal dio R e digli che noi due dobbiamo parlarci, e che ti dia il permesso. Digli anche che io sono un medico e che tu sei vissuta con lui nel suo regno dai sette ai sedici anni, cioè per nove anni, e che lui non ti ha dato nessun aiuto. Quindi ora deve lasciare che provi io, per vedere se tu e io insieme riusciamo a farcela. Digli che io sono un medico e che questo è ciò che voglio tentare).
La psichiatra ha posto la sua paziente in un i doppio vincolo terapeutico). Se la sua paziente comincia a dubitare della sua fede nel dio, allora comincia anche a trovarsi d’accordo con la dottoressa e ammette di essersi impegnata nella terapia. Se viceversa insiste nell’affermare la realtà del dio R, allora è obbligata a dirgli che la dottoressa è ‘più potente’ di lui, e, anche per questa via, ammette il suo impegno con la terapeuta.
La differenza tra il doppio vincolo terapeutico e quello originale consiste in parte nel fatto che lo psichiatra non è personalmente impegnato in una battaglia d’importanza vitale, e pertanto può costruire dei doppi vincoli relativamente benigni e aiutare pian piano il paziente a liberarsene.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 275

La teoria del doppio vincolo
Non ha senso dire che un uomo è stato spaventato da un leone, perché un leone non è un’idea. Di questo leone l’uomo si costruisce un’idea.
Il mondo esplicativo della sostanza non può richiamarsi né a differenze nè a idee, ma solo a forze e urti; e, viceversa, il mondo della forma e della comunicazione non si richiama a oggetti, forze o urti, ma soltanto a differenze e idee. (Una differenza che genera una differenza è un’idea; è un ‘bit’, cioè un’unità d’informazione).
Ma tutto ciò lo appresi solo in seguito, e fu la teoria del doppio vincolo che mi permise di apprenderlo. A loro volta, ovviamente, queste cose sono implicite nella teoria, la quale senza di esse avrebbe difficilmente potuto essere fondata.
Il nostro lavoro originale sul doppio vincolo contiene numerosi errori, dovuti semplicemente alla mancanza di un esame articolato del problema della reificazione. In quel lavoro un doppio vincolo viene trattato come un ‘qualcosa’, e se ne parla come se questi ‘qualcosa’ potessero essere contati.
Ciò naturalmente non ha senso: non si possono contare i pipistrelli contenuti in una macchia d’inchiostro, dal momento che non ce ne sono; eppure, se uno ha un debole per i pipistrelli, può ‘vederne’ parecchi.
Ma nella mente ci sono doppi vincoli? La domanda non è futile. Così come nella mente non ci sono noci di cocco, ma solo percezioni e trasformate di noci di cocco, allo stesso modo, quando percepisco (consciamente o inconsciamente) un doppio vincolo nel comportamento del mio principale, la mia mente non acquisisce un doppio vincolo, ma solo una percezione o trasformata di doppio vincolo. E questo non è l’oggetto della teoria.
Stiamo piuttosto parlando di certi grovigli nelle regole
preposte alla costruzione delle trasformate e, insieme, dell’acquisizione o conservazione di tali grovigli. La teoria del doppio vincolo afferma che una componente dovuta all’esperienza è presente nella determinazione o eziologia
dei sintomi sia della schizofrenia sia di modelli comportamentali affini, come il comico, l’artistico, il poetico, ecc.
Si osservi che la teoria non distingue tra questi sottogeneri: non viene fornito alcun criterio per decidere se un individuo diventerà un pagliaccio, un poeta, uno schizofrenico o una combinazione di tutto ciò. Non si ha a che fare con una sindrome specifica, ma con una famiglia di sindromi, di cui la maggior parte non sono, tradizionalmente, considerate patologiche.
Per qualificare in generale questa famiglia di sindromi, conierò il termine «transcontestuale».
Sembra che ci sia un tratto in comune fra coloro che sono dotati di qualità transcontestuali e coloro che sono afflitti da confusioni transcontestuali per tutti costoro, sempre o spesso, c’è una ‘sovrimpressione’ una foglia che cade, un amico che saluta, o una ‘primula sulla sponda del fiume’, non sono mai ‘questo e nulla più’. Esperienze esterne possono essere inquadrate nel contesto di un sogno, e, viceversa, pensieri interni possono essere proiettati in contesti del mondo esterno, e così via. È nell’apprendimento e nell’esperienza che cerchiamo una parziale spiegazione di tutto ciò.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 295

Apprendiamo ad apprendere
Tutti i sistemi biologici (organismi e organizzazioni sociali o ecologiche di organismi) sono suscettibili di cambiamenti adattativi che assumono molte forme (risposta, apprendimento, successione ecologica, evoluzione biologica, evoluzione culturale, ecc.), secondo le dimensioni e la complessità del sistema considerato.
Qualunque sia il sistema, tuttavia, i cambiamenti adattativi dipendono da anelli di reazione, siano essi quelli della selezione naturale o quelli del rinforzo individuale; di conseguenza il sistema deve sempre adottare un procedimento per tentativi ed errori e impiegare un meccanismo di confronto.
Ma il procedimento per tentativi ed errori implica sempre degli errori, i quali rappresentano sempre, dal punto di vista biologico o psichico, un costo. La conseguenza è che i cambiamenti adattativi devono essere sempre gerarchici.
C’è bisogno dunque non solo di quel cambiamento del primo ordine che soddisfa la richiesta ambientale (o fisiologica) immediata, ma anche di cambiamenti del secondo ordine, i quali ridurranno la quantità dei tentativi necessari per portare a compimento il cambiamento del primo ordine, ecc. Mediante la sovrapposizione e l’interconnessione di molti anelli di reazione, noi (e come noi tutti gli altri sistemi biologici) non solo risolviamo problemi specifici, ma ci formiamo abitudini che applichiamo alla soluzione di classi di problemi. Ci comportiamo come se un’intera classe di problemi potesse essere risolta sulla base di ipotesi e premesse meno numerose dei problemi della classe; in altre parole noi (organismi) apprendiamo ad apprendere, o, con termine più tecnico, deutero-apprendiamo.
Il risparmio sta proprio nel non riesaminare o riscoprire le premesse di un’abitudine
Ma le abitudini, com’è noto, sono rigide, e questa loro rigidità è una conseguenza inevitabile della posizione che esse occupano nella gerarchia dell’adattamento. Il risparmio, in termini di tentativi ripetuti, che ci procura il formarsi di abitudini è possibile proprio perché esse sono programmate in modo relativamente rigido: il risparmio sta proprio nel non riesaminare o riscoprire le premesse di un’abitudine ogni volta che di tale abitudine ci serviamo. Si può dire che queste premesse sono in parte ‘inconscie’, oppure, se si vuole, che si è presa l’abitudine di non esaminarle. È importante osservare, inoltre, che le premesse dell’abitudine sono, quasi di necessità, astratte. Ogni problema è, in qualche misura, diverso da ogni altro, e quindi la sua descrizione o la sua rappresentazione della mente conterrà proposizioni uniche. Sarebbe evidentemente errato abbassare queste proposizioni uniche al livello di premesse delle abitudini, dal momento che un’abitudine può essere applicata con successo solo a proposizioni aventi un grado di verità generale o ripetitivo, e di solito queste ultime proposizioni sono a un livello di astrazione relativamente elevato.’
Ora, le proposizioni particolari che io ritengo importanti nella determinazione delle sindromi transcontestuali sono quelle astrazioni formali che descrivono e determinano un rapporto interpersonale.
Ho detto « descrivono e determinano », ma anche questo non è esatto; sarebbe meglio dire che il rapporto è lo scambio di questi messaggi, ovvero che il rapporto è immanente in questi messaggi.
Di solito gli psicologi parlano come se le astrazioni di certi rapporti (‘ dipendenza, ‘ ostilità ‘, ‘ amore’, ecc.) fossero oggetti reali da dover descrivere o ‘esprimere’ mediante messaggi. Ma questa è epistemologia all’incontrario: in verità, sono i messaggi che costituiscono il rapporto, e termini come ‘dipendenza’ sono descrizioni verbalmente codificate di strutture immanenti nella combinazione dei messaggi scambiati.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 301

Nel rapporto terapeutico il medico può tentare una o più delle mosse
Nell’ambito controllato e protetto del rapporto terapeutico, il medico può tentare una o più delle seguenti mosse:
a) può eseguire un confronto tra le premesse del paziente e quelle del medico, il quale sarà scrupolosamente allenato a non cadere nella trappola di convalidare le vecchie premesse;
b) può far si che il paziente agisca, nel gabinetto medico o fuori, in maniere che chiamino direttamente in causa le proprie premesse;
c) può dimostrare l’esistenza di contraddizioni fra le premesse che in quel momento reggono il comportamento del paziente;
d) può indurre nel paziente qualche esagerazione o caricatura (per esempio nel sogno o nell’ipnosi) di esperienze basate sulle sue vecchie premesse.
Come notò William Blake molto tempo fa: « Senza Contrari non vi è progresso». (Altrove ho chiamato i doppi vincoli » queste contraddizioni al livello 2).
Ma vi sono sempre scappatoie che permettono di ridurre l’effetto d’urto delle contraddizioni.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 331

LA PAROLA NON SOSTITUISCE I GESTI
Quando l’esecuzione di una data funzione è affidata a qualche metodo nuovo e più efficace, il vecchio metodo va in disuso e decade. La tecnica di fabbricare armi lavorando la selce decadde quando vennero in uso i metalli.
Questo decadimento di organi e abilità per effetto della sostituzione evolutiva è un fenomeno sistemico necessario e inevitabile. Se, dunque, il linguaggio verbale fosse in un qualche senso un sostituto evolutivo della comunicazione cinetica e paralinguistica, ci si dovrebbe aspettare che i vecchi sistemi prevalentemente iconici fossero notevolmente decaduti. Ma evidentemente non è stato così. Al contrario, la cinetica dell’uomo è diventata più ricca e complessa, e il paralinguaggio è riccamente fiorito parallelamente all’evoluzione del linguaggio verbale. Tanto la comunicazione cinetica quanto il paralinguaggio sono stati elaborati in complesse forme artistiche, musicali, poetiche, di danza e via dicendo, e, anche nella vita quotidiana, le sottigliezze della comunicazione cinetica umana, della mimica facciale e dell’intonazione vocale superano di gran lunga tutto ciò che, per quanto se ne sa. possa fare qualunque altro animale. Il sogno dei logici, cioè che gli uomini debbano comunicare tra loro soltanto per mezzo di segnali discreti non ambigui, non si è avverato e probabilmente non si avvererà.
Avanzo l’ipotesi che questa fiorente evoluzione della cinetica e del paralinguaggio separata ma parallela a quella del linguaggio verbale indichi che la nostra comunicazione iconica provvede a funzioni del tutto diverse da quelle del linguaggio, e, di fatto, svolge funzioni che il linguaggio verbale non è adatto a svolgere.
Quando un giovane dice a una ragazza: « Ti amo », egli impiega delle parole per esprimere ciò che, in modo più convincente, è espresso dal tono della sua voce e dai suoi movimenti; e la ragazza, se ha un briciolo di buon senso, presterà più attenzione a quei segni accompagnatori che alle parole. Vi sono persone — attori professionisti, imbroglioni, e altri — capaci di usare la mimica e la comunicazione paralinguistica con un grado di controllo volontario paragonabile al controllo volontario che tutti noi riteniamo di possedere sull’impiego delle parole. Per queste persone, che possono mentire con la cinetica, la particolare utilità della comunicazione non verbale è ridotta. Per loro è un po’ più difficile essere sinceri, e ancora più difficile esser creduti sinceri. Essi sono intrappolati in un processo di restituzioni decrescenti, tale che, quando non sono creduti, cercano di aumentare la loro abilità nella simulazione della sincerità paralinguistica e cinetica. Sennonché è stata proprio quest’abilità che ha portato gli altri a diffidare di loro.
A quanto sembra, il discorso della comunicazione non verbale riguarda precisamente questioni di relazione
— amore, odio, rispetto, timore, dipendenza, ecc. — tra l’io e un interlocutore, o tra l’io e l’ambiente, e la natura della società umana è tale che la falsificazione di questo discorso fa rapidamente insorgere patologie. Dal punto di vista dell’adattamento, è quindi importante che tale discorso venga svolto mediante tecniche relativamente inconscie e solo parzialmente soggette a controllo volontario. Nel linguaggio della neurofisiologia, i controlli di questo discorso debbono essere posti nel cervello in appendice ai controlli del linguaggio vero e proprio.
Se questa visione generale del problema è corretta, ne segue che la traduzione in parole di messaggi cinetici o paralinguistici introdurrà probabilmente una grossolana falsificazione dovuta sia all’umana propensione a tentare di falsificare le asserzioni relative ai ‘sentimenti’ e alle relazioni, sia alle distorsioni che insorgono quando i prodotti di un sistema di codificazione sono notomizzati in base alle premesse di un altro, sia — e in particolar modo —al fatto che tutte le traduzioni di questo tipo debbono dare al messaggio iconico, più o meno inconscio e involontano, l’aspetto di un’intenzione conscia.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 423

La natura cibernetica dell’io e del mondo tende a essere non percepita dalla coscienza
14. Si avanza l’ipotesi che la natura specifica di questa distorsione sia tale che la natura cibernetica dell’io e del mondo tenda a essere non percepita dalla coscienza, in quanto i contenuti dello ‘schermo’ della coscienza sono determinati da considerazioni di finalità. La formulazione della finalità tende ad assumere la forma seguente: « D è desiderabile; B conduce a C; C conduce a D; quindi D può essere raggiunto tramite B e C ». Ma se la mente complessiva e il mondo esterno non posseggono in generale questa struttura rettilinea, allora imponendo loro a forza questa struttura, ci impediamo di scorgere le circolarità cibernetiche dell’io e del mondo esterno. Il nostro campionamento cosciente di dati non ci paleserà circuiti completi, ma solo archi di circuiti, rescissi dalla loro matrice grazie alla nostra attenzione selettiva. In particolare il tentativo di indurre un cambiamento in una data variabile, situata o nell’io o nell’ambiente, sarà probabilmente intrapreso senza comprendere la rete omeostatica che circonda quella variabile. Le considerazioni tratteggiate nei paragrafi dall’1 al 7 di questo saggio saranno in quell’occasione ignorate. Può darsi che per la saggezza sia essenziale correggere in qualche modo le ristrette visioni finalistiche.
15. La funzione della coscienza nell’accoppiamento tra l’uomo e i sistemi omeostatici che lo circondano, non è, ovviamente, un fenomeno nuovo. Tuttavia tre circostanze rendono urgente un’indagine di questo fenomeno.
16. In primo luogo, il costume proprio dell’uomo di cambiare il suo ambiente piuttosto che se stesso.

L’uomo, il modificatore di ambiente per eccellenza, crea analogamente ecosistemi a specie singola nelle sue città, ma va oltre, stabilendo ambienti speciali per i suoi simbionti. Questi ambienti, a loro volta, divengono ecosistemi a specie singola: campi di grano, colture di batteri, allevamenti di polli, colonie di cavie, e cosi via.
17. L’uomo cosciente, in quanto modificatore del suo ambiente, è ora pienamente in grado di devastare se stesso e quell’ambiente… con le migliori intenzioni coscienti.
18. In terzo luogo, negli ultimi cent’anni si è manifestato un curioso fenomeno sociologico che forse minaccia di isolare la finalità cosciente da molti processi correttivi che potrebbero scaturire da parti meno coscienti della mente. Il quadro sociale è oggi caratterizzato dall’esistenza di un gran numero di entità auto-massimizzanti che, dal punto di vista giuridico, hanno piùo meno lo stato di persone ‘ (trusts, società, partiti politici, sindacati, compagnie commerciali e finanziarie, nazioni, e simili). Nella realtà biologica, queste entità non sono affatto persone e non sono neppure aggregati di persone intiere: sono aggregati di parti di persone. Quando il signor Rossi entra nella sala del consiglio della sua società, egli deve limitare strettamente il suo pensiero ai fini specifici della società o a quelli di quella parte della società che egli ‘rappresenta’. Per fortuna non gli è del tutto possibile far ciò e alcune decisioni della società sono influenzate da considerazioni che scaturiscono da parti più ampie e più sagge della mente. Ma, idealmente, il signor Rossi dovrebbe agire come una coscienza pura, senza correttivi: una creatura disumanizzata.
19. È opportuno ricordare infine alcuni dei fattori che possono fungere da correttivi. Di questi, senza dubbio, il più importante è l’amore. Martin Buber ha classificato i rapporti interpersonali in modo interessante. Egli distingue i rapporti ‘io-tu’ da quelli ‘io-esso’, che sono i modelli d’interazione normale tra l’uomo e gli oggetti inanimati. Egli riguarda la relazione ‘io-esso’ anche come caratteristica di quei rapporti umani in cui il fine è più importante dell’amore. Ma se la complessa struttura cibernetica della società e degli ecosistemi partecipasse in qualche misura di caratteristiche vitali, ne seguirebbe che sarebbe concepibile una relazione ‘io-tu’ fra l’uomo e la sua società. A questo proposito è interessante la formazione di ‘gruppi di sensibilità’ in molte organizzazioni spersonalizzate.
b) Le arti figurative, la poesia, la musica, le lettere, analogamente, sono campi in cui è attiva una porzione della mente maggiore di quanto ammetterebbe la pura coscienza. « Le coeur a ses razsons que la raison ne connait point ».
c) Il contatto tra l’uomo e gli animali e tra l’uomo e la natura nutre forse, talvolta, la saggezza.
d) Vi è la religione.
Forma, sostanza e differenza
L’unità di sopravvivenza è il complesso flessibile organismo-nel-suo-ambiente.
Le differenze sono le cose che vengono riportate sulla mappa.
Ma che cos’è una differenza? Una differenza è un’entità astratta.
Nelle scienze fisiche gli effetti, in generale, sono causati da condizioni o eventi piuttosto concreti: urti, forze e così via. Ma quando si entra nel mondo della comunicazione, dell’organizzazione, eccetera, ci si lascia alle spalle l’intero mondo in cui gli effetti sono prodotti da forze, urti e scambi di energia. Si entra in un mondo in cui gli ‘effetti’ (e non sono sicuro che si debba usare la stessa parola) sono prodotti da differenze. Cioè essi sono prodotti da quel tipo di ‘cosa’ che viene trasferita dal territorio alla mappa. Questa è la differenza.
La differenza si trasferisce dal legno e dalla carta nella mia retina; qui viene rilevata ed elaborata da quella bizzarra macchina calcolatrice che è nella mia testa.
La relazione energetica è interamente diversa. Nel mondo della mente il nulla — ciò che non esiste — può essere una causa. Nelle scienze fisiche noi ricerchiamo le cause, e ci aspettiamo che queste esistano e siano ‘reali’. Ma si rammenti che zero è diverso da uno, e poiché zero è diverso da uno, zero può essere una causa nel mondo della psicologia, nel mondo della comunicazione. Una lettera che non viene scritta può ricevere una risposta incollerita; e un modulo di dichiarazione dei redditi che non viene compilato può indurre a un’energica azione gli impiegati del Fisco, dal momento che anch’essi fanno colazione, pranzo, merenda e cena, e possono reagire con l’energia che traggono dal loro metabolismo. Una lettera mai esistita non può essere fonte di energia.
In effetti ciò che intendiamo per informazione (per unità elementare d’informazione) è una differenza che produce una differenza ed è in grado di produrre una differenza perché i canali neurali, lungo i quali essa viaggia e viene continuamente trasformata, sono anch’essi dotati di energia. Questi canali sono pronti per essere innescati.
Il pleroma e la creatura
C.G. Jung scrisse un libriccino assai curioso intitolato Septem Sermones ad Mortuos, Sette sermoni ai morti. Lo firmò ‘Basilide’, famoso gnostico alessandrino del II secolo.
Egli osserva che vi sono due mondi. Noi potremmo chiamati due mondi esplicativi, lui invece li battezza il pleroma e la creatura, che sono termini gnostici. Il pleroma è il mondo in cui gli eventi sono causati da forze e urti e nel quale non vi sono ‘distinzioni’, o, come direi io, ‘differenze’. Nella creatura, gli effetti sono provocati proprio dalla differenza. In effetti, eccoci davanti la solita vecchia dicotomia tra mente e sostanza.
Possiamo studiare e descrivere il pleroma, ma in ogni caso le distinzioni che tracciamo sono attribuite al pleroma da noi. Il pleroma non sa nulla di differenze e distinzioni; esso non contiene alcuna ‘idea’ nel senso in cui io impiego il termine. Quando studiamo e descriviamo la creatura, dobbiamo identificare in modo corretto le differenze agenti nel suo interno.
Direi che “pleroma” e ”creatura” sono termini che si potrebbero utilmente adottare; quindi mette conto di considerare i ponti che collegano questi due ‘mondi’. Dire che le ‘scienze fisiche’ si occupano solo del pleroma e che le scienze della mente si occupano solo della creatura è un’eccessiva semplificazione. Le cose sono un po’ più complicate.

La creatura è quindi il mondo visto come mente, ogni volta che questa visione sia appropriata. E ogni volta che questa visione è appropriata, interviene una complessità di un tipo che manca nella descrizione pleromatica: la descrizione della creatura è sempre gerarchica.
Ma tra le differenze vi sono differenze. Ogni differenza efficace denota una demarcazione, una linea di classificazione, e tutte le classificazioni sono gerarchiche. In altre parole, le differenze debbono a loro volta esser differenziate e classificate.
Con una di queste classi avete tutti familiarità; precisamente la classe delle differenze che sono create dal processo di trasformazione per il quale le differenze immanenti nel territorio diventano differenze immanenti nella mappa. In un angolo di ogni mappa che si rispetti si troveranno specificate (di solito in parole) queste regole di trasformazione. Entro la mente umana è assolutamente necessario riconoscere le differenze di questa classe, e di fatto sono queste che costituiscono l’argomento principale di «Science and Sanity».
Infine c’è quella gerarchia di differenze che i biologi chiamano « livelli ». Intendo differenze come quella tra una cellula e un tessuto, tra tessuto e organo, organo e organismo, organismo e società.
Queste sono le gerarchie delle unità o Gestalten, in cui ogni subunità è una parte dell’unità successiva di più vasto ambito. E, sempre, in biologia, questa differenza o relazione che chiamo ‘parte di’ è tale che certe differenze nella parte hanno effetto informazionale sull’unità più vasta e viceversa.

Inoltre il significato stesso di ‘sopravvivenza’ subisce un cambiamento quando smettiamo di parlare della sopravvivenza di qualcosa che è limitato dall’epidermide e cominciamo a pensare alla sopravvivenza del sistema di idee nel circuito. Il contenuto dell’epidermide dopo la morte viene ridistribuito casualmente e così pure i canali all’interno dell’epidermide; ma le idee, dopo ulteriori trasformazioni, possono sopravvivere nel mondo sotto forma di libri o di opere d’arte. Socrate come individuo bioenergetico è morto, ma molto di lui continua a vivere nella contemporanea ecologia delle idee.
È anche chiaro che la teologia subisce un mutamento e forse un rinnovamento. Le religioni del Mediterraneo hanno oscillato per cinquemila anni tra immanenza e trascendenza: a Babilonia gli dèi erano entità trascendenti situate sulla cima delle colline; in Egitto la divinità era immanente nel Faraone; e il cristianesimo è una complessa combinazione di queste due credenze.
L’epistemologia cibernetica che vi ho presentato suggenirebbe un’altra impostazione. La mente individuale è immanente, ma non solo nel corpo: essa è immanente anche in canali e messaggi esterni al corpo; e vi è una più vasta Mente di cui la mente individuale è solo un sottosistema. Questa più vasta Mente è paragonabile a Dio, ed è forse ciò che alcuni intendono per ‘Dio’, ma essa è ancora immanente nel sistema sociale totale interconnesso e nell’ecologia planetaria.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 479
Nel momento in cui vi arrogherete tutta la mente, tutto il mondo circostante vi apparirà senza mente
La psicologia freudiana ha dilatato il concetto di mente verso l’interno, fino a includervi l’intero sistema di comunicazione all’interno del corpo (la componente neurovegetativa, quella dell’abitudine, e la vasta gamma dei processi inconsci). Ciò che sto dicendo dilata la mente verso l’esterno. E tutti e due questi cambiamenti riducono l’ambito dell’io conscio. Si rivela opportuna una certa dose di umiltà, temperata dalla dignità o dalla gioia di far parte di qualcosa di assai più grande: parte, se si vuole, di Dio.
Se mettete Dio all’esterno e lo ponete di fronte alla sua creazione, e avete l’idea di essere stati creati a sua immagine, voi vi vedrete logicamente e naturalmente come fuori e contro le cose che vi circondano. E nel momento in cui vi arrogherete tutta la mente, tutto il mondo circostante vi apparirà senza mente e quindi senza diritto a considerazione morale o etica. L’ambiente vi sembrerà da sfruttare a vostro vantaggio. La vostra unità di sopravvivenza sarete voi e la vostra gente o gli individui della vostra specie, in antitesi con l’ambiente formato da altre unità sociali, da altre razze e dagli animali e dalle piante.
Se questa è l’opinione che avete sul vostro rapporto con la natura e se possedete una tecnica progredita, la probabilità che avete di sopravvivere sarà quella di una palla di neve all’inferno. Voi morrete a causa dei sottoprodotti tossici del vostro stesso odio o, semplicemente, per il sovrappopolamento e l’esagerato sfruttamento delle riserve. Le materie prime del mondo sono limitate.
….
Vi sono esperienze e discipline che possono aiutarmi a immaginare che effetto farebbe avere questo corretto abito mentale. Sotto l’effetto dell’LSD ho sperimentato, come molti altri, la scomparsa della distinzione tra l’io e la musica che ascoltavo. Il soggetto percipiente e la cosa percepita vengono stranamente uniti in una sola entità; questo stato è certo più corretto di quello in cui sembra che ‘io ascolto la musica’. Il suono, dopo tutto, è la Ding an sich, ma la mia percezione di esso è una parte della mente.
Per me un altro indizio — un altro momento in cui la natura della mente mi è stata per un attimo chiara — è stato fornito dai famosi esperimenti di Adelbert Ames Jr.. Si tratta di illusioni ottiche nella percezione della profondità. Come la cavia di Ames, voi scoprite che i processi mentali coi quali create il mondo in una prospettiva tridimensionale sono dentro la vostra mente, ma del tutto inconsci e al di là del controllo volontario. Naturalmente noi tutti sappiamo che è così, cioè che la mente crea le Immagini che ‘noi’ vediamo. Eppure l’esperienza diretta di questo fatto che sapevamo da sempre è un profondo trauma epistemologico.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 484

La morte
E da ultimo c’è la morte. È comprensibile che in una civiltà che separa la mente dal corpo, si debba o cercare di dimenticare la morte o costruire mitologie sulla sopravvivenza della mente trascendente. Ma se la mente è immanente non solo nei canali d’informazione ubicati dentro il corpo, ma anche nei canali esterni, allora la morte assume un aspetto diverso. Il ganglio individuale di canali che io chiamo ‘me’ non è più così prezioso perché quel ganglio è solo una parte di una mente più vasta.
Le idee che sembravano essere me possono anche diventare immanenti in voi. Possano esse sopravvivere, se sono vere.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 484

I momenti della storia in cui sono cambiati gli atteggiamenti
Devo parlare di storia recente, come appare a me nella mia generazione e a voi nella vostra.
Vi dirò il mio criterio per l’importanza storica.
I mammiferi in generale, e noi uomini in particolare, si curano moltissimo non degli episodi, ma delle strutture delle loro relazioni. Quando apro lo sportello del frigorifero e il gatto si avvicina emettendo certi suoni, esso non sta parlando del fegato o del latte, anche se so bene che è proprio quello ciò che il gatto vuole. Posso esser capace di indovinare e dargli ciò che desidera (se ce n’è nel frigorifero). Ciò che il gatto dice, in realtà, è qualcosa che riguarda la sua relazione con me. Se esprimessi con parole il suo messaggio, ne risulterebbe qualcosa del tipo: « dipendenza, dipendenza, dipendenza ». In effetti il gatto sta parlando di una struttura piuttosto astratta nell’ambito di una relazione. Da quest’asserzione di una struttura, io dovrei passare dal generale al particolare: dedurre «latte» o « fegato».
Questo punto è fondamentale; questo è ciò che interessa i mammiferi. Essi si curano delle strutture di relazione, della posizione in cui si trovano rispetto agli altri in un rapporto di amore, odio, rispetto, dipendenza, fiducia, e astrazioni analoghe. Questo è il punto ove cadere in errore è doloroso. Se noi ci fidiamo di qualcuno e scopriamo che costui non meritava fiducia; o se diffidiamo di qualcuno e scopriamo che in realtà costui meritava fiducia, ci sentiamo male. Il dolore che può derivare agli uomini e a tutti gli altri mammiferi da questo tipo di errore è grandissimo. Se quindi vogliamo davvero sapere quali siano i punti significativi della storia, dobbiamo chiederci quali sono i momenti della storia in cui sono cambiati gli atteggiamenti. Sono questi i momenti in cui la gente soffre a causa dei ‘valori’ precedenti.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 490

Da Versailles alla cibernetica
Come si giunse a stipulare il Trattato di Versailles
I più, tra voi, probabilmente non sanno come si giunse a stipulare il Trattato di Versailles. La storia è molto semplice: la prima guerra mondiale continuava a trascinarsi; era abbastanza evidente che i tedeschi stavano perdendo. A questo punto George Creel, che si occupava di pubbliche relazioni (e vorrei che non dimenticaste che costui fu uno dei nonni delle moderne pubbliche relazioni) ebbe un’idea: l’idea era che forse i tedeschi si sarebbero arresi se avessimo offerto loro condizioni armistiziali leggere. Egli preparò allora un pacchetto di condizioni leggere, che non contemplavano provvedimenti punitivi. Queste condizioni erano articolate in quattordici punti; ed egli comunicò questi Quattordici Punti al Presidente Wilson. Se avete intenzione di ingannare qualcuno, come latore del messaggio dovete scegliere un uomo onesto; il Presidente Wilson era uomo di onestà quasi patologica e di sentimenti umanitari. Egli sviluppò i punti in un gran numero di discorsi: non dovevano esserci « né annessioni, nè riparazioni di guerra, nè distruzioni punitive…» e così via. E i tedeschi si arresero.
Noi, inglesi e americani (specialmente gli inglesi) continuammo ovviamente a tenere la Germania sotto embargo, perché non volevamo che i tedeschi si ringalluzzissero prima della firma del Trattato; e così, per un altro anno, essi continuarono a patir la fame.
La Conferenza di pace è stata vivacemente descritta da Maynard Keynes in The Economic Consequences of the Peace (1919).
Il Trattato fu finalmente redatto da quattro uomini, Clemenceau, « la Tigre », che voleva schiacciare la Germania, Lloyd George, che riteneva fosse politicamente vantaggioso ottenere dalla Germania molte riparazioni di guerra, e imporle qualche ritorsione; e Wilson, che doveva essere continuamente menato per il naso. Ogni volta che Wilson aveva dei ripensamenti su quei Quattordici Punti, essi lo portavano nei cimiteri di guerra e lo facevano vergognare di non sentirsi in collera coi tedeschi. Chi era l’altro? L’altro era Orlando, un italiano.
Si trattò di una delle più grandi svendite nella storia della nostra civiltà; un evento tra i più straordinari, che portò difilato e inevitabilmente alla seconda guerra mondiale. Portò anche (e questo è forse più interessante che non la prima conseguenza) a uno scadimento morale della politica tedesca. Se voi promettete qualcosa a vostro figlio, e poi vi rimangiate la promessa, inquadrando però tutta la faccenda su un piano etico elevato, la conseguenza sarà non solo che egli sarà in collera con voi, ma che i suoi atteggiamenti morali peggioreranno, in quanto egli sentirà l’ingiustizia della canagliata che gli fate.
Diciamo così: il messaggio ‘Giochiamo a scacchi’ non è una mossa del gioco degli scacchi; è un messaggio in un linguaggio più astratto di quello del gioco che si svolge sulla scacchiera. Il messaggio ‘Facciamo la pace in questi e questi termini’ non è nello stesso sistema etico al quale appartengono gl’inganni e gli stratagemmi della battaglia. Dicono che tutto è lecito in amore e in guerra, e questo può essere vero all’interno dell’amore e della guerra, ma all’esterno e riguardo all’amore e alla guerra, l’etica è un po’ diversa. Per secoli gli uomini hanno giudicato il tradimento durante la tregua o le trattative per la pace peggiore dell’inganno in battaglia. Oggi questo principio etico trova un rigoroso fondamento teorico e scientifico. Ora l’etica può essere esaminata in modo formale, rigoroso, logico, matematico, e così via; e poggia su basi assai diverse dalle prediche e dalle invocazioni. Non è più inevitabile che ciascuno la pensi a suo modo; a volte possiamo distinguere ciò che è giusto da ciò che è errato.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 494

Le caratteristiche della mente
Queste strane relazioni valgono perché noi organismi (e molte delle macchine che costruiamo) ci troviamo a esser capaci d’immagazzinare energia: ci troviamo a possedere la struttura circuitale necessaria a che il nostro consumo di energia possa essere una funzione decrescente dell’energia entrante. Se date un calcio a una pietra, essa si muove con l’energia che ha ricevuto dalla vostra pedata; ma se date un calcio a un cane, esso si muove con l’energia che ricava dal suo metabolismo. Un’ameba, per un tempo considerevole, si muove di più quando è affamata. Il suo consumo di energia è inversamente proporzionale all’energia entrante.
Questi strani effetti propri della creatura (e che non si presentano nel pleroma) dipendono anche dalla struttura circuitale, e un circuito è un canale chiuso (o una rete di canali) lungo il quale vengono trasmesse differenze (o trasformate di differenze).
D’un tratto, negli ultimi vent’anni, questi concetti si sono fusi per darci un’ampia visione del mondo in cui viviamo – un nuovo modo d’intendere ciò che è una mente. Voglio elencare quelle che a me sembrano le caratteristiche essenziali minime di un sistema che io accetterei come caratteristiche della mente:
I. Il sistema agirà su e con differenze.
2. Il sistema consisterà in anelli chiusi o reti di canali lungo i quali verranno trasmesse le differenze e le loro trasformate. (Ciò che viene trasmesso su un neurone non è un impulso, ma la notizia di una differenza).
3. Molti degli eventi interni al sistema riceveranno energia dal componente che risponde piuttosto che dall’effetto del componente innescante.
4. Il sistema si dimostrerà autocorrettivo, nella direzione dell’omeostasi o nella direzione dell’instabilità. L’autocorrezione implica il procedimento per tentativi ed errori.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 502

Non esiste una mente totale separata dal corpo, separata dalla società e separata dalla natura
Non so quanti oggi credano veramente che esista una mente totale separata dal corpo, separata dalla società e separata dalla natura; ma a quelli tra voi che direbbero che si tratta solo di ‘superstizione’, dirò che sono pronto a scommettere che in pochi minuti posso dimostrare loro che le abitudini e i modi di pensare che si accompagnano a quelle superstizioni esistono ancora nella loro testa e ancora determinano una larga parte dei loro pensieri. L’idea che voi potete vedermi regge ancora i vostri pensieri e le vostre azioni anche se intellettualmente voi forse sapete che non è così. Allo stesso modo i più di noi sono ancora guidati da epistemologie che sappiamo errate. Vediamo alcune delle implicazioni di ciò che ho detto.
Guardiamo al modo in cui le nozioni fondamentali sono rinforzate ed espresse in ogni genere di particolari del nostro comportamento. Il fatto stesso che io stia monologando davanti a voi è una norma della nostra sottocultura accademica, ma l’idea che io possa insegnare a voi, unilateralmente, è derivata dalla premessa che la mente controlla il corpo. E ogni volta che uno psicoterapeuta scivola in una terapia unilaterale, egli obbedisce alla stessa premessa. Di fatto, io, stando in piedi davanti a voi, sto compiendo un atto di prevaricazione, rinforzando nella vostra mente un atto di pensiero che in realtà è assurdo. Tutti noi continuamente facciamo questo, perché ciò è insito nei particolari del nostro comportamento. Notate che io sto in piedi, mentre voi state seduti.
Lo stesso ragionamento conduce ovviamente alle teorie del controllo e alle teorie del potere. In quell’universo, se non si ottiene ciò che si vuole, si dà la colpa a qualcuno e si erige una prigione o un manicomio, secondo i gusti, e vi si caccia il colpevole, se si è capaci di identificarlo. Se non si è capaci di identificano, si dice: « È il sistema
Questo è grosso modo il punto a cui sono giunti oggi i nostri giovani, che dànno la colpa al sistema; ma noi sappiamo che non è ai sistemi che si deve dare la colpa: anch’essi fanno parte dello stesso errore.
Poi naturalmente c’è il problema delle armi. Se voi credete in quel mondo unilaterale e pensate che anche gli altri ci credano (e probabilmente avete ragione, ci credono), allora la cosa da fare, ovviamente, è procurarsi delle armi, colpirli duramente e ‘controllarli’.
Si dice che il potere corrompe; ma questo, credo, è assurdo: è l’idea del potere che corrompe. Il potere corrompe più rapidamente quelli che credono in esso, e sono proprio costoro quelli che più ardentemente lo desiderano. Ovviamente il nostro sistema democratico tende a elargire il potere a coloro che lo bramano, e fornisce ogni occasione di evitarlo a coloro che non lo vogliono. Non è una soluzione molto soddisfacente, se il potere corrompe proprio quelli che ci credono e lo vogliono.
Forse il potere unilaterale non esiste: dopo tutto, l’uomo ‘al potere’ dipende dall’informazione che continuamente deve ricevere dall’esterno. Egli reagisce a quell’informazione nella stessa misura in cui ‘fa’ accadere le cose. Per Goebbels non è possibile controllare l’opinione pubblica tedesca, poiché per farlo egli deve avere spie o confidenti o sondaggi d’opinione che gli dicano che cosa pensano i tedeschi; egli deve poi decidere che cosa rispondere a quest’informazione, e poi di nuovo scoprire come essi reagiscono. È un’interazione e non una situazione unidirezionale.
Ma il mito del potere è, naturalmente, un mito potentissimo, e probabilmente la maggior parte delle persone a questo mondo più o meno ci credono. È un mito che, se tutti ci credono, nella stessa misura si auto-convalida. Ma è tuttavia una follia epistemologica e conduce senza scampo a disastri di vario genere.
Infine c’è il problema dell’urgenza: è ora chiaro a molti che immensi pericoli di catastrofe sono germogliati sugli errori epistemologici occidentali. Essi vanno dagli insetticidi all’inquinamento, dalla ricaduta delle scorie radioattive alla possibilità di fusione della calotta antartica. Soprattutto, la nostra incredibile volonfà di salvare la vita dei singoli individui ha creato la possibilità di una carestia mondiale nell’immediato futuro.
Forse abbiamo una possibilità alla pari di superare i prossimi vent’anni senza disastri più gravi della semplice distruzione di una o più nazioni.
Io credo che questa massiccia congerie di minacce all’uomo e ai suoi sistemi ecologici sorga da errori nelle nostre abitudini di pensiero a livelli profondi e in parte inconsci.
Come terapeuti, chiaramente abbiamo un dovere.
Primo, di far luce in noi stessi; e poi di cercare ogni segno di luce negli altri, e di aiutarli e rinforzarli in tutto ciò che di saggio vi sia in loro.
E vi sono oasi di saggezza che ancora sopravvivono nel mondo. Buona parte della filosofia orientale è più saggia di qualunque cosa abbia prodotto l’Occidente, e alcuni degli sforzi confusi dei nostri giovani contengono più saggezza delle convenzioni dell’establishment.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 508

La mente è la struttura che connette
Io mi ero preparato la lezione. Avevo portato due sacchetti di carta: ne aprii uno e ne estrassi un granchio appena cotto che posai sul tavolo. Poi affrontai gli studenti più o meno in questi termini: «Voglio sentire da voi ragioni che mi convincano che questo oggetto è ciò che resta di un essere vivente. Potreste immaginare di essere dei marziani: su Marte avete dimestichezza con gli esseri viventi, dato che voi stessi siete vivi, ma naturalmente non avete mai visto granchi o aragoste. Un meteorite o altro ha portato un certo numero di oggetti come questo, molti ridotti in frammenti: voi dovete esaminarli e arrivare alla conclusione che si tratta dei resti di esseri viventi. Come fareste per arrivarci? ».
Naturalmente, la domanda rivolta agli psichiatri e quella rivolta agli artisti erano la stessa domanda: esiste una specie biologica di entropia?
Entrambe le domande riguardavano l’idea di fondo dell’esistenza di una linea di separazione tra il mondo dei viventi (dove si tracciano distinzioni, e la differenza può essere una causa) e il mondo dei non viventi, il mondo delle palle da biliardo e delle galassie (dove le ‘cause’ degli eventi sono le forze e gli urti). Sono i due mondi che Jung (seguendo gli gnostici) chiama rispettivamente creatura e pleroma. La mia domanda era: qual è la differenza tra il mondo fisico del pleroma, dove le forze e gli urti costituiscono una base esplicativa sufficiente, e la creatura, dove non si può capire nulla senza invocare differenze e distinzioni?
Nella mia vita ho messo la descrizione dei bastoni, delle pietre, delle palle da biliardo e delle galassie in una scatola, il pleroma, e li ho lasciati lì. In un’altra scatola ho messo le cose viventi: i granchi, le persone, i problemi riguardanti la bellezza, quelli riguardanti la differenza. Argomento di questo libro è il contenuto della seconda scatola.
Qualche tempo fa me la sono presa con i difetti dell’istruzione scolastica occidentale. Stavo scrivendo ai miei colleghi del Board of Regents dell’Università della California e nella lettera mi si insinuò questa frase:
« Infrangete la struttura che connette gli elementi di ciò che si apprende e distruggerete necessariamente ogni qualità
Vi offro la locuzione la struttura che connette come sinonimo, come altro possibile titolo di questo libro.
La struttura che connette. Perché le scuole non insegnano quasi nulla su questo argomento? Forse perché gli insegnanti sanno di essere condannati a rendere insipido, a uccidere tutto ciò che toccano e sono quindi saggiamente restii a toccare o insegnare ogni cosa che abbia importanza vera e vitale? Oppure uccidono ciò che toccano proprio perché non hanno il coraggio di insegnare nulla che abbia un’importanza vera e vitale? Dov’è l’errore?
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 21

Riconoscere il vivente
Forse per caso misi davanti a loro quello che era (a mia insaputa) un problema estetico: In che modo siete in relazione con questa creatura? Quale struttura vi collega con essa?
Collocandoli su un pianeta immaginario, «Marte”, li mettevo nell’impossibilità di pensare ad aragoste, amebe, cavoli e così via, e riportavo forzatamente la diagnosi della vita all’identificazione con il proprio io vivente: «Siete voi che portate i segni di riferimento, i criteri che vi permettono di esaminare il granchio e scoprire che esso pure porta gli stessi segni ». La mia domanda era assai più complessa di quanto io non sapessi.
I ragazzi esaminarono il granchio, e la prima cosa che osservarono fu che era simmetrico, cioè che la parte destra somigliava alla sinistra.
« Benissimo. Volete dire che è composto, come un quadro? ». (Silenzio).
Poi osservarono che una chela era più grossa dell’altra: dunque non era simmetrico.
A mo’ di suggerimento, dissi che se con i meteoriti fossero arrivati molti di quegli oggetti, avrebbero scoperto che in quasi tutti gli individui la chela più grossa si trovava dalla stessa parte (destra o sinistra). (Silenzio. «Dove vuole arrivare Bateson? »).
Tornando alla simmetria, uno disse: «Sì, una chela è più grossa dell’altra, ma entrambe sono composte delle stesse parti ».
Ah! Com’è bella e nobile questa osservazione, con che prontezza il ragazzo aveva educatamente gettato nel cestino dei rifiuti l’idea che le dimensioni potessero avere un’importanza primaria o radicale e si era concentrato sulla struttura che connette. Aveva scartato un’asimmetria di dimensioni a favore di una più profonda simmetria di relazioni formali.
Sissignore, ciò che caratterizza (brutta parola) le due chele è proprio il fatto che esse incarnano relazioni simili tra le parti. Mai quantità, sempre contorni, forme e relazioni. Ecco davvero qualcosa che caratterizzava il granchio come appartenente alla creatura, come cosa vivente.
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 23

Tre livelli o tipi logici di proposizioni descrittive
Quando si analizza questa distribuzione di somiglianze formali, si scopre che l’anatomia nei suoi tratti generali presenta tre livelli o tipi logici di proposizioni descrittive:
1. Per ricavare connessioni di primo ordine si devono confrontare le parti di ogni membro della creatura con altre parti dello stesso individuo.
2. Per scoprire relazioni simili tra le parti (ossia per ottenere connessioni di secondo ordine) si devono confrontare i granchi con le aragoste o gli uomini con i cavalli.
3. Per dedurre connessioni di terzo ordine si deve confrontare il confronto tra granchi e aragoste con quello tra uomo e cavallo.
Abbiamo costruito una scala di come si deve pensare a… a che cosa? Ah, già, alla struttura che connette.
La mia tesi fondamentale può essere ora espressa in questi termini: la struttura che connette è una metastruttura. È una struttura di strutture. È questa metastruttura che definisce l’asserzione generale che sono effettivamente le strutture che connettono.
Qualche pagina sopra ho avvertito che avremmo incontrato il vuoto, e difatti eccolo: la mente è vuota; essa è niente, un non-ente. Esiste solo nelle sue idee, che sono anch’esse non-enti. Solo le idee sono immanenti, incarnate nei loro esempi, e gli esempi a loro volta sono non-enti. La chela, come esempio, non è la Ding an sich; per l’appunto non è la «cosa in sé».
È invece ciò che la mente ne fa, cioè un esempio di questa o quella cosa.
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 25

Sezione aurea
Torniamo alla classe di giovani artisti.
Ricorderete che avevo due sacchetti di carta, in uno c’era il granchio, nell’altro una splendida conchiglia. Da quale indizio, chiesi loro, potevano arguire che quella conchiglia a spirale aveva fatto parte di un essere vivente?
Quando aveva circa sette anni, mia figlia Cathy ricevette in regalo un occhio di gatto montato ad anello. Vedendoglielo al dito, le chiesi cos’era, e lei mi rispose che era un occhio di gatto.
Ma che cos’è? insistei.
“Be’, so che non è l’occhio di un gatto. Sarà una pietra.”
“Toglitelo e guarda com’è dietro.” Dissi.
Fece come le avevo detto ed esclamò: «Oh, c’è sopra una spirale! Dev’essere appartenuto a qualcosa di vivo ».
Questi dischi verdastri sono in realtà gli opercoli di una specie di chiocciola dei mari tropicali. Alla fine della seconda guerra mondiale i soldati ne portarono a casa moltissimi dal Pacifico.
La premessa maggiore di Cathy, che tutte le spirali di questo mondo, tranne i gorghi, le galassie e i vortici di vento, sono fatte da esseri viventi, era giusta. Su questo argomento esiste un’ampia bibliografia, che qualche lettore potrebbe avere interesse a consultare (le parole chiave sono serie di Fibonacci e sezione aurea).
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 26

La struttura che connette è una danza di parti interagenti
Il modo giusto per cominciare a pensare alla struttura che connette è di pensarla in primo luogo (qualunque cosa ciò voglia dire) come una danza di parti interagenti e solo in secondo luogo vincolata da limitazioni fisiche di vario genere e dai limiti imposti in modo caratteristico dagli organismi.
È come se la sostanza di cui siamo fatti fosse del tutto trasparente e quindi non percettibile, e come se le uniche apparenze da noi avvertibili fossero le crepe e i piani di frattura di quella matrice trasparente. I sogni, le percezioni e le storie sono forse le crepe e le irregolarità della matrice uniforme e senza tempo.
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 29

Io creo un contesto
Che accade quando, ad esempio, vado da uno psicoanalista freudiano? Entro in qualcosa che anche creo e che chiameremo contesto, delimitato e isolato almeno simbolicamente ‘(come un frammento del mondo delle idee) dalla chiusura della porta. La geografia della stanza e della porta viene usata come rappresentazione di uno strano messaggio non geografico.
Ma io arrivo lì con delle storie: non solo con una riserva di storie da raccontare all’analista, ma con storie che fanno parte del mio stesso essere: le strutture e le sequenze dell’esperienza infantile sono parte integrante di me. Mio padre faceva questo e questo, mia zia faceva così e cosà, e ciò che essi facevano accadeva fuori di me. Ma quali che siano state le cose da me apprese, il mio apprendere si è verificato all’interno della mia sequenza esperienziale di ciò che facevano quelle persone importanti, mia zia e mio padre.
E ora eccomi dall’analista, un’altra persona che diventa ora importante, che deve essere vista come un padre (o forse un anti-padre), poiché nulla ha significato se non è visto in un qualche contesto.
L’analista deve venir stirato o scorciato sul letto di Procruste delle storie d’infanzia del paziente. Ma riferendomi alla psicoanalisi, io ho anche ristretto l’idea di «storia ». Ho avanzato l’ipotesi che essa abbia a che fare con il contesto, concetto cruciale, in parte non definito e quindi da esaminare.
E il «contesto” è legato a un’altra nozione non definita che si chiama «significato ». Prive di contesto, le parole e le azioni non hanno alcun significato.
Che cos’è la proboscide di un elefante? Che cos’è filogeneticamente? Che cosa le ha ordinato di essere la genetica?
Come sapete, la risposta è che la proboscide di un elefante è il suo «naso” (lo sapeva perfino Kipling!). E ho messo «naso” tra virgolette perché la proboscide viene definita da un processo interno di comunicazione nella crescita. La proboscide è un «naso” in virtù di un processo di comunicazione: è il contesto della proboscide che la identifica come naso. Ciò che sta tra due occhi e sopra una bocca è un «naso”, punto e basta. È il contesto che fissa il significato, e dev’essere sicuramente il contesto ricevente a dar significato alle istruzioni genetiche. Quando chiamo questa cosa «naso” e quella «mano”, io cito — magari a sproposito — le istruzioni di sviluppo nell’organismo in crescita, e cito l’interpretazione data a questo messaggio dai tessuti che l’hanno ricevuto.
Alcuni preferirebbero definire i nasi mediante la loro ‘funzione’, l’olfatto. Se però analizziamo queste definizioni arriviamo allo stesso risultato impiegando un contesto temporale in luogo di uno spaziale. All’organo viene dato un significato attribuendogli un determinato ruolo in sequenze di interazione tra la creatura e l’ambiente. Chiamo questo contesto temporale. La classificazione temporale dei contesti interseca la classificazione spaziale; ma in embriologia la prima definizione dev’essere sempre in termini di relazioni formali. La proboscide del feto, in genere, non sente alcun odore. L’embriologia è formale.
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 31

La struttura che connette: ogni comunicazione ha bisogno di un contesto, senza contesto non c’è significato
A scuola si continuano a insegnare sciocchezze: i bambini si sentono dire che il «sostantivo” è un «nome di persona, di luogo o di cosa”, che il «verbo” è« una parola che indica un’azione” e così via. Imparano, cioè, in tenera età che una cosa la si definisce mediante ciò che, si suppone, essa è in sé, e non mediante le sue relazioni con le altre cose.
Quasi tutti noi ricordiamo di aver sentito dire che un sostantivo è «un nome di persona, di luogo o di cosa ». E ricordiamo la noia mortale che ci procurava l’analisi grammaticale e logica delle frasi. Oggi tutto ciò andrebbe cambiato: ai bambini si potrebbe dire che un sostantivo è una parola che sta in una certa relazione con un predicato, che un verbo sta in una certa relazione con un sostantivo, il suo soggetto e così via. Alla base della definizione potrebbe stare la relazione, e allora qualunque bambino sarebbe in grado di capire che nella frase «“Andare” e un verbo» c’è qualcosa che non va.
Ricordo la mia noia quando dovevo analizzare le frasi e la noia, più tardi a Cambridge, di dover studiare l’anatomia comparata. Così come venivano insegnate, erano tutt’e due materie di un’irrealtà straziante. Avrebbero potuto dirci qualcosa sulla struttura che connette: che ogni comunicazione ha bisogno di un contesto, che senza contesto non c’è significato, che i contesti conferiscono significato perché c’è una classificazione dei contesti. L’insegnante avrebbe potuto dimostrare che la crescita e la differenziazione devono essere controllate dalla comunicazione. Le forme degli animali e delle piante sono trasformazioni di messaggi. Il linguaggio è di per sé una forma di comunicazione. La struttura immessa a un’estremità dev’ essere in qualche modo rispecchiata come struttura all’uscita. L’anatomia deve contenere qualcosa di analogo alla grammatica, poiché tutta l’anatomia è una trasformazione di materiale di messaggio, che deve essere conformato in modo contestuale. E infine, conformazione contestuale non è che un sinonimo di grammatica.
Torniamo così alle strutture di connessione e alla proposizione più astratta, più generale (e vuotissima) che, in effetti, esiste una struttura delle strutture di connessione.
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 33

Ecologia
Abbiamo perduto il nocciolo del cristianesimo. Abbiamo perduto Siva, il dio danzante dell’Olimpo induista, la cui danza a livello banale è insieme creazione e distruzione, ma nella totalità è bellezza. Abbiamo perduto Abraxas, il dio bello e terribile del giorno e della notte dello gnosticismo. Abbiamo perduto il totemismo, il senso del parallelismo tra l’organizzazione dell’uomo e quella degli animali e delle piante. Abbiamo perduto persino il Dio Che Muore.
Stiamo cominciando a giocherellare con le idee dell’ecologia, e benché subito le degradiamo a commercio o a politica, c’è se non altro ancora un impulso nel cuore degli uomini a unificare e quindi a santificare tutto il mondo naturale di cui noi siamo parte.
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 34

La logica è appunto incapace di affrontare i circuiti ricorsivi senza generare paradossi
Il proposito immediato di questo libro è dunque di costruire un quadro di come il mondo è collegato nei suoi aspetti mentali. Come si accordano e si collegano fra di loro le idee, le informazioni, gli stadi di coerenza logica o pragmatica, e via dicendo? In che relazione sta la logica,il procedimento classico per costruire catene di idee, con un mondo esterno di cose e creature, di parti e di totalità? Le idee si presentano davvero in catene oppure questa struttura «lineale» viene loro imposta da studiosi e filosofi? Com’è collegato il mondo della logica, che evita il «ragionamento circolare», con un mondo in cui le serie causali circolari sono piuttosto la regola che l’eccezione?
Oggetto dell’indagine e della descrizione è una vasta rete o matrice di materiale di comunicazione e di tautologie, premesse e esemplificazioni astratte, tutti collegati tra di loro.
Ma oggi, nel 1979, non esiste alcun metodo convenzionale per descrivere un simile intrico. Non sappiamo neppure da che parte cominciare.
Cinquant’anni fa si sarebbe pensato che i procedimenti migliori per tentare questa impresa fossero o logici o quantitativi o di entrambi i generi. Vedremo invece che, come dovrebbe sapere ogni scolaretto, la logica è appunto incapace di affrontare i circuiti ricorsivi senza generare paradossi, e che le quantità appunto non sono la sostanza dei sistemi comunicanti complessi.
In altre parole, la logica e la quantità si dimostrano strumenti inadeguati per descrivere gli organismi, le loro interazioni e la loro organizzazione interna.
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 37

La combinazione di informazioni
Procederò in modo analogo, richiamando però l’attenzione del lettore su un certo numero di casi in cui due o più sorgenti di informazione si combinano per generare informazione di tipo diverso da quella che si trovava in ciascuna sorgente presa da sola.
Nessuna delle scienze esistenti si occupa oggi espressamente della combinazione di informazioni; io invece cercherò di dimostrare che il processo evolutivo deve dipendere da questi doppi incrementi di informazione. Ogni passo dell’evoluzione è un’aggiunta di informazioni a un sistema già esistente. Per questo motivo le combinazioni, le armonie e le discordanze tra elementi e strati di informazione successivi presenteranno molti problemi di sopravvivenza e determineranno molte direzioni di cambiamento.
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 38

LA MAPPA NON È IL TERRITORIO E IL NOME NON È LA COSA DESIGNATA
Questo principio, reso famoso da Alfred Korzybski, opera a molti livelli. Esso ci ricorda in termini generici che quando pensiamo alle noci di cocco o ai porci, nel cervello non vi sono né noci di cocco né porci. Ma in termini più astratti la proposizione di Korzybski asserisce che sempre quando c’è pensiero o percezione oppure comunicazione sulla percezione vi è una trasformazione, una codificazione, tra la cosa comunicata, la Ding an sich, e la sua comunicazione. Soprattutto, la relazione tra la comunicazione e la misteriosa cosa comunicata tende ad avere la natura di una classificazione, di un’assegnazione della cosa a una classe. Dare un nome è sempre un classificare e tracciare una mappa è essenzialmente lo stesso che dare un nome.
Tutto sommato, Korzybski parlava da filosofo e cercava di convincere gli altri a disciplinare il loro modo di pensare. Ma era una battaglia perduta in partenza. Quando passiamo ad applicare la sua massima alla storia naturale dei processi mentali umani, la cosa non è più così semplice. Forse la distinzione tra il nome
e la cosa designata, o tra la mappa e il territorio, è tracciata in realtà solo dall’emisfero dominante del cervello. L’emisfero simbolico o affettivo, di solito quello destro, è probabilmente incapace di distinguere il nome dalla cosa designata: certo esso non si Occupa di questo genere di distinzioni. Accade quindi che certi tipi di comportamento non razionale siano necessariamente presenti nella vita dell’uomo. È un fatto che noi abbiamo due emisferi, e da questo fatto non possiamo prescindere. E’ un fatto che questi due emisferi operino in modo un po’ diverso l’uno dall’altro, e non possiamo sfuggire alle complicazioni che questa differenza comporta.
Con l’emisfero dominante possiamo considerare, ad esempio, una bandiera come una sorta di nome del paese o dell’organizzazione che essa rappresenta. Ma l’emisfero destro non fa questa distinzione e considera la bandiera sacramentalmente identica a ciò che essa rappresenta.
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 48

Possiamo conoscere la cosa generale, ma è la cosa specifica che ci sfugge
Una catena sottoposta a tensione si spezzerà nel suo anello più debole. Questo lo si può prevedere. Ciò che è difficile è individuare l’anello più debole prima che si spezzi. Possiamo conoscere la cosa generale, ma è la cosa specifica che ci sfugge. Vi sono catene costruite per spezzarsi a una certa tensione e in un certo anello; ma una buona catena è omogenea e non permette alcuna previsione.
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 62

I grandi uomini sono stati i nuclei storici di profondi cambiamenti?
Osserveremo più avanti che vi è un abisso tra le asserzioni relative a un individuo specifico e quelle relative a una classe. Tali asserzioni sono di tipo logico diverso, e le previsioni che muovono dalle une alle altre sono sempre incerte. L’asserzione “Il liquido bolle” è di tipo logico diverso dall’asserzione «Questa molecola sarà la prima a muoversi ».
Quanto sopra è per molti versi pertinente alla teoria della storia, alla filosofia su cui si fonda la teoria evoluzionistica e, in generale, alla nostra comprensione del mondo in cui viviamo.
Nella teoria della storia, la filosofia marxista sostiene, seguendo Tolstoj, che i grandi uomini che sono stati i nuclei storici di profondi cambiamenti o invenzioni sociali erano in un certo senso marginali ai cambiamenti che hanno fatto precipitare. Si sostiene, ad esempio, che nel 1859 il mondo occidentale era maturo (forse più che maturo) per creare e ricevere una teoria dell’evoluzione che riflettesse e giustificasse l’etica della Rivoluzione industriale. Da questo punto di vista, si potrebbe far apparire poco importante lo stesso Darwin. Se non fosse stato lui a formulare la sua teoria, qualcun altro ne avrebbe formulata una simile nel giro di cinque anni. E in effetti il parallelismo fra la teoria di Alfred Russel Wallace e quella di Darwin sembrerebbe a prima vista confortare questa opinione.
I marxisti, se ho ben capito, sosterrebbero che deve necessariamente esistere un anello più debole, che in presenza di determinate forze6 o tensioni sociali certi individui saranno i primi a iniziare una certa tendenza, e che non importa chi essi siano.
Sono convinto che sia una sciocchezza affermare che non ha importanza quale singolo uomo sia stato il nucleo del cambiamento. È appunto questo che rende la storia futura imprevedibile. L’errore marxista non è altro che una grossolana confusione di tipi logici, una confusione tra l’individuo e la classe.
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 64

La lettera che non scriviamo può essere un messaggio efficace
La lettera che non scriviamo, le scuse che non porgiamo, il cibo che non mettiamo fuori per il gatto possono essere tutti messaggi sufficienti ed efficaci, poiché zero può aver significato in un contesto; e il contesto lo crea chi riceve il messaggio. Questa capacità di creare il contesto è l’abilità del ricevente, e acquisirla è la sua parte della coevoluzione di cui dicevo sopra. Egli deve acquisire questa abilità mediante l’apprendimento o mediante una felice mutazione, cioè mediante una fortunata incursione nel casuale. Il ricevente in un certo senso dev’essere pronto per la scoperta giusta quando essa arriva.
Così, è ipotizzabile che nell’ambito di un processo stocastico sia valida l’inversa della proposizione: «dal nulla nasce nulla” senza informazione. Una pronta disposizione può servire a selezionare certe componenti del casuale che in tal modo diventano informazioni nuove. Tuttavia, dev’esserci sempre una certa quantità di aspetti casuali da cui poter formare le nuove informazioni.
Questa circostanza suddivide l’intero campo dell’organizzazione, dell’evoluzione, della maturazione e dell’apprendimento in due aree separate, quella dell’epigenesi, o embriologia, e quella dell’evoluzione e dell’apprendimento.
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 69

I processi dinamici del cambiamento si alimentano del casuale
Contrapposto all’epigenesi e alla tautologia, che costituiscono i mondi della replicazione, c’è tutto il regno della creatività, dell’arte, dell’apprendimento e dell’evoluzione, in cui i processi dinamici del cambiamento si alimentano del casuale. L’essenza dell’epigenesi sta nella ripetizione prevedibile; l’essenza dell’apprendimento e dell’evoluzione sta nell’esplorazione e nel cambiamento.
È dal casuale che gli organismi estraggono le nuove mutazioni, ed è lì che l’apprendimento stocastico prende le sue soluzioni. L’evoluzione porta all’acme, alla saturazione ecologica di tutte le possibilità di differenziazione; l’apprendimento porta a un sovraccarico della mente. Con il ritorno all’uovo, ignorante e prodotto in serie, la specie, che non si arresta, sgombra ancora una volta la propria memoria e si prepara ad accogliere il nuovo.
IL NUMERO È DIVERSO DALLA QUANTITÀ
I numeri sono il risultato del contare, le quantità sono il risultato del misurare. Si capisce quindi come i numeri possano essere precisi, poiché fra ciascun intero e il successivo c’è discontinuità: fra il due e il tre c’è un salto. Nel caso della quantità questo salto non c’è; e poiché nel mondo della quantità mancano i salti, è impossibile che le quantità siano esatte. Si possono avere esattamente tre pomodori; non si possono mai avere esattamente tre litri d’acqua. La quantità è sempre approssimata.
IL LINGUAGGIO SOTTOLINEA DI SOLITO SOLO UN ASPETTO DI QUALUNQUE INTERAZIONE
Di solito ci esprimiamo come se una singola «cosa potesse avere una qualche caratteristica. Diciamo che una pietra è «dura”, «piccola”, «pesante”, «gialla”, «densa”, fragile”, «calda”, «in moto”, «ferma”, «visibile”, «commestibile”, «incommestibile”, eccetera.
Così è fatto il nostro linguaggio: «La pietra è dura”, e via di seguito. È un modo di parlare che va benissimo al mercato: «Questa è una nuova marca ».
«Le patate sono marce ». «Le uova sono fresche ».
« Il contenitore è rotto». «Il diamante è difettoso ».
« Un chilo di mele basterà ». E così via.
Ma nella scienza o nell’epistemologia questo modo di parlare non va bene. Per pensare correttamente è consigliabile supporre che tutte le qualità, gli attributi, gli aggettivi e così via si riferiscano almeno a due insiemi di interazioni temporali.
« La pietra è dura” significa (a) che, colpita, essa si è dimostrata resistente alla penetrazione, e (b) che le parti molecolari della pietra sono in qualche modo
tenute insieme da certe interazioni continue tra quel le stesse parti.
La pietra è ferma è un commento sull’ubicazione della pietra rispetto all’ubicazione di chi parla e di altre eventuali cose in moto. È anche un commento su fatti interni alla pietra: la sua inerzia, l’assenza di distorsione interna, l’assenza di attrito superficiale
e così via.
Mediante la sintassi del soggetto e del predicato il linguaggio asserisce continuamente che le «cose in un certo modo «hanno” qualità e attributi. Un modo di parlare più preciso sottolineerebbe che le cose sono prodotte, sono viste separate dalle altre cose” e sono rese «reali” dalle loro relazioni interne e dal loro comportamento rispetto ad altre cose e a chi parla.
È necessario chiarire bene questa verità universale:
le «cose”, quali che siano nel loro mondo pleromatico e ‘cosale’, possono entrare nel mondo della comunicazione e del significato solo mediante i loro nomi, le loro qualità e i loro attributi (cioè mediante resoconti delle loro relazioni e interazioni interne ed esterne).
Bateson G. “MENTE E NATURA”, Adelphi, pag. 89

NEL PROCESSO MENTALE GLI EFFETTI DELLA DIFFERENZA DEVONO ESSERE CONSIDERATI COME TRASFORMATE (cioè VERSIONI CODIFICATE) DELLA DIFFERENZA CHE LI HA PRECEDUTI
A questo punto, dobbiamo considerare come le differenze esaminate nella discussione del secondo criterio e il loro seguito di effetti sotto forma di altre differenze diventano materiale di informazione, di ridondanza, di struttura e così via. In primo luogo dobbiamo notare che qualunque oggetto, evento o differenza del cosiddetto ‘mondo esterno’ può diventare una sorgente d’informazione, purché sia incorporato in un circuito dotato in una rete opportuna di materiale flessibile in cui esso possa produrre dei cambiamenti. In questo senso l’eclissi di sole, l’impronta dello zoccolo di un cavallo, la forma di una foglia, l’occhio sulla penna di un pavone, insomma qualunque cosa può essere incorporata nella mente se mette in moto queste successioni di conseguenze.
Una lezione del professor Konrad Lorenz
Ciò che sembra verificarsi in queste tradizionali secolarizzazioni è uno spostamento dell’attenzione dalla relazione a uno degli estremi, agli oggetti o persone che erano in relazione. È un percorso frequente che porta a una volgarizzazione dell’epistemologia e alla perdita della comprensione o illuminazione ottenuta mettendo una accanto all’altra la concezione della natura e quella della famiglia.
Tuttavia, esistono ancora alcuni totemisti praticanti, perfino tra i biologi professionisti. Seguire una lezione del professor Konrad Lorenz significa scoprire che cosa facevano i cavernicoli dell’Aurignaciano quando dipingevano sulle pareti e sulle volte delle caverne renne e mammut vivi e attivi. Gli atteggiamenti e i movimenti espressivi di Lorenz, la sua cinesica, cambiano di momento in momento secondo la natura dell’animale di cui parla. Ora è un’oca, pochi minuti dopo un pesce ciclide, e così via. Va alla lavagna e disegna rapidamente una creatura, poniamo un cane, vivo e incerto se attaccare o ritirarsi. Poi, con un brevissimo intervento di gesso e cancellino, una variazione nella nuca e nell’angolazione della coda, e il cane è chiaramente sul punto di attaccare.
Lorenz fece una serie di conferenze alle Hawaii, e l’ultima la dedicò a problemi della filosofia della scienza. Mentre parlava dell’universo di Einstein, il suo corpo pareva contorcersi tutto quasi in empatia con quell’astrazione.
E, misteriosamente, come gli Aurignaciani, egli non è capace di disegnare una figura umana: i suoi tentativi, come i loro, producono solo fantocci filiformi. Ciò che il totemismo insegna sul sé è profondamente non visuale.
L’empatia di Lorenz per gli animali gli conferisce un vantaggio quasi sleale sugli altri zoologi. Egli è in grado di leggere molte cose, e certo lo fa, in un confronto (conscio o inconscio) tra ciò che vede fare all’animale e ciò che si prova a fare la stessa cosa. (Molti psichiatri usano lo stesso trucco per scoprire i pensieri e i sentimenti dei loro pazienti). Due descrizioni diverse sono sempre meglio di una sola.
Il mondo dei processi mentali è capace di guarire lentamente da solo
La mia opinione è che la Creatura, il mondo dei processi mentali, è sia tautologica sia ecologica. Voglio dire che è una tautologia capace di guarire lentamente da sola. Se la si lascia stare, qualunque ampia porzione di Creatura tende a stabilizzarsi verso la tautologia, cioè verso una coerenza interna di idee e di processi. Ma ogni tanto la coerenza si lacera, la tautologia si infrange come la superficie di uno stagno quando vi si getta un sasso. Poi, lentamente ma immediatamente, la tautologia comincia a guarire. E la guarigione può essere spietata: nel corso di questo processo possono venire sterminate intere specie.
272
Su che genere di superficie si dovranno proiettare l’ ‘estetica’ e la ‘coscienza’?
P. E poi vi è la coscienza, che in questo libro non ho nemmeno toccato — o che ho toccato solo una volta o due. La coscienza e l’estetica sono i grandi problemi non toccati.
F. Ma nelle biblioteche ci sono sale intere piene di libri su questi problemi «non toccati ».
P. No, no, ciò che non è stato toccato è la domanda: su che genere di superficie si dovranno proiettare l’ ‘estetica’ e la ‘coscienza’?
F. Non capisco.
P. Voglio dire qualcosa del genere: la ‘coscienza’ e l’ ‘estetica’ (qualunque sia il significato di queste parole) o sono entrambe caratteristiche presenti in tutte le menti (così come sono state definite in questo libro), oppure sono emanazioni.., tarde creazioni fantasiose di queste menti. In entrambi i casi, è la definizione primaria di mente che deve accogliere le teorie dell’estetica e della coscienza. È su questa definizione primaria che dev’essere proiettato il passaggio successivo. La terminologia per trattare la bellezza-bruttezza e la terminologia per la coscienza devono essere elaborate a partire dalle idee contenute in questo libro o da idee simili (o proiettate su queste idee).

P. Dev’esserci un motivo se a queste domande non è mai stata data risposta. Cioè, come prima indicazione per una risposta potremmo considerare proprio questo: il fatto storico che tanti uomini abbiano provato e non ci siano riusciti. La risposta
dev’ essere in qualche modo nascosta. Dev’essere così: il fatto stesso di porre queste domande porta l’investigatore fuori strada, su una pista falsa.
Un elenco di punti ‘da scolaretto’
P. In primo luogo ci sono i sei criteri di mente:
1. Fatta di parti che non sono in sé mentali. La ‘mente’ è immanente in certi generi di organizzazione delle parti.
2. Le parti sono attivate da eventi nel tempo. Le differenze, benché statiche nel mondo esterno, possono generare eventi se tu ti muovi rispetto ad esse.
3. Energia collaterale. Lo stimolo (in quanto differenza) non può fornire alcuna energia, ma ciò che reagisce ad esso possiede un’energia, di solito fornita dal metabolismo.
4. Poi le cause-ed-effetti si dispongono in catene circolari (o più complesse).
5. Tutti i messaggi sono codificati.
6. Da ultimo c’è il fatto più importante: i tipi logici.
Tutti questi punti sono abbastanza ben definiti e si sostengono l’un l’altro piuttosto bene. Forse l’elenco è ridondante e potrebbe essere ridotto, ma in questo momento ciò non ha importanza. Al di là di questi sei punti c’è il resto del libro, il quale riguarda diversi generi di quella che ho chiamato doppia descrizione e che vanno dalla visione binoculare all’effetto combinato dei ‘grandi’ processi stocastici e all’effetto combinato della ‘calibrazione’ e della ‘retroazione’. Chiamiamoli anche ‘rigore e immaginazione’ o ‘pensiero e azione’.
Ecco tutto.
F. Benissimo. E dove sistemeresti i fenomeni della bellezza, della bruttezza e della coscienza?
P. E non dimenticare il sacro. Ecco un altro argomento che non è stato trattato nel libro. Vedi, io non faccio ogni volta una domanda diversa, io rendo più ampia la stessa domanda. Il sacro (checché ciò significhi) è certamente collegato (in qualche modo) al bello (checché ciò significhi). E se riuscissimo a dire come sono collegati, riusciremmo forse a stabilire il significato delle parole. O forse ciò non sarebbe mai necessario. Ogni volta che aggiungiamo alla domanda un pezzo ad essa collegato otteniamo più indicazioni sul genere di risposta che dovremmo aspettarci.
F. Quindi adesso abbiamo sei pezzi della domanda?
P. Sei?
F. Sì. All’inizio di questa conversazione erano due; ora sono sei. C’è la coscienza, la bellezza e il sacro, poi c’è la relazione tra coscienza e bellezza, la relazione tra bellezza e sacro e la relazione tra sacro e coscienza. In tutto, sei.
P. No. Sette. Dimentichi il libro. I tuoi sei pezzi presi insieme costituiscono una specie di domanda triangolare, e questo triangolo dev’essere in relazione con ciò che sì trova in questo libro.

È mostruoso… volgare, riduzionista, sacrilego… chiamalo come vuoi… arrivare a precipizio con una domanda troppo semplificata. È un peccato contro tutti e tre i nostri nuovi princìpi: contro l’estetica, contro la coscienza, contro il sacro.
F. Ma dove?
P. Già, ecco. Questa domanda dimostra la stretta relazione tra coscienza, bellezza e sacro. La domanda troppo semplice e la risposta volgare vengono dalla coscienza che corre intorno come un cane con la lingua penzoloni — alla lettera il cinismo. Essere consci della natura del sacro o della natura della bellezza è la follia del riduzionismo.
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Il nostro insegnamento è antiquato e obsoleto
Mentre buona parte di ciò che le università insegnano oggi è nuovo e aggiornato, i presupposti o premesse di pensiero su cui si basa tutto il nostro insegnamento sono antiquati e, a mio parere, obsoleti.
Mi riferisco a nozioni quali:
a) Il dualismo cartesiano che separa la ‘mente dalla ‘materia’.
b) Lo strano fisicalismo delle metafore che usiamo per descrivere e spiegare i fenomeni mentali: ‘potenza’, ‘tensione’, ‘energia’, ‘forze sociali’, ecc.
c) Il nostro assunto antiestetico, derivato dall’importanza che un tempo Bacone, Locke e Newton attribuirono alle scienze fisiche; cioè che tutti i fenomeni (compresi quelli mentali) possono e devono essere studiati e valutati in termini quantitativi.
La visione del mondo — cioè l’epistemologia latente e in parte inconscia — generata dall’insieme di queste idee è superata da tre diversi punti di vista:
a) Dal punto di vista pragmatico è chiaro che queste premesse e i loro corollari portano all’avidità, a un mostruoso eccesso di crescita, alla guerra, alla tirannide e all’inquinamento. In questo senso, le nostre premesse si dimostrano false ogni giorno, e di ciò gli studenti si rendono in parte conto.
b) Dal punto di vista intellettuale, queste premesse sono obsolete in quanto la teoria dei sistemi, la cibernetica, la medicina olistica, l’ecologia e la psicologia della Gestalt offrono modi manifestamente migliori di comprendere il mondo della biologia e del comportamento.
c) Come base per la religione le premesse che ho menzionato divennero chiaramente intollerabili e quindi obsolete circa un secolo fa. Dopo l’avvento dell’evoluzione darwiniana, ciò fu espresso in modo piuttosto chiaro da pensatori come Samuel Butler e il principe Kropotkin. Ma già nel Settecento William Blake capì che la filosofia di Locke e di Newton poteva generare solo «tenebrosi mulini satanici ».
Ogni aspetto della nostra civiltà è necessariamente spaccato in due. Nel campo dell’economia ci troviamo di fronte a due caricature esagerate della vita
— quella capitalista e quella comunista — e ci viene detto che dobbiamo schierarci per l’una o per l’altra di queste due mostruose ideologie in lotta. Nella sfera del pensiero, siamo lacerati tra varie forme estreme di negazione dei sentimenti e la forte corrente del fanatismo anti-intellettuale.
Come nella religione, le garanzie costituzionali della ‘libertà religiosa’ sembrano favorire esagerazioni simili: uno strano protestantesimo del tutto secolare, una vasta gamma di culti magici e una totale ignoranza religiosa. Non è un caso che mentre da un lato la Chiesa cattolica sta rinunciando all’uso del latino, dall’altro la nuova generazione stia imparando a salmodiare in sanscrito!
Così, in questo mondo del 1978, noi cerchiamo di dirigere un’università e di mantenerne standard ‘elevati’ di fronte a un crescendo di sfiducia, volgarità, pazzia, sfruttamento delle risorse, vittimizzazione delle persone e caccia al profitto immediato. Le strida dell’avidità, della frustrazione, della paura e dell’odio.
La sopravvivenza dipende da due fenomeni o processi contrastanti, due modi di raggiungere l’adattamento. Come Giano, l’evoluzione deve sempre guardare in due direzioni: all’interno, verso le regolarità dello sviluppo e la fisiologia delle creature viventi, e all’esterno, verso i capricci e le esigenze dell’ambiente.

Il mondo esterno invece è in perpetuo cambiamento ed è sempre pronto ad accogliere creature che abbiano subìto cambiamenti: esso esige quasi il cambiamento. Nessun animale, nessuna pianta possono mai essere ‘confezionati’. La ricetta interna esige la compatibilità, ma non è mai sufficiente per lo sviluppo e la vita dell’organismo. Tocca sempre alla creatura stessa compiere il cambiamento del proprio corpo. Essa deve acquisire certi caratteri somatici tramite l’uso, il disuso, l’abitudine, le privazioni e il nutrimento. Questi ‘caratteri acquisiti’, però, non devono mai esser trasmessi ai discendenti, non devono essere incorporati direttamente nel DNA.
Poco fa ho richiamato l’attenzione sulla circostanza che la selezione interna in biologia deve sempre insistere sulla compatibilità con il passato immediato.
In breve, il conservatorismo ha radici nella coerenza e nella compatibilità, le quali si accompagnano a ciò che sopra ho chiamato il rigore del processo mentale. È qui che dobbiamo cercare le radici delle obsolescenze.
E il paradosso o il dilemma che ci sconcerta e sgomenta quando ci proponiamo di correggere o combattere l’obsolescenza è semplicemente la paura che abbandonando ciò che è obsoleto, perderemo la coerenza, la chiarezza, la compatibilità, perfino il senno.
E difatti le cose stanno proprio così: «il tempo è fuori squadra” perché le due componenti che governano il processo evolutivo non vanno più al passo l’una con l’altra. L’immaginazione ha oltrepassato abbondantemente il rigore, e alle persone anziane e conservatrici come me il risultato assomiglia molto alla pazzia, o forse all’incubo, fratello della pazzia. Il sogno è un processo che non viene corretto né dal rigore interno né dalla ‘realtà’ esterna.

Il benessere e il disagio dell’individuo diventano gli unici criteri di scelta del cambiamento sociale, e la fondamentale differenza di tipo logico tra elemento e
categoria viene dimenticata finché la nuova situazione non genera (inevitabilmente) nuovi disagi. La paura della morte individuale e del dolore fanno apparire ‘positiva’ l’eliminazione delle malattie epidemiche, e solo dopo cent’anni di medicina preventiva scopriamo che la popolazione è aumentata troppo. E così via.
Non è tanto il ‘potere’, la ‘ potenza’, che corrompe quanto il mito della ‘potenza’. Si è già detto che si deve diffidare della ‘potenza’, così come dell’ ‘energia’, della ‘tensione’ e delle altre metafore fisiche: tra esse, la ‘potenza’ è una delle più pericolose. Chi si strugge per un’astrazione mitica non potrà mai essere saziato! Noi insegnanti non dovremmo alimentare questo mito.
In un combattimento a due è difficile che ciascun avversario riesca a vedere più in là della dicotomia tra vittoria e sconfitta. Come il giocatore di scacchi, egli è sempre tentato di fare una mossa astuta e ingannevole per ottenere una rapida vittoria. La disciplina del cercare la mossa migliore per ogni posizione dei pezzi è dura da raggiungere e dura da mantenere. Il giocatore deve sempre guardare a una prospettiva più lontana, a una Gestalt più vasta.
Siamo così ritornati al punto di partenza, ma ora lo vediamo in una prospettiva più ampia. Questo punto è un’università e noi ne siamo il Consiglio che la dirige. La prospettiva più ampia concerne le prospettive, e la domanda che viene posta è: noi, membri di questo Consiglio, incoraggiamo tutto ciò che negli studenti, negli insegnanti e intorno a questo tavolo promuoverà quelle più ampie prospettive capaci di riportare il nostro sistema entro una giusta sincronia o armonia tra rigore e immaginazione?
Come insegnanti, siamo saggi?

Selezione a cura di:

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

GABBIANO JONATHAN LIVINGSTON (R. Bach)

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Questa è la dedica che puoi leggere nella prima pagina del libro:

Al vero Gabbiano Jonathan Livingston
che vive in ognuno di noi

“Il paradiso non è mica un luogo.
Non si trova nello spazio e neanche nel tempo. (…)
Raggiungerai il paradiso.
(…) quando avrai raggiunto la velocità perfetta.
Il che non significa mille miglia all’ora (…).
Perché qualsiasi numero (…) è un limite,
mentre la perfezione non ha limiti.
Velocità perfetta (…) vuol dire solo esserci, esser là”.

Mettere in pratica l’amore voleva dire rendere partecipe
della verità da lui appresa, conquistata,
qualche altro gabbiano che fosse alla ricerca di quella stessa verità .

“Hai idea di quante di quante vite ci sara’ toccato vivere,
prima che ci passasse pel cervello che c’e’ al mondo,
qualcos’altro che conta oltre al mangiare,
al beccarci fra di noi, oltre insomma alla Legge dello Stormo?

Noi scegliamo il nostro mondo successivo
in base a cio’ che apprendiamo in questo.
Se non impari nulla, il mondo di poi sara’ identico
a quello di prima,
e avrai anche la’ le stesse limitazioni che hai qui.”

D’ora in poi vivere qui sarà più vario e interessante (…).
Noi avremo una nuova ragione di vita.
Ci solleveremo dalle tenebre dell’ignoranza,
/ci accorgeremo di essere creature di grande intelligenza e abilità.
Saremo liberi! Impareremo a volare!”

” Se laggiu’ avesse conosciuto anche solo una decima,
anche solo una centesima parte,
delle cose che adesso sapeva,
quanto piu’ senso avrebbe avuto allora, la vita!
Chissa’, si domandava, chissa’ se laggiu’ ci sara’ qualche gabbiamo
che si arrovella per superare i propri limiti,
per scoprire come il volo non sia solo qualcosa sulla scia di una barchetta.”
“Il fatto e’, Fletcher, che bisogna superarli un po’ alla volta i nostri limiti.
Qui sta il trucco.
Tu non eri ancora pronto per volare attraverso la roccia”

Continua ad istruirti sull’amore.

“Lui parlava di cose molto semplici.
Diceva che e’ giusto che un gabbiano voli, essendo nato per la liberta’,
e che e’ suo dovere lasciare perdere e scavalcare tutto cio’ che intralcia,
che si oppone alla sua liberta’,
vuoi superstizioni, vuoi antiche abitudini,
vuoi qualsiasi altra forma di schiavitu’.
(…) L’unica vera legge e’ quella che conduce alla liberta’.”


“Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi.
Gli occhi vedono solo cio’ che e’ limitato.
Guarda con il tuo intelletto, e scopri quello che conosci gia’,
allora… imparerai come si VOLA.”

Egli imparò a volare,
e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare.
Scoprì che erano la noia e la paura e la rabbia
a rendere così breve la vita di un gabbiano”.

« Per volare alla velocità del pensiero, verso qualsivoglia luogo, tu devi innanzitutto persuaderti che ci sei già arrivato. » Il segreto, secondo Ciang, stava tutto qui: Jonathan doveva smettere di considerare se stesso prigioniero di un corpo limitato, un corpo avente un’apertura alare di centodieci centimetri e i cui itinerari potevano venir tracciati su una carta nautica. Il segreto consisteva nel sapere che la sua vera natura viveva, perfetta come un numero non scritto, contemporaneamente dappertutto, nello spazio e nel tempo.

“Tu non hai piu’ bisogno di me.
Devi solo seguitare a conoscere meglio te stesso,
ogni giorno un pochino di piu’,
trovare il vero gabbiano Fletcher Lynd.
E’ lui, il tuo maestro.
E’ lui che devi capire.
E’ in lui che devi esercitarti: a esser lui.”

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Ciascuno di noi è in verità un’immagine del Grande Gabbiano un’infinita idea di libertà senza limiti. (…) Egli imparò a volare e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare. Scoprì che erano la noia e la paura e la rabbia a rendere così breve la vita di un gabbiano.

Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò’ che è limitato. Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già’, allora imparerai come si vola.

A un miglio dalla costa un peschereccio arrancava verso il largo. E fu data la voce allo Stormo. E in men che non si dica tutto lo Stormo Buonappetito si adunò, si diedero a giostrare ed accanirsi per beccare qualcosa da mangiare. Cominciava cosi una nuova dura giornata.

Ma lontano di là solo soletto, lontano dalla costa e dalla barca, un gabbiano si stava allenando per suo conto: era il gabbiano Jonathan Livingston. Si trovava a una trentina di metri d’altezza: distese le zampette palmate, aderse il becco, si tese in uno sforzo doloroso per imprimere alle ali una torsione tale da consentirgli di volare lento. E infatti rallentò tanto che il vento divenne un fruscìo lieve intorno a lui, tanto che il mare ristava immoto sotto le sue ali. Strinse gli occhi, si concentrò intensamente, trattenne il fiato, compì ancora uno sforzo per accrescere solo… d’un paio… di centimetri… quella… penosa torsione e… D’un tratto gli si arruffano le penne, entra in stallo e precipita giù.

I gabbiani, lo sapete anche voi, non vacillano, non stallano mai. Stallare, scomporsi in volo, per loro è una vergogna, è un disonore.

Ma il gabbiano Jonathan Livingston – che faccia tosta, eccolo là che ci riprova ancora, tende e torce le ali per aumentarne la superficie, vibra tutto nello sforzo e patapunf stalla di nuovo – no, non era un uccello come tanti.

La maggior parte dei gabbiani non si danno la pena di apprendere, del volo, altro che le nozioni elementari: gli basta arrivare dalla costa a dov’è il cibo e poi tornare a casa. Per la maggior parte dei gabbiani, volare non conta, conta mangiare. A quel gabbiano lì, invece, non importava tanto procurarsi il cibo, quanto volare. Più d’ogni altra cosa al mondo, a Jonathan Livingston piaceva librarsi nel cielo.

Selezione a cura di:

Dott. Roberto Cavaliere

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