AMARE SE STESSI FA BENE

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Gli esperti non hanno dubbi: amare se stessi fa bene alla salute. Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’università di Exeter e Oxford, le persone che sono gentili con se stesse stanno meglio. Hanno una frequenza cardiaca più bassa e un sistema immunitario più forte, che fornisce migliori possibilità di guarigione.

Lo studio è stato guidato dal dott. Anke Karl, docente di psicologia presso l’Università di Exeter. Prevedeva l’ascolto di clip audio che incoraggiavano ad essere compassionevoli verso se stessi. Dopo soli 11 minuti, le frequenze cardiache dei partecipanti erano significativamente inferiori.

I ricercatori hanno diviso 135 studenti universitari in cinque gruppi, ciascuno dei quali ha ascoltato una serie diversa di istruzioni.
Uno dei gruppi è stato guidato attraverso una “scansione compassionevole del corpo“. E’ stato detto loro di prestare attenzione alle diverse sensazioni nei loro corpi con un atteggiamento di interesse e calma. Al secondo gruppo è stato dato un “esercizio di gentilezza amorevole auto-focalizzato.” Questo esercizio li ha coinvolti pensando pensieri positivi su se stessi e sui loro cari. Il terzo e il quarto gruppo hanno ascoltato le registrazioni che hanno innescato la loro voce interiore critica. Le hanno inserite in un “modello positivo ma competitivo e auto-valorizzante“. Come controllo, al gruppo finale è stato chiesto di immaginare che stavano facendo acquisti in un ambiente “emotivamente neutrale“.

I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Clinical Psychological Science. Hanno rivelato che il cuore di coloro che hanno ascoltato i messaggi d’amore aveva un battito cardiaco più basso degli altri. Dunque amare se stessi contribuisce ad aumentare il benessere generale.

 

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Dott. Roberto Cavaliere (clicca sul nome per curriculum professionale) 

Psicologo, Psicoterapeuta  Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

MULTIPOTENZIALI

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“Un multipotenziale è una persona con molti interessi e occupazioni creative”. È questa la definizione che ne dà Emilie Wapnick, nel suo TEDTalk Perché alcuni di noi non hanno un’unica vera vocazione. La Wapnick ha notato che lo schema – appassionarsi di un argomento, impararlo benissimo, annoiarsi, passare a un altro argomento – si ripeteva di continuo nella sua vita, capendo che poteva trattarsi di un tratto distintivo che può essere usato a proprio vantaggio. Oggi sul suo blog Puttylike si rivolge ai multipotenziali di tutto il mondo, e ha costruito una comunità di persone che fanno di questa caratteristica il proprio punto di forza.

La wapnick ha addirittura ha identificato i “tre super poteri dei multipotenziali”.

Capacità di sintesi
Il multipotenziale è in grado di fare una sintesi tra idee diverse: combinarne due o più per creare qualcosa di nuovo. “L’innovazione nasce nelle intersezioni” dice la Wapnick. “È lì che vengono fuori nuove idee. E i multipotenziali, con tutti i loro bagagli, sono capaci di accedere a molti di questi punti di intersezione”.

Rapido apprendimento
Quando un multipotenziale si interessa a qualcosa ci si impegna con tutto se stesso. Inoltre è abituato a essere un principiante, perché si avvicina sempre a discipline diverse per imparare cose nuove. Questo significa che è meno timoroso di uscire dalla propria zona di comfort.

Adattabilità
Il multipotenziale è capace di trasformarsi in qualsiasi cosa ci sia bisogno di essere in una data situazione. È apprezzato perché fa un buon lavoro, ma ancora di più perché può assumere diversi ruoli a seconda delle esigenze del suo cliente. Secondo la Wapnick “il mondo economico sta cambiando in maniera così veloce e imprevedibile che sono gli individui e le organizzazioni che possono adattarsi per soddisfare i bisogni del mercato che stanno davvero crescendo”.

Tra i multipotenziali più famosi la Wapnick ricorda Leonardo da Vinci, Cartesio, Isaac Newton, Aristotele, ma anche Oprah Winfrey, Steve Jobs. Come a dire – non vi preoccupate, siete in ottima compagnia!

La maggiore critica che viene fatta ai multipotenziali è che disperdono la propria attenzione verso mille cose diverse, senza specializzarsi. E che questo rende difficile lavorare e fare business. In realtà la Wapnick ha individuato quattro modelli di lavoro comunemente adottati dai multipontenziali, dimostrando che è possibile fare soldi anche quando si coltivano interessi diversi. Modelli che sicuramente rispecchiano come il mondo del lavoro sia cambiato in questi anni e come si svilupperà nei prossimi.

 

Dottor Roberto Cavaliere

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GAMING DISORDER

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La dipendenza da videogiochi entra ufficialmente nell’elenco delle malattie dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). Durante l’Assemblea Generale in corso a Ginevra i Paesi membri hanno votato a favore dell’adozione del nuovo aggiornamento dell’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (Icd-11), che contiene per la prima volta il “Gaming Disorder” (dipendenza da videogiochi).

Il nuovo testo, che sarà in vigore dal primo gennaio 2022,viene usato per uniformare diagnosi e classificazioni in tutto il mondo. Il “gaming disorder” è definito come «una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti legati al gioco, sia online che offline, manifestati da: un mancato controllo sul gioco; una sempre maggiore priorità data al gioco, al punto che questo diventa più importante delle attività quotidiane e sugli interessi della vita; una continua escalation del gaming nonostante conseguenze negative personali, familiari, sociali, educazionali, occupazionali o in altre aree importanti». Per essere considerato patologico il comportamento deve essere reiterato per 12 mesi, «anche se la durata può essere minore se tutti i requisiti diagnostici sono rispettati e i sintomi sono gravi».

Sulla percentuale di gamers che diventano patologici, le stime sono molto diverse. Una recente ricerca su Cyberpsichological Behaviour, ad esempio, ha stimato che il 7% dei giocatori online può essere definito dipendente, mentre in altri studi pubblicati il numero varia dall’1,5% dei più ottimisti fino ad una preoccupante percentuale del 20%. Numeri in ogni caso impressionanti se si pensa che in Italia, ad esempio, secondo una ricerca Aesvi-Gfk, ci sono 29,3 milioni di videogiocatori. E secondo alcune stime, nel nostro Paese sarebbero a rischio per “gaming disorder” circa 270mila ragazzi, per la quasi totalità maschi, in una fascia d’età tra i 12 ed i 16 anni.

 

Dottor Roberto Cavaliere

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VIVERE CON UN CANE ALLUNGA LA VITA

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Vivere da soli con un cane riduce il rischio di morte e di malattie cardiovascolare, allungandoci di fatto l’aspettativa di vita. La notizia arriva da una ricerca dell’Università di Uppsala che su Scientific Reports realizzata su 3,4 milioni di persone.

Per giungere alle loro conclusioni, i ricercatori si sono basati su un gruppo di 3,4 milioni di persone prese in esame dal 2001 per 12 anni. Durante questo periodo, i partecipanti di età compresa tra i 40 e gli 80 anni sono stati sottoposti ad alcuni test e suddivisi in più gruppi: chi viveva con un cane e chi no e chi viveva da solo con un cane e chi con un cane e altre persone.

Dai dati raccolti è emerso che per coloro che vivevano da soli con un cane, il rischio di morte si riduceva del 33% rispetto a coloro che vivevano senza cane, così come si riduceva dell’11% il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. Studi passati hanno dimostrato che vivere da soli incrementa il rischio delle condizioni sopra descritte (morte e malattie cardiovascolari), quindi dimostrare che la presenza di un cane riesce a diminuirne così tanto le probabilità significa anche affermare con certezza che un cane ha effetti positivi sul nostro stato di salute allungandoci di fatto la vita.

Oltre a dimostrare che vivere con un cane ci allunga la vita, i ricercatori hanno scoperto che i cani da caccia sono quelli che più di tutti migliorano il nostro stato di salute. Probabilmente perchè i cani da caccia richiedono molta attività fisica all’aperto, che fa bene al cuore e al nostro corpo in generale.

 

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APOFENIA

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L’apofenia è uno dei sintomi della schizofrenia, un termine coniato nel 1958 dallo psichiatra tedesco Klaus Conrad. In psicologia è la percezione di connessioni e significati tra cose indipendenti con distorsione della realtà. Può essere un fenomeno normale (esempio avere la sensazione che squilli il telefono mentre si è sotto la doccia con acqua scrosciante), ma può essere anche un fenomeno anormale come in caso di schizofrenia paranoide quando per esempio il paziente vede situazioni infauste senza che queste esistano. Il termine indica la percezione spontanea di collegamenti rilevanti tra eventi, oggetti o situazioni in realtà slegati fra loro. Secondo lo stesso Conrad, Il fenomeno è però legato anche alla creatività, nel senso che le persone più creative sanno cogliere collegamenti insoliti fra oggetti ed eventi apparentemente diversi e privi di connessioni fra loro. L’apofenia spiega l’atteggiamento di chi è convinto di una certa idea e trova conferme dappertutto; così per esempio chi crede nella numerologia (cioè ritiene che i numeri abbiano significati magici o mistici), nelle profezie, nelle varie forme di divinazione, ma anche nei principi fondamentali delle religioni, riesce a trovare nel mondo tutte le conferme che desidera, invece chi non condivide tali credenze non vede alcun collegamento fra oggetti ed eventi del mondo e le affermazioni di cui questi sarebbero una conferma.

 

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I TIPI DI CONSUMATORI DI PORNO

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La pornografia online può essere utilizzata a fini ricreativi, emotivamente stressati o compulsivi. Questo il risultato di una ricerca della École de psychologie della Université Laval in Canada. Lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Sexual Medicine, descrive una popolazione eterogenea di utenti di porno con caratteristiche e abitudini molto diverse.

Il materiale per adulti occupa il 10% dei contenuti online. PornHub, uno dei siti di pornografia più popolari al mondo, ha registrato oltre 4 miliardi di utenti nel 2016 che in totale hanno passato sulla piattaforma 191 milioni 625mila giorni. Questi numeri hanno spinto molti psicologi a cercare i motivi dell’ascesa del consumo pornografico online.

I ricercatori canadesi hanno voluto indagare sull’uso che oggigiorno viene fatto della pornografia per capire se e in quale contesto questa abitudine costituisca una problematica per il benessere sessuale.

Per farlo hanno sottoposto a 830 persone tra i 18 e i 78 anni (più del 70% dei partecipanti erano donne, l’80% erano eterosessuali; i due terzi erano impegnati in una relazione, mentre un terzo si dichiarava single) un sondaggio sulle loro abitudini come consumatori di pornografia online, allo scopo di valutarne la soddisfazione sessuale (compresi la tendenza a evitare il sesso e eventuali disfunzioni sessuali), i comportamenti compulsivi, il disagio emotivo.

Analizzando le risposte, l’equipe di psicologi ha ricostruito tre profili differenti di utenti:

  1. a scopo ricreativo (75,5%), cioè persone sessualmente soddisfatte (non evitano il sesso e non hanno disfunzioni), e con una media di 24 minuti a settimana di visualizzazioni si possono definire prive di atteggiamenti compulsivi;
  2. stressati non compulsivi (12,7%), invece, sono individui che non passano molto tempo online guardando porno, ma sono sessualmente frustrati e dopo la visione di contenuti espliciti si sentono in colpa, provano vergogna e a volte disgusto per se stessi;
  3. compulsivi (11,8%) sono gli utenti che passano una media di 110 minuti a settimana cercando e visualizzando contenuti pornografici, ma non ne risentono emotivamente.

Questa ricerca da un ritratto molto più complesso e sfumato, in cui la maggior parte degli utenti ha un profilo sessuale sano. Tuttavia, gli autori stessi affermano la necessità di effettuare altri studi che confermino questi primi risultati su campioni più ampi della popolazione e che prendano in considerazione ulteriori parametri per definire dei profili di utenza più precisi, con particolare attenzione per le due categorie che sembrano avere un approccio alla pornografia rilevante a livello clinico.

 

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