La Lettera di Carl G. Jung sul Significato della Vita

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La seguente lettera fu scritta dal famoso psicanalista C.G.Jung ad una sua amica che aveva perso la persona amata. Nella lettera Jung non cade nella retorica consolatoria ma avvia una profonda riflessione sul significato della vita.

“Mia cara amica,

lei si chiede, e mi chiede, come possa la vita continuare dopo un evento così doloroso come solo può esserlo il distacco dall’amato, dalla persona cioè alla quale abbiamo unito il nostro desiderio e con la quale abbiamo affidato tutto noi stessi nelle mani del futuro. È questo è un interrogativo al quale, debbo confessarle, non so dare risposte.

Per quanto vittoriosa sia la fede, per quanta temperata, pure essa non sovrasta l’enigma della morte.

Quando la morte si manifesta sul nostro cammino, quando ci sottrae il nostro bene, è violenza insostenibile dalla quale sempre siamo sconfitti. E per quanto profonda possa essere, come lei gentilmente mi attribuisce, la conoscenza dell’animo umano, ebbene essa ci conduce solo là dove non si può che ammettere, per quanto a malincuore, la propria ignoranza.

Ugualmente lei mi impone di osare, e giustamente. Ebbene, per cominciare, debbo avvisarla di non prestare orecchio alle facili consolazioni che certamente riceve e riceverà e che sempre più d’altra parte si vanno facendo folla intorno a noi, complice la stessa psicologia di cui vorremmo essere fedeli e umili testimoni.

Le consolazioni consolano anzitutto i consolatori. Consentono a essi di coltivare l’illusione di essere immuni da ciò che agli altri è toccato in sorte, e ancor più d’essere saggi, prudenti e avveduti.

Così sentendosi al riparo e al sicuro, essi conservano la loro buona reputazione al prezzo di qualche buona parola. Ma, può esserne certa, se fossero onesti con se stessi, come dicono di esserlo, con gli altri, dovrebbero ammettere sinceramente che le consolazioni che offrono, consapevoli o meno che ne siano, nascondono null’altro che commiserazione per sé e risentimento per la vita.

Ecco dunque un primo consiglio: né commiserazione per sé né risentimento per la vita.

Benché oscuro sia lo sfondo sul quale la morte si manifesta, altrettanto oscuro quanto quello della vecchiaia e della malattia, per non dire di quello del peccato e della stoltezza, ebbene è lo stesso sfondo sul quale si staglia il sereno splendore della vita.

Per la nostra salute mentale sarebbe perciò un bene non pensare che la morte non è che un passaggio, una parte di un grande, lungo e sconosciuto processo vitale: sia nei giorni dolorosi nei quali precipitiamo per la perdita di chi ci è caro sia nei giorni tristi nei quali siamo sorpresi dal pensiero della nostra stessa morte.

La nostra morte è un’attesa o, se vuole, una promessa che non è mai compiuta. Per questo essa non ci impone di vuotare la nostra vita ma piuttosto di procedere alla sua pienezza.

Mentre la morte ci toglie ciò che ci è più caro, al tempo stesso ci restituisce a ciò che ci è più prezioso. Non è il mistero della morte che siamo chiamati a sciogliere: piuttosto è quello della vita.

La vita è un imperativo assoluto al quale nessuno deve sottrarsi. Per quanto ostico ci paia il compito, per quanto insostenibile, per quanto ostile, abbandonarci a noi stessi, abbandonare noi stessi non è contemplato tra le molte possibilità.

È la vita che dobbiamo piuttosto, direi addirittura, arrenderci alla vita e al suo costante fluire. A questo scorrere non possiamo imporre alcun argine, né potremmo tentare di deviarlo o di mutarne la traiettoria. Ciò sarebbe assai sciocco e per molti versi pericoloso.

Se vogliamo inimicarci la vita, se vogliamo davvero averla contro sappiamo come fare: rinunciamo a viverla. Vi sono numerosi modi per ottenere questo, l’ultimo dei quali, il più stupido e spietato, è troncarla con le nostre stesse mani. Questo è il supremo peccato.

Se ci teniamo al di sopra di questo baratro potremo sempre, in ogni caso, imporre alla vita un corso predeterminato, forzarla o sospenderla, in una parola dirigerla.

Abbiamo infiniti compiti che possiamo imporci e infinite mete verso le quali orientarci. Tutto ciò fa pur sempre parte della nostra vita, ma è ciò che la nostra vita ci chiede? La vita che abbiamo scelto per noi potrebbe infatti rivelarsi ben diversa da quella che avrebbe scelto noi.

Il problema è allora questo: giunto alla fine dalla mia vita che cosa mi ritrovo tra le mani? Se trovo solo il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato non sarà gran cosa. Ma potremmo trovare ben di più, ben di peggio.

Ogni vita non vissuta accumula rancore verso di noi, dentro di noi: moltiplica le presenze ostili.

Così diventiamo spietati con noi stessi e con gli altri. Intorno a noi non vediamo che lotta, cediamo e soccombiamo alle perfide lusinghe dell’invidia. Si dice bene che l’invidia accechi il nostro sguardo è saturo delle vite degli altri, noi scompariamo dal nostro orizzonte. La vita che è stata perduta, all’ultimo, mi si rivolterà contro.

Perciò, l’ultima cosa che vorrei dirle, mia cara amica, è che la vita non può essere, in alcun modo, pura rassegnazione e malinconica contemplazione del passato. È nostro compito cercare quel significato che ci permette ogni volta di continuare a vivere o, se preferisce, di rispondere, a ogni passo, il nostro cammino.

Tutti siamo chiamati a portare a compimento la nostra vita meglio che possiamo.

(C. G. Jung in Jung parla. Interviste e incontri, Ed. Adelphi, 1999)

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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LA “PAURA LIQUIDA”

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Il libro “Paura Liquida” del sociologo Baumann rappresenta una lettura utile al fine di comprendere le paure che attraversano la nostra società ed i nostri tempi, con conseguenti ripercussioni personali ed individuali. Di seguito riporto un brano significativo del libro.

“Le occasioni di aver paura sono una delle poche cose che non scarseggiano in questi nostri tempi tristemente poveri di certezze, garanzie e sicurezze. Le paure sono tante e varie. Ognuno ha le sue, che lo ossessionano, diverse a seconda della collocazione sociale, del genere, dell’età e della parte del pianeta in cui è nato e ha scelto di (o è stato costretto a) vivere. Il guaio è che tali paure non sono tutte uguali fra loro. Dato che arrivano una alla volta, in successione ininterrotta ma casuale, esse sfidano i nostri (eventuali) sforzi di collegarle tra loro e ricondurle alle loro radici comuni. Ci spaventano di più perché risultano difficili da abbracciare nella loro totalità, ma ancor di più per il senso di impotenza che suscitano in noi. Non riuscendo a comprenderne le origini e la logica (ammesso che ci sia), ci troviamo al buio e incapaci di prendere provvedimenti – e, a maggior ragione, di prevenire o contrastare i pericoli che esse ci segnalano. Siamo semplicemente privi di strumenti e capacità a tal fine. I rischi che temiamo trascendono la nostra capacità di agire; finora non siamo nemmeno riusciti a definire chiaramente come dovrebbero essere gli strumenti e le capacità adeguate – e dunque siamo ben lontani dal poter iniziare a progettarli e realizzarli. Ci troviamo in una situazione non molto diversa da quella di un bambino disorientato; per riprendere l’allegoria utilizzata tre secoli fa da George Christoph Lichtenberg, se un bambino urta contro un tavolo, dà la colpa a quest’ultimo, mentre per casi simili noi abbiamo coniato la parola “destino” contro cui lanciare accuse”.

(Zygmunt Bauman, “Paura liquida”, editori Laterza)

Dott. Roberto Cavaliere

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L’AUTOTERAPIA DI SENECA CONTRO LE PAURE

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Di seguito riporto un lungo scritto di Seneca che potrebbe rappresentare una sorta di autoterapia contro le personali paure

Lettere a Lucilio – libro XIII – Lettera V
Della forza d’animo che deve distinguere il saggio.
Non bisogna inquietarsi dell’avvenire

1

So che hai molto coraggio; infatti, anche prima che temprassi il tuo spirito con insegnamenti salutari e utili per vincere le avversità della vita, eri già piuttosto soddisfatto del tuo atteggiamento di fronte alla sorte, ed ancor più lo sei ora dopo averla affrontata con decisione e aver provato le tue forze, nelle quali non si può mai confidare con sicurezza finché non si sono mostrate numerose difficoltà da ogni parte, e non si sono molto appressate. Così si sperimenta il coraggio vero, che non è soggiogato dall’arbitrio altrui: è la prova del fuoco.

2

Un atleta non può combattere con accanimento, se non è già livido per le percosse: chi ha visto il proprio sangue, chi ha sentito i propri denti scricchiolare sotto i pugni, chi è stato messo a terra e schiacciato dall’avversario e, umiliato, non si è perso d’animo, chi si è rialzato più fiero dopo ogni caduta, va a combattere con grandi speranze di vittoria.

3

Quindi, per continuare con questo paragone, molte volte ormai hai subito l’assalto della sorte; tu, però, non ti sei arreso, ma sei balzato in piedi e hai resistito con maggiore risolutezza: il valore, quando è sfidato, si moltiplica. Tuttavia accetta, se credi, le armi di difesa che ti posso offrire.

4

Sono più le cose che ci spaventano, Lucilio mio, di quelle che ci minacciano effettivamente, e spesso soffriamo più per le nostre paure che per la realtà. Non ti parlo con il linguaggio degli Stoici, ma in tono più sommesso; noi, infatti, definiamo poco importanti e trascurabili tutte le avversità che ci strappano gemiti e lamenti. Tralasciamo queste parole gravi, ma, buon dio, vere: ti raccomando solo di non essere infelice prima del tempo, poiché le disgrazie che hai temuto imminenti, forse non arriveranno mai, ma di certo non sono ancora arrivate.

5

Certe cose ci tormentano più del dovuto, certe prima del dovuto, certe assolutamente senza motivo; quindi, o accresciamo la nostra sofferenza o la anticipiamo o addirittura ce la creiamo. Rimandiamo per il momento il primo punto, poiché il problema è controverso e c’è una discussione in corso. Quei mali che io ho definito trascurabili, tu li giudicherai gravissimi; taluni ridono sotto i colpi di frusta, altri, invece, gemono per un pugno. Vedremo in seguito se quei mali hanno forza per se stessi o per la nostra debolezza.

6

Se chi ti circonda vorrà persuaderti della tua infelicità, promettimi di badare non a quello che ascolti, ma a quello che provi e di decidere in base alla tua capacità di sopportare; chiedi a te stesso, che ti conosci meglio di chiunque altro: «Perché costoro mi compiangono? Perché stanno in ansia, perché hanno paura anche di toccarmi, quasi che le disgrazie fossero contagiose? È veramente un male o, più che di un male, si tratta di un qualcosa che può portare più che danno infamia?» Chiediti: «Forse mi cruccio e mi affliggo senza motivo e rendo un male qualcosa che non lo è?»

7

«In che modo,» domandi, «posso comprendere se mi angustio a torto o a ragione?» Attieniti a questa regola per stabilirlo: o ci tormentiamo per il presente o per il futuro o per entrambi. Del presente è facile giudicare: se sei libero, sano e non subisci dolore per un’offesa, guarderemo al futuro: oggi non c’è motivo di preoccuparsi.

8

«Ma ci sarà». Innanzi tutto considera se ci sono sicuri indizi di un male imminente: per lo più, infatti, stiamo in ansia solo per sospetti e ci facciamo ingannare da quelle dicerie che riescono a determinare la sorte di una guerra e che, a maggior ragione, determinano la sorte degli individui. È così, Lucilio mio, crediamo facilmente alle supposizioni; non mettiamo alla prova l’attendibilità delle nostre paure e non ce le scrolliamo di dosso; ci agitiamo e voltiamo le spalle come soldati che abbandonano l’accampamento per il polverone sollevato da un gregge di pecore in fuga o come quelle persone che si lasciano spaventare dai racconti di cose senza fondamento e di cui non si conosce neppure l’autore.

9

Non so perché le paure infondate incutano più turbamento; quelle fondate hanno un loro limite: tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo intimorito. Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico; le altre forme di paura derivano dall’assenza di ragionamento, questa dall’assenza di senno.

10

Perciò, esaminiamo attentamente la questione. È verosimile che in futuro ci accada qualche guaio, ma non è proprio sicuro. Quanti eventi inattesi sono avvenuti! E quanti fatti attesi non si sono mai verificati! E se anche capiteranno, a che giova andare incontro al dolore? Ti dorrai a sufficienza quando il male arriverà: nel frattempo augurati il meglio.

11

Che cosa ci guadagnerai? Tempo. Possono intervenire molti fattori per cui un pericolo vicino, o addirittura imminente, si ferma o cessa o piomba addosso a qualcun altro; spesso in un incendio si apre una via di fuga; qualcuno è uscito illeso da un crollo; a volte la spada è stata ritirata dal collo su cui pendeva; qualcuno è sopravvissuto al suo carnefice. Anche la sfortuna è mutevole. Forse sarà, forse non sarà, nel frattempo non è; tu spera sempre nel meglio.

12

Talora, benché non vi siano indizi manifesti che preannuncino qualche sventura, l’animo si crea mali immaginari: o travisa in peggio una parola ambigua o ingigantisce un’offesa ricevuta, e pensa non a quanto l’altro sia in collera, ma a quanto sia lecito a chi è in collera. Ma non c’è nessun motivo di vivere, nessun limite alle nostre sciagure, se si teme tutto ciò che può accadere. Qui giova essere saggi: respingi con forza d’animo la paura anche se giustificata; oppure, scaccia una debolezza con un’altra: tempera il timore con la speranza. Gli eventi temuti non accadono e quelli sperati deludono: è una verità più certa di tutte le nostre paure.

13

Soppesa, quindi, speranza e paura, e quando tutto sarà incerto, favorisci te stesso: credi a ciò che preferisci. Anche se il timore avrà più argomenti, scegli la speranza e metti fine alla tua angoscia; considera che la maggior parte degli uomini si arrovella e si agita, sebbene non vi siano mali presenti né certezza di mali futuri. Nessuno, infatti, resiste a se stesso quando ha cominciato ad essere inquieto e non riconduce i suoi timori alla realtà; nessuno dice: «Mente chi sostiene questo, mente: o se l’è inventato o crede a dicerie.» Ci lasciamo trasportare dal vento; paventiamo l’incerto come se fosse certo; non abbiamo il senso della misura, subito un dubbio si trasforma in timore.

14

Mi vergogno usare con te tale linguaggio e di confortarti con simili rimedi. Un altro dica pure: «Forse non capiterà,» tu di’: «E se anche capiterà? Vedremo chi dei due avrà la meglio; forse si risolverà a mio vantaggio e una morte come questa onorerà la mia vita.» La cicuta rese grande Socrate. Togli a Catone la spada che gli diede la libertà, gli toglierai una gran parte di gloria.

15

Ora ti sto facendo troppe esortazioni, mentre tu hai più bisogno di essere ammonito che esortato. Non ti spingo ad un comportamento diverso dalla tua natura: tu sei predisposto dalla nascita a ciò di cui parliamo; tanto più, dunque, accresci ed arricchisci il bene che c’è in te.

16

Posso ormai concludere questa lettera, se le imprimo il suo sigillo, se le affido, vale a dire, una bella massima da riferirti. «Tra gli altri mali, lo stolto ha anche questo: comincia sempre a vivere». Rifletti sul significato di questa frase, mio ottimo Lucilio, e comprenderai quanto sia vergognosa la leggerezza di quegli uomini che ogni giorno pongono nuove fondamenta alla loro vita, che nutrono speranze anche in punto di morte.

17

Osservali uno per uno: vedrai vecchi che hanno mire ambiziose e che si danno ai viaggi, agli affari. Niente è più sconcio di un vecchio che voglia ricominciare a vivere. Non aggiungerei il nome dell’autore di questa frase, se non fosse troppo poco conosciuta: non è tra quelle più famose di Epicuro, che io mi sono permesso di lodare e di fare mie. Stammi bene.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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LA TERAPIA DEL “VINCE CHI MOLLA”

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Il testo della canzone di Niccolò Fabi “Vince chi Molla” ben rappresenta quello che è il concetto del lasciar andare in generale per stare meglio

Infatti trattenere ciò che  che ci crea disagio, ci fà stare male, spesso è controproducente ed ottiene, paradossalmente, l’effetto di rafforzare maggiormente la situazione di disagio e/o di malessere.

Ed ecco che “mollare” può diventare la soluzione anche se richiede pratica ed allenamento perchè spesso si oppone resistenza al “mollare”

Il testo della canzone di seguito ben riassume il tutto.

“Lascio andare la mano
che mi stringe la gola
Lascio andare la fune
Che mi unisce alla riva
Il moschettone nella parete
L’orgoglio e la sete
Lascio andare le valigie
I mobili antichi
Le sentinelle armate in garritta
A Ogni mia cosa trafitta…

Lascio andare il destino
Tutti i miei attaccamenti
I diplomi appesi in salotto,
Il coltello tra i denti
Lascio andare mio padre e mia madre
E le loro paure
Quella casa nella foresta
Un umore che duri davvero

Per ogni tipo di viaggio

È meglio avere un bagaglio leggero.

Distendo le vene
E apro piano le mani
Cerco di non trattenere più nulla
Lascio tutto fluire
L’aria dal naso arriva ai polmoni
Le palpitazioni tornano battiti
La testa torna al suo peso normale
La salvezza non si controlla…
Vince chi molla.
Vince chi molla…”

Dott. Roberto Cavaliere

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UN POSSIBILE DECALOGO PER STARE MEGLIO

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1) Lascia andare le persone che condividono solo lamentele, problemi, storie disastrose, paura e giudizio sugli altri. Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia, fa sì che non sia la tua mente.

2) Paga i tuoi debiti in tempo. Nel contempo fai pagare a chi ti deve o scegli di lasciarlo andare, se ormai non lo può fare.

3) Mantieni le tue promesse. Se non l’hai fatto, domandati perché fai fatica. Hai sempre il diritto di cambiare opinione, scusarti, compensare, rinegoziare e offrire un’alternativa ad una promessa non mantenuta; ma non farlo diventare un’abitudine. Il modo più semplice di evitare di non fare una cosa che prometti di fare e dire “no” subito.

4) Elimina nel possibile e delega i compiti che preferisci non fare e dedica il tuo tempo a fare quelli che ti piacciono.

5) Permettiti di riposare quando ti serve e dati il permesso di agire se hai una buona occasione.

6) Butta, raccogli e organizza, niente ti prende più energia di uno spazio disordinato e pieno di cose del passato che ormai non ti servono più.

7) Dà priorità alla tua salute, senza il macchinario del tuo corpo lavorando al massimo, non puoi fare molto. Fai delle pause.

8) Affronta le situazioni tossiche che stai tollerando, da riscattare un amico o un famigliare, fino a tollerare azioni negative di un compagno o un gruppo; adotta l’azione necessaria.

9) Accetta. Non per rassegnazione, ma niente ti fa perdere più energia di litigare con una situazione che non puoi cambiare.

10) Perdona, lascia andare una situazione che è causa di dolore, puoi sempre scegliere di lasciare il dolore del ricordo.

“attribuita” al Dalai Lama

Dott. Roberto Cavaliere

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ELOGIO DELLA SOLITUDINE

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Di seguito viene riportato un brano del filosofo Schopenauer che può essere considerato un vero e proprio elogio della solitudine.

Si può essere più o meno d’accordo, in tutto o in parte, ma è un interessante spunto di riflessione su una dimensione di una solitudine vissuta come scelta e non subita dalla vita o dagli eventi

Ciascuno fuggirà, sopporterà, oppure amerà la solitudine, in una proporzione esatta con il valore della sua personalità. Nella solitudine infatti il miserabile sente tutta quanta la sua miseria e il grande spirito tutta la sua grandezza, ciascuno in breve sente di essere ciò che è.

[…] L’uomo ricco di spiritualità aspirerà anzitutto all’assenza di dolore, all’essere lasciato in pace, alla calma e all’ozio, cercherà dunque una vita tranquilla, modesta, ma quanto più e possibile indisturbata, e in conformità a ciò, dopo di aver conosciuto per qualche tempo i cosiddetti uomini, sceglierà la vita ritirata, e nel caso che si tratti di un grande spirito addirittura la solitudine.

[…] La vera e profonda pace del cuore e la perfetta tranquillità d’animo, che costituiscono subito dopo la salute il più grande bene terreno, si troveranno soltanto nella solitudine, e come stato d’animo duraturo solo nel più profondo isolamento. Se in tal caso la propria individualità è grande e ricca, si godrà dello stato più felice che possa venir ritrovato su questa povera terra. 

Dott. Roberto Cavaliere

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LA TERAPIA DEL “VOGLIO SAPERE SE…”

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Il brano riportato in basso puà essere utilizzato come esercizio di consapevolezza e conseguente terapia su se stessi. Spesso non si hanno chiari quali sono i propri bisogni, obiettivi, emozioni, aspirazioni e l’utilizzare il brano come una sorte di dialogo interiore in terza persona può aiutare ad individuare quanto non consapevolizzato e dare la spinta per mettere in atto il tutto, trovando il coraggio che manca.

Roberto Cavaliere

“Non mi interessa cosa fai per vivere, voglio sapere per cosa sospiri e se rischi il tutto per trovare i sogni del tuo cuore.
Non mi interessa quanti anni hai, voglio sapere se ancora vuoi rischiare di sembrare stupido per l’amore, per i sogni, per l’avventura di essere vivo.
Non voglio sapere che pianeti minacciano la tua luna, voglio sapere se hai toccato il centro del tuo dolore, se sei rimasto aperto dopo i tradimenti della vita o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro.
Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio e il tuo; se puoi ballare pazzamente e lasciare l’estasi riempirti fino alla punta delle dita senza prevenirti di cautela, di essere realisti, o di ricordarci le limitazioni degli esseri umaniNon voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera.
Voglio sapere se sei capace di deludere un altro essere identico a te stesso, se puoi subire l’accusa di un tradimento e non tradire la tua anima.
Voglio sapere se sei fedele e quindi hai fiducia.
Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando non é bella tutti i giorni.
Se sei capace di far sorgere la vita con la tua sola presenza.
Voglio sapere se puoi vivere con il fracasso, tuo e mio e continuare a gridare all’argento di luna piena: SÌ!
Non mi interessa dove abiti e quanti soldi hai, mi interessa se ti puoi alzare dopo una notte di dolore, triste o spaccato in due, e fare quel che si deve fare per i bambini.
Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare qui, voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco con me e non retrocedere.
Non voglio sapere cosa hai studiato, o con chi o dove, voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l’ha fatto.
Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso, e se veramente ti piace la compagnia che hai…nei momenti vuoti.”

(Scritto da un’indiana della tribù degli Oriah-1890)

Dott. Roberto Cavaliere

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LA TERAPIA DEL “E’ PROIBITO”

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“E’ PROIBITO” tende ad avere una connotazione negativa. Ma proviamo a capovolgere la prospettiva di ciò che è proibito non proibendo (scusate il gioco di parole) ciò che si titiene positivo ma proibendo ciò che si ritiene negativo.
Un utile esercizio potrebbe essere quello di elencare una serie di cose e situazioni che fanno male e/o non si desiderano ed anteporre successivamente l’affermazione “E’ PROIBITO”
Il brano che segue aiuta ad esercitarsi in tal senso.
Roberto Cavaliere
È proibito piangere senza imparare,
svegliarti la mattina senza sapere che fare
avere paura dei tuoi ricordi.
È proibito non sorridere ai problemi,
non lottare per quello in cui credi
e desistere, per paura.
Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realtà.
È proibito non mostrare il tuo amore,
fare pagare agli altri i tuoi malumori.
È proibito abbandonare i tuoi amici,
non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto
e chiamarli solo quando ne hai bisogno.
È proibito non essere te stesso davanti alla gente,
fingere davanti alle persone che non ti interessano,
essere gentile solo con chi si ricorda di te,
dimenticare tutti coloro che ti amano.
È proibito non fare le cose per te stesso,
avere paura della vita e dei suoi compromessi,
non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
È proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire,
dimenticare i suoi occhi e le sue risate
solo perchè le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi.
Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.
È proibito non cercare di comprendere le persone,
pensare che le loro vite valgono meno della tua,
non credere che ciascuno tiene il proprio cammino
nelle sue mani.
È proibito non creare la tua storia,
non avere neanche un momento
per la gente che ha bisogno di te,
non comprendere che ciò che la vita ti dona,
allo stesso modo te lo può togliere.
È proibito non cercare la tua felicità,
non vivere la tua vita pensando positivo,
non pensare che possiamo solo migliorare,
non sentire che, senza di te,
questo mondo non sarebbe lo stesso.
 
Alfredo Cuervo Barrero

Dott. Roberto Cavaliere

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LA TERAPIA DELL’ASSENZA DELLE EMOZIONI NEGATIVE

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Il seguente brano del filosofo Schopenhauer aiuta a riflettere sul senire il dolore, la preoccupazione, la paura ed altre emozioni negative ma non la loro assenza. Solitamente le emozioni negative sono quelle che si avvetono maggiormente e più difficilmente ma sarebbe necessario allenarsi anche a sentire la mancanza delle emozioni negative come momenti di serenità e piacere.

Una sorte di terapia basata sull’assenza delle emozioni che fanno stare male.

Roberto Cavaliere

Noi sentiamo il dolore, ma non l’assenza del dolore; sentiamo la preoccupazione, ma non l’assenza della preoccupazione; la paura, ma non la sicurezza. Sentiamo il desiderio, così come la fame e la sete; ma non appena è soddisfatto, succede come per il boccone che, nel momento in cui viene inghiottito, cessa di esistere per la nostra sensibilità. Sentiamo amaramente la mancanza di piaceri e di gioie, quando non ci sono; dei dolori invece non sentiamo direttamente la mancanza, anche se non ne proviamo da parecchio tempo, tutt’al più ce ne ricordiamo per mezzo della riflessione. Solo dolore e mancanza infatti possono venire sentiti positivamente, e dunque si fanno sentire da sé: il benessere invece è solo in negativo. Perciò noi ci rendiamo conto direttamente dei beni più grandi della vita, salute, giovinezza e libertà, solo quando le abbiamo perdute: perché anch’esse sono negazioni. Dei giorni felici della nostra vita ci accorgiamo solo quando hanno ormai lasciato il posto a giorni felici.

Arthur Schopenhauer da Il mondo come volontà e rappresentazione

Dott. Roberto Cavaliere

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IL DESIDERIO DI ESSERE ANCORA FIGLIO

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In questa bellissima e significativa poesia si legge il desiderio di essere ancora figlio. Desiderio che non deriva da immaturità affettiva, dal desiderio di non crescere, ma rimanda alla parte infantile che è dentro di noi e che chiede anche di continuare ad essere figlio, in determinati momenti. Desiderio lecito e che fa parte dell’essere adulto

Roberto Cavaliere

FAMMI ESSERE ANCORA FIGLIO
Solo una volta. Una volta sola.
Poi ti lascio andare.
Ma per una volta, ancora, fammi sentire sicuro.
Proteggimi dal mondo.
Fammi dormire nel sedile dietro il tuo.
Guida tu. Che io sono triste e stanco.
Ho voglia che sia tu a guidarmi, papà.
Metti la musica che ti piace.
Che sarà quella che una volta cresciuto piacerà a me.
Fammi essere piccolo.
Pensa tu per me.
Decidi tu per me.
Mettimi la tua giacca, che a me sembra enorme, perché ho freddo.
Prendimi in braccio e portami a letto perché mi sono addormentato sul divano.
Raccontami storie.
E se sei stanco non farlo.
Ma non te ne andare.
Ho voglia di rimanere figlio per sempre.
Abbracciami forte come dopo un gol.
Dormi ancora, come hai fatto, per una settimana su una sedia accanto al mio letto in ospedale.
Rassicurami.
Carezzami la testa.
Lo so che per tutti arriva il momento in cui devi fare da padre a tuo padre.
Ma io non voglio.
Non ora.
Voglio vederti come un gigante.
Non come un uccellino.
Non andare, papà.
Ti prego.
Fammi essere ancora figlio.
Fammi essere per sempre tuo figlio.

Gabriele Corsi

Dott. Roberto Cavaliere

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