L’ATTACCO AL LEGAME

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L’attacco al legame è una modalità che viene messa in atto all’interno di una relazione da parte di uno dei due partner.
Se uno dei due partner presenta forti tratti di ambivalenza affettiva (come i borderline o i bipolari) oscilla costantemente fra il ‘ti amo’ ed il ‘ti odio’, fra idealizzazione e svalutazione dell’altro e della relazione. Inoltre tale partner ha una profonda paura di legarsi perchè ha paura di soffrire se la relazione dovesse finire. 
Ed ecco che periodicamente attacca il legame per non legarsi troppo, per evitare di amare, per non soffrire, sortendo gli effetti opposti a quelli prefissi. Infatti più ‘attacca’ e più si lega, più soffre, più aumenta la sua paura della separazione. Tutto questo si riverbera sull’altro partner che subisce l’attacco in maniera speculare. Diventa necessario prendere atto di tale modalità relazionale al fine di poterla superare.
Roberto Cavaliere Psicoterapeuta

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

COME AIUTARE UNA PERSONA DEPRESSA

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Non è sempre facile sapere come aiutare una persona depressa, anzi, dire o fare la cosa giusta può dimostrarsi molto difficile.
Tutti noi reagiamo alle situazioni e dialoghiamo in modo diverso. Gli approcci seguenti che si basano su questa considerazione, illustrano diversi modi per aiutare un amico o un membro familiare.
Iniziate a parlarne
Fare il primo passo per aiutare una persona che sembra in difficoltà rappresenta un atto delicato che va pensato attentamente. Scegliete un’ora e un luogo adatto per entrambi.
Ascoltate più che parlare
Talvolta, quando una persona a noi cara ha bisogno di parlare, non è necessariamente alla ricerca di consigli, ma vuole semplicemente parlare di alcune cose che la preoccupano. Ascoltare invece di parlare rappresenta un modo di capire come si sente qualcuno. Questo approccio si chiama ascolto attivo. Risparmiate i suggerimenti, le soluzioni e i consigli per un’altra occasione e usate frasi neutre come “Capisco come ciò ti possa turbare”.
Usate un linguaggio del corpo adeguato
Il linguaggio del corpo ha un ruolo importante nell’aiutare una persona cara a sentirsi maggiormente a proprio agio. Cercate di mantenere il contatto visivo e di sedere in una posizione rilassata, in modo da dimostrarle che la state ascoltando.
Fate domande a risposta libera
Le domande a risposta libera rappresentano un buon modo per avviare una conversazione, in quanto sono sostanzialmente una richiesta di maggiori informazioni e non è possibile rispondervi con un semplice “Sì” o “No”. Un esempio è “Allora, dimmi di…?” o “Che cosa ti preoccupa?”
Conversazione difficile
Talvolta, le persone con sintomi di depressione possono provare imbarazzo a parlare apertamente dei propri pensieri ed emozioni. Può anche accadere che si arrabbino se si chiede loro se va tutto bene.
I consigli seguenti possono mostrarsi utili per affrontare le conversazioni difficili:
• Rimanete calmi
• Mantenete un comportamento fermo, equo e coerente
• Se vi sbagliate ammettetelo
• Non perdete il controllo.
Passate del tempo con la persona depressa.
Spesso, basta dedicare del tempo a parlare o stare con una persona per farle capire che tenete a lei e potete aiutarla a comprendere cosa sta passando.
Abbiate cura di voi
In qualità di familiare o amico di una persona alle prese con la depressione, è importante che vi prendiate cura di voi stessi. Dedicate del tempo a rilassarvi e godere delle cose che amate fare

Dott. Roberto Cavaliere

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LA PSICOTERAPIA CONTRO L’INSONNIA

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Succede di notte: a riposo, e in assenza di luce naturale, si modificano tutti i parametri vitali e le cellule del corpo si rigenerano. Intanto il cervello memorizza e «dimentica in maniera intelligente», come sintetizzano diversi studi recenti, in particolare quello della University of Wisconsin School of Medicine. In pratica, fa piazza pulita delle informazioni superflue per ricominciare il giorno dopo, fresco e “resettato” correttamente. Accade fisiologicamente, in modo spontaneo. Ma non in tutti. Non nelle file di quell’esercito di persone (12 milioni solo nel nostro Paese secondo l’Associazione Italiana Medicina del Sonno) che nel mondo soffrono di forme di insonnia. Per loro, addormentarsi o mantenere un sonno continuo e ristoratore tutte le notti è una conquista, raggiunta spesso con l’ausilio di ipnotici (farmaci che agiscono selettivamente sui recettori del sonno) o di benzodiazepine (attive su diversi neurotrasmettitori coinvolti nell’ansia e nell’insonnia). 
il fattore psiche gioca un ruolo fondamentale nei disturbi del sonno. «È noto che comuni disagi psicologici contingenti, come lo stress, possono momentaneamente peggiorare la qualità del sonno. Le preoccupazioni per la perdita del suo controllo, insieme alla paura delle conseguenze del non dormire bene, alimentano invece un circolo vizioso che contribuisce a cronicizzare l’insonnia», spiega Alessandra Devoto, psicologa accreditata dall’Associazione Italiana di Medicina del Sonno e docente a contratto dell’Università Sapienza di Roma. Senza dimenticare che esiste una correlazione tra l’insonnia e i disturbi affettivi (come la depressione maggiore e i disturbi bipolari) e quelli d’ansia. «Spesso si tratta di problemi concomitanti, che non hanno un chiaro rapporto causa-effetto. Ma, come evidenziato da alcuni studi, chi soffre di disturbi del sonno ha una probabilità 4 volte maggiore di sviluppare la depressione e il doppio di avere problemi d’ansia. Per questo, l’insonnia cronica può essere considerata anche un fattore di rischio per lo sviluppo di potenziali problemi psicologici», osserva Devoto. Non a caso, le benzodiazepine sono prescritte sia per curare l’insonnia sia i disturbi d’ansia. «Negli ultimi tempi, anche un farmaco utilizzato per la depressione stagionale, l’agomelatina, si è rivelato utile per certe forme d’insonnia, in particolare quelle caratterizzateda risvegli precoci, verso le 3, 4 del mattino», osserva Nobili.
L’agomelatina è una molecola che agisce legandosi ai recettori cerebrali della melatonina, l’ormone secreto dall’organismo a partire dalle 10 di sera, in assenza di luce, e che regola i ritmi sonno veglia. In pratica, ne rinforza l’azione. Ma anche come molecola attiva, la melatonina sta conquistando un’attenzione sempre maggiore, sia perché in alcuni soggetti migliora la qualità del sonno, sia perché, più in generale, lo regola. E non è più solo un rimedio proposto per contrastare la sindrome da jet-lag, ma anche per chi non riesce a mantenere ritmi sonno-veglia regolari (giovani che fanno abitualmente le ore piccole; lavoro notturno; età avanzata). La novità: presto la melatonina non sarà più disponibile come prodotto da banco per dosaggi superiori a 1 mg, ma solo come farmaco, previa presentazione di ricetta. E non è una cattiva notizia: «Può così contare su una maggiore sicurezza ed efficacia, perché sottoposta a un iter di sperimentazione rigoroso, come quello previsto, appunto, per l’approvazione di un farmaco», osserva Nobili. Nonostante il paniere di molecole a disposizione, già relativamente “ricco”, è errato credere che i medicinali siano la soluzione a tutti i mali d’insonnia. «Mentre i farmaci sono generalmente indicati per quelle di breve durata (qualche settimana), il trattamento psicologico è d’elezione per le insonnie croniche, che durano almeno da qualche mese. Tuttavia, i due approcci non sono necessariamente alternativi, ma possono integrarsi e lavorare in sinergia secondo le necessità», spiega Devoto.
Ma come funziona, in sostanza, la terapia psicologica per l’insonnia? Si parte dalla fase di valutazione, con colloqui, test psicologici specifici e monitoraggio del sonno con strumenti di valutazione, come l’actigrafo (un semplice orologio da indossare al polso, che rileva vari parametri del ciclo sonno-veglia e l’attività motoria durante la notte). Fatta la diagnosi, si passa al cuore del trattamento, che è breve (da tre a 10-12 sedute di tipo cognitivo-comportamentale) e integra varie tecniche per rafforzare il sonno (“controllo degli stimoli”, metodi di rilassamento, regole di “igiene del sonno”), nonché alcune strategie che correggono atteggiamenti e idee errate. «Per esempio ritenere che servano almeno 8 ore di sonno per star bene a qualsiasi età», avverte Devoto. «È una falsa credenza, che può indurre a trascorrere a letto più tempo del necessario, coricarsi prima la sera e cercare di fare sonnellini diurni di recupero. Accorgimenti che peggiorano ulteriormente la qualità del sonno, fino a rendere sempre più difficile risolvere il problema in autonomia».
Morale: dopo le prime notti insonni, meglio non temporeggiare e chiedere l’aiuto di uno specialista per correggere le cattive abitudini ed evitare che l’insonnia diventi una compagna di vita. E iniziare subito a seguire semplici regole di “igiene del sonno”: mantenere le abitudini e seguire i rituali che ci fanno sentire bene e più rilassati prima di coricarci. Meglio evitare di fissare luci artificiali dopo le 21-22 (soprattutto iPad e cellulare) perché interferiscono con la sintesi della melatonina (che dà il via all’addormentamento), come ribadito da un recente studio pubblicato su Organizational Behavior and Human Decision Processes. Attenzione anche a porsi nelle condizioni ambientali più favorevoli, regolando il termostato intorno ai 18 gradi: «Temperature più alte tendono a diminuire le fasi di sonno lento e profondo, mentre quelle molto più basse possono rendere difficoltoso addormentarsi», conclude Nobili.

Dott. Roberto Cavaliere

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CHE COS’E’ LA DISFORIA

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Si intende un sentimento spiacevole, definito spesso come malumore, ma connotato per lo più come depressione, tensione, ansia, scontentezza e pessimismo; inoltre, al quadro affettivo si associa anche la tendenza a reagire esageratamente a stimoli esterni e interni, con scarsa capacità di autocontrollo, che può tradursi in aggressività, collera e ira. In quest’ottica, il termine viene quindi utilizzato per identificare uno stato affettivo con costante componente iperattiva motoria e possibile collocazione del disturbo in un quadro di stato affettivo misto, considerando l’aspetto disforico come un momento di transizione tra lo stato maniacale e quello depressivo. Vengono definiti temperamenti irritabili o disforici quei soggetti particolarmente suscettibili, iperattivi, spesso ansiosi e agitati ( ) in cui vi è un’elevata sofferenza soggettiva, associata a una difficoltà nei rapporti interpersonali. Il termine viene attualmente utilizzato soprattutto per il disturbo disforico premestruale ( ), sindrome che comprende sintomi dell’umore e comportamentali associati a sintomi fisici. Questo quadro sintomatologico si manifesta all’inizio del ciclo mestruale. Un sottotipo di depressione è la cosiddetta , caratterizzata da uno stato di torpore e assopimento, spesso associato ad abuso di farmaci o alcolici, e aumento dell’appetito. In questi pazienti, spesso, molto rapido è il viraggio verso un innalzamento del tono dell’umore, ma basta anche una piccola contrarietà per precipitarli nuovamente nella depressione più profonda. Un quadro particolare di disforia è quella, definita come comparsa di ansia, tensione, irritabilità e inquietudine dopo un rapporto sessuale normalmente soddisfacente.

Dott. Roberto Cavaliere

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ESERCIZIO DI CONTROLLO DELLA RESPIRAZIONE PER ANSIA E STRESS

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Avete notato che respirate molto rapidamente? Lo stress e l’ansia
possono influire sul ritmo del battito cardiaco e sul processo
respiratorio. Un ritmo respiratorio rilassato generalmente consiste in
10 o 12 respiri al minuto.
1. Contate il numero dei respiri. Inspirare ed espirare conta
come un respiro.
2. Inspirate, trattenete il respiro e contate fino a cinque.
Poi inspirate e dite a voi stessi la parola ‘Rilassati’ in un
tono calmo e confortante.
3. Cominciate ad inspirare attraverso il naso ed espirate lentamente
attraverso la bocca, in un ciclo di sei secondi. Inspirate per tre
secondi ed espirate per tre secondi. Questo produrrà un ritmo
respiratorio di 10 respiri al minuto. All’inizio potrebbe essere utile
misurare i tempi della respirazione usando la lancetta dei secondi
di un orologio da polso o di una sveglia.
4. Contate a mente.
5. Continuate a respirare in un ciclo di sei secondi per almeno
cinque minuti o fino a quando la respirazione non riprende
il suo ritmo normale.
Dopo aver praticato questo esercizio, misurate il numero dei
respiri che fate in un minuto. Praticate l’esercizio di controllo della
respirazione ogni giorno prima di colazione, pranzo, cena e prima
di andare a letto. Usate questa tecnica tutte le volte che vi sentite
ansiosi. Gradualmente, imparerete a fare l’esercizio con competenza
sufficiente da non aver più bisogno di misurare i tempi.
Praticate questo esercizio tre o quattro volte al giorno, 
in modo da poterlo fare con la massima facilità ed utilizzarlo 
come una strategia a breve tempo quando vi sentite ansiosi. 
fonte https://www.bspg.com.au/dam/bsg/product?client=BEYONDBLUE&prodid=BL%2F0529&type=file

Dott. Roberto Cavaliere

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IL TEST DI BRATMAN SULL’ORTORESSIA

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L’ortoressia (dal greco orthos -corretto- e orexis -appetito-) è una forma di attenzione abnorme alle regole alimentari, alla scelta del cibo e alle sue caratteristiche.
Secondo il seguente test ideato da Steve Bratman, una risposta affermativa a più di quattro domande classifica il soggetto all’inizio della patologia ortoressica, sino a un livello maniacale nel caso di tutte le risposte positive:
1) Spendi più di 3 ore al giorno riflettendo sulla tua alimentazione?
2) Pianifichi i tuoi pasti diversi giorni prima?
3) La possibilità che i cibi che assumi ti facciano ingrassare è sempre più importante del piacere di mangiarli?
4) Lo stato di ansia nella tua vita è aumentata da quando hai riflettuto sulla tua alimentazione?
5) Sei diventato più severo con te stesso nei confronti del tuo comportamento quotidiano e alimentare?
6) La tua autostima aumenta quando ti alimenti in modo corretto?
7) Hai eliminato radicalmente diversi cibi che ti piacevano in favore di cibi più salutari?
8) Ti riesce più difficile mangiare fuori casa, in ristoranti diversi?
9) Ti senti in colpa quando non mangi in modo corretto?
10) Ti senti in pace con te stesso e in pieno controllo quando mangi in modo corretto?
RISULTATI
Risposta positiva a:
3 domande: Normale
4-8 domande: Ortoressia
9-10 domande: Grave Ortoressia

 

Dott. Roberto Cavaliere

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TEST SUI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

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La Commissione del Ministero della Sanità sui disturbi alimentari propone un test per aiutare genitori e insegnanti ad individuare se un figlio o un alunno “nasconde” i sintomi della malattia.
  • Ti pesi più di due volte in settimana?
  • Quando mangi, ti capita di pensare alle calorie?
  • Ti senti in colpa dopo avere mangiato?
  • Se ti guardi allo specchio, guardi soprattutto pancia e cosce?
  • Il tuo peso influenza il tuo umore?
  • Il tuo peso influenza la tua disponibilità all’ora di frequentare i coetanei?
  • Il tuo ciclo mestruale è irregolare o assente?
  • Mangi grandi quantità di cibo con la sensazione di perdere il controllo, indipendentemente dal senso di fame?
  • Ti capita di provocarti il vomito o di desiderarlo dopo avere mangiato?
  • Se mangi di più di quello che ritieni necessario per te, cerchi di ridurre i pasti successivi?
  • Fai uso di diuretici o lassativi o farmaci per dimagrire?
  • Fai attività fisica per bruciare calorie o con la sensazione di non poterne fare a meno?
  • Dedichi al cibo gran parte del tempo dei tuoi pensieri?
  • Non riesci a parlare con nessuno dei tuoi problemi?
  • Hai un indice di massa corporea inferiore a 18,5?
  • Se sì, hai un’intensa paura di ingrassare?
Se le risposte positive sono almeno 6 potrebbe essere utile parlare con un esperto.

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DIAGNOSI DI UN DCA

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La diagnosi di un disturbo del comportamento alimentare (DCA) è molto spesso misconosciuta anche dai professionisti della salute mentale. Ciò che qui vogliamo proporvi è un memorandum di alcune domande relative ai DCA che dovrebbero essere poste a tutti i pazienti sospetti. Questo semplice strumento di screening è denominato SCOFF-Questions:
  • Vi sentite male (talvolta al punto di vomitare) quando vi sentite troppo pieni?
  • Vi preoccupate di avere perso il controllo della quantità di cibo ingerito?
  • Recentemente avete perso più di quattrodici libbre di peso in tre mesi?
  • Vi credete grassi anche se gli altri vi ritengono troppo magri?
  • Direste che il cibo domina la vostra vita?
NOTA: Segnate un punto per l’ogni risposta “sì”; un totale di due o più è un’indicazione probabile di anoressia o bulimia nervosa.

Dott. Roberto Cavaliere

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CONSIGLI PSICOLOGICI PER IL DIABETICO ED I SUOI FAMILIARI

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CONSIGLI PER IL DIABETICO

ACCETTAZIONE
Oggi che siamo immersi nel mito della perfetta efficienza fisica,la scoperta di essere diabetici può rappresentare una “ferita narcisitica” per la propria autostima sopratutto se si ritiene di essere in perfetta condizione fisica.

NORMALITA’
Fondamentale è invece capire che si puo continuare ad avere una vita normale. Anche se il diabete , specie se non adeguatamnete curato puo’ esporre complicanze e rischi di vario genere, queste possono essere tenute sotto controllo.

AUTOSUFFICIENZA.
Essere autosufficienti permette un controllo più continuo e puntuale della propria glicemia, ed aumenta l’autostima personale che viene scossa dallo scoprire di essere diabetici. E’ sempre necessario pero’ ,periodicamente, il consulto specialistico .
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CONSIGLI PER CHI ASSISTE UN FAMILIARE DIABETICO

NON CONSULTARE TROPPI MEDICI.
I consigli più adatti sono dati dai medici che conoscono da tempo il diabetico e i suoi problemi; sentire troppo spesso vari pareri rischia di danneggiare il rapporto di fiducia fra il paziente e il ‘suo’ medico.


RESPONSABILIZZARE IL DIABETICO.
La sensazione di autosufficienza parte del diabetico è importante nel ridurre la progressione o le complicanze del diabete. La responsabilità della terapia deve ricadere il più possibile sul paziente. Intervenite quindi solo quando è necessario.


NON FARLO PER RICEVERE GRATITUDINE
Se per voi è psicologicamente difficile curare un genitore o un partner, lo è ancor di più per il familiare diabetico, che ha perso in parte la sua autonomia. Comportamenti ingrati e perfino di rabbia possono essere ” normali “.


ASSISTENZA SENZA SACRIFICIO
Assistere e curare una persona, soprattutto se si tratta di un familiare, è un modo per crescere e maturare, per aggiungere significato alla propria vita. Quello che state facendo è uno scambio non un dono.


DIRE LA VERITA’.
I diabetici, anche quelli che ostentano ottimismo, ritengono in cuor loro le loro condizioni più gravi di quello che effettivamente sono. Evitate quindi di tenere segrete diagnosi e dati importanti. Spesso avere informazioni chiare, anche se serie, tranquillizza i pazienti e li aiuta a seguire le terapie.

INFORMATEVI A SUFFICIENZA.
Raccogliere informazioni sulla malattia della persona che state aiutando è importante; ma non divenite ‘pseudo-esperti’: non cercate di sapere più dei medici. Vi mancherebbe comunque la conoscenza di insieme e soprattutto il distacco necessario per comprendere le informazioni raccolte.

Dott. Roberto Cavaliere

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PSICOTERAPIA IN TELEVISIONE – IN TREATMENT

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Il transfert di una anestesista, l’ostilità di un reduce di guerra, l’autolesionismo di una ginnasta, i problemi di una coppia e la crisi di mezza età di un affermato professionista; una seduta psicanalitica al giorno per cinque casi differenti, dal lunedì al venerdì e protagonista un attore d’eccezione, Gabriel Byrne.

Questo è In Treatment, la nuova serie targata HBO proposta da Cult in prima visione assoluta in Italia, ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 21 a partire da stasera.

Lo psicoterapeuta Paul Weston ( Gabriel Byrne ) è in apparenza uomo realizzato ma in realtà in bilico tra questioni di etica professionale e problemi personali; Paul incontra i suoi pazienti un giorno a settimana, mentre il quinto giorno, il venerdì, è lui stesso a confrontarsi con la propria terapista, Gina Toll ( Dianne Wiest ).

Gina è stata il supervisore di Paul, ma un litigio ha interrotto bruscamente i loro rapporti; sebbene in pensione, accetta di riceverlo un giorno a settimana ma durante le sedute i vecchi rancori non tardano ad emergere.

Il pubblico segue, giorno dopo giorno e seduta dopo seduta, la terapia di ogni personaggio: il lunedì è la volta di Laura ( Melissa George ) una giovane anestesista con problemi di cuore che si è invaghita di Paul. Il martedì segue Alex ( Blair Underwody ), pilota della Marina che ha partecipato alla guerra in Iraq e che dopo un attacco di cuore ha deciso di andare in analisi, e che ha un atteggiamento diffidente e di continua sfida nei confronti di Paul e dei suoi metodi.

Il mercoledì Sophie ( Mia Wasikova ), una ginnasta adolescente che ha avuto un grave incidente ed è costretta a frequentare lo studio di Paul per provare alla sua assicurazione che non si è trattato di un inconsapevole atto autolesionista.

Il giovedì è il giorno di Jake ( Josh Charles ) e Amy ( Embeth Davidtz ) marito e moglie, lui autore di canzoni, lei donna in carriera: vanno in terapia insieme per trovare una soluzione ai loro conflitti.

Dott. Roberto Cavaliere

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